Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27986 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 27986 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

TABELLARIO Mario, n. Caserta 25.9.1961
avverso la sentenza Corte di Appello di L’Aquila n. 1217/2011 del 28/03/2013

esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto PG, dott. G. D’Angelo, che ha concluso
per il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Domenico Budini, che ha insistito per l’accoglimento
del ricorso

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte d’Appello di L’Aquila, a conferma di quella emessa
dal Tribunale di Pescara in data 27/10/2010, ribadiva la condanna di Tabellario Mario alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno e quattro mesi di reclusione per il reato di calunnia
(art. 368 cod. pen.) in danno di Cavaliere Gianni, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

La Corte ribadiva le valutazioni del primo giudice, respingendo i motivi d’appello concernenti
l’asserita verità delle circostanza riferite dall’imputato nell’esposto presentato a carico del Cavaliere, nominato consulente tecnico d’ufficio nel procedimento civile avente ad oggetto la separazione personale dalla moglie Delgado Garda Altagracia e l’affidamento del figlio minore,
rilevando che tali circostanze non erano presenti nel corpo della relazione resa al giudice ma
I

Data Udienza: 15/05/2014

solo in un allegato e che altri dati di fatto non riferibili in via immediata alle parti non erano
stati in alcun modo richiamati nelle argomentazioni e nelle conclusioni dell’elaborato principale,
ad eccezione della critica, ritenuta legittima, alla diagnosi di una patologia (PAS, Parental Alienation Syndrome) discutibile e che il denunziante aveva tacciato di totale inesistenza, esclu-

dendo di conseguenza, limitatamente a tale profilo, la sussistenza del reato contestato.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato deducendo violazione di
legge e vizio di motivazione riferiti alla ritenuta sussistenza del reato di calunnia, ripercorrendo
gli argomenti già formulati nei motivi d’appello in ordine al carattere oggettivamente veritiero

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso appare inammissibile poiché generico, in quanto pedissequamente riproduttivo del
motivo d’appello, sul quale la Corte ha ampiamente e congruamente motivato, anche in ordine
alla mancata presenza della patologia PAS nel manuale medico italiano.

Gran parte del ricorso torna, infatti, sulla questione – approfonditamente analizzata dai giudici
d’appello – concernente la circostanza se alcune affermazioni di fatto riportate dal Cavaliere,
CTU nella controversia civile tra l’imputato e la moglie, facessero o meno parte della relazione
consegnata al giudice, risolta negativamente dalla Corte territoriale ed apprezzata per ribadire
il carattere strumentale e calunnioso dell’esposto presentato dal ricorrente contro il consulente,
al solo scopo di insinuarne la carente obiettività.

Appare, inoltre, del tutto irrilevante riproporre in sede di ricorso il tema dell’indicazione da
parte del consulente di una patologia (PAS), la cui sussistenza si rivela tuttora problematica,
atteso che la stessa Corte territoriale ha dato atto che la critica ad essa riferita appariva
legittima e al di là dell’espressione adoperata per censurarla, non possedeva valenza calunniosa.

Ciò premesso, costituisce principio da tempo affermato dalla giurisprudenza di questa Corte
che vanno dichiarati inammissibili, perché al tempo stessi generici e diversi da quelli consentiti,
motivi di ricorso che si limitino a riprodurre quelli d’appello, integralmente o con modifiche di
mero stile relative al lessico e a singole parole ovvero con l’inserimento di frasi incidentali di
censura alla sentenza di secondo grado, che si esauriscano in sintetiche locuzioni solo assertive
e apodittiche (Cass. Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo ed altri).
Mentre, infatti, in virtù del principio devolutivo, il giudice d’appello è tenuto a rivisitare in toto i
capi ed i punti della sentenza di primo grado oggetto di impugnazione – da cui l’ammissibilità
dell’impugnazione che riproponga, con specifica indicazione dei capi impugnati (ascrivibilità del
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delle circostanze indicate nell’esposto.

fatto, qualificazione giuridica, trattamento sanzionatorio, applicazione di aggravanti o di misure di sicurezza, etc.) censure già esaminate e confutate dal giudice di primo grado – costituisce, invece, motivo di inammissibilità del ricorso per cassazione per vizio di aspecificità la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione (Cass. Sez. 2, sent. n. 36406 del 27/06/2012, Livrieri, Rv.
253893).

E’ sufficiente, infine, scorrere la struttura dell’atto d’impugnazione per avvedersi che esso mira
in realtà a provocare una valutazione di questa Corte sul merito del giudizio, tanto indebita

4. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al paga-

mento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si
stima equo determinare nella misura di 1.000,00 (mille) Euro.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Roma, 15/05/2014
Ilresidente
dott. ito Garr’1,\___
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quanto sostitutiva di quella già operata dal giudice di secondo grado.

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