Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27982 del 30/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27982 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VILLANO RAFFAELE N. IL 13/01/1964
avverso la sentenza n. 80/2014 CORTE ASSISE APPELLO di
NAPOLI, del 12/05/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 30/03/2016

1. Dopo le tre del 21 maggio 2012 quattro giovani di etnia rom
decidevano di consumare un furto ai danni di un qualsiasi bar della
zona di Aversa e postisi su una autovettura del tutto casualmente
decidevano di realizzarlo scassinando il locale denominato “blue
moon” posto in San Marcellino; veniva divelta la saracinesca e si
provvedeva a sottrarre alcune macchinette; in tale frangente,
richiamato dal suono dell’allarme, il proprietario e gestore
dell’esercizio commerciale, inquilino di un alloggio posto al piano
superiore, si armava della pistola, regolarmente detenuta, e sparava
quattro colpi all’indirizzo dei malviventi, colpendo mortalmente
Seidovic Nicola e ferendo alla gamba Seidovic Alex i quali,
comunque, unitamente agli altri due complici si allontanavano
precipitosamente con l’autovettura con la quale erano giunti sul
posto; le due vittime degli spari venivano abbandonate dai complici
davanti all’ospedale di Aversa e le indagini consentivano la loro
sollecita individuazione con quella degli altri due giovani impegnati
nel tentativo di furto, Osmanovic Brendo e Seidovic Adrijano; per
quanto di interesse, in forza delle dichiarazioni rese al P.M. dai tre
sopravvissuti, di quelle dell’imputato, Villano Raffaele, dell’esame
autoptico sul cadavere della vittima, degli accertamenti sanitari sul
ferito, delle indagini di protocollo eseguite dalle forze dell’ordine, a
carico di Villano Raffaele veniva elevata l’accusa di omicidio
volontario e tentato omicidio in danno, rispettivamente, di Seidovic
Nicola e Seidovic Alex ed all’esito del giudizio abbreviato,
richiesto dall’imputato, questi veniva condannato alla pena di anni
dodici di reclusione, unificati i reati per la continuazione e con la
riduzione del rito.
2. Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello il Villani,
chiedendo il riconoscimento della esimente della legittima difesa,
ovvero dell’eccesso colposo in essa, la derubricazione del reato di
tentato omicidio in quello di lesioni personali gravi, il
riconoscimento della provocazione e delle attenuanti generiche, la
riduzione della pena. Nel corso del procedimento di appello
l’imputato ammetteva spontaneamente la propria responsabilità in

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Ritenuto in fatto e considerato in diritto

3. Ricorre per cassazione impugnando la pronuncia di appello il
prevenuto, con ricorso personale e con distinto ricorso affidato alle
cure del difensore di fiducia.
3.1 Col l’atto personale il ricorrente denuncia la mancanza della
motivazione in relazione alla diminuzione di pena collegato al
riconoscimento dell’attenuante della provocazione, non applicata
nella sua massima estensione, ed all’aumento di pena di anni uno e
mesi sei per la continuazione, giudicato eccessivo e comunque
severo.
3.2 Col ricorso invece affidato al difensore di fiducia, questi
denuncia, col primo motivo, analogamente alla precedente
doglianza, vizio della motivazione in relazione all’aumento di pena
per la continuazione e, con il secondo motivo, il mantenimento, nei
termini temporali sanciti in primo grado, delle sanzioni accessorie
di cui agli artt. 29 e 32 c.p., nonostante la pena per il reato
principale sia stata determinata in appello in misura inferiore ad
anni cinque, sanzione questa che per la sua dimensione temporale
impone diversi termini per quelle accessorie.
4. Il ricorso è fondato limitatamente alla doglianza sviluppata col
secondo motivo dal difensore di fiducia.
4.1 Il ricorso personale ed il primo motivo del ricorso curato
dall’avv. Jappelli sono invece infondati.
4.1.2 Ed infatti, è pur vero che la sentenza impugnata, nel
descrivere analiticamente il conteggio per la determinazione della
pena, non dà atto delle ragioni delle relative quantificazioni, ma
nella situazione data siffatta omissione non può ritenersi illegittima

ordine ai fatti contestatigli e rinunciava ad ogni motivo di gravame
con la sola eccezione di quelli relativi all’attenuante della
provocazione, giustificata col fatto in sé e con il furto subito presso
il suo esercizio commerciale soltanto dieci giorni prima, ed alle
attenuanti generiche. La Corte di assise di appello di Napoli, con
sentenza deliberata il 12 maggio 2015, riconosceva la invocata
provocazione, ricorrendone i requisiti, concedeva le circostanze
attenuanti generiche e per l’effetto riduceva la pena ad anni cinque
e mesi quattro di reclusione.

posto che palese appare la volontà della corte di ridurre al minimo
possibile la sanzione finale da infliggere. La pena base è stata
individuata nel minimo edittale, la diminuzione per l’attenuante
riconosciuta del risarcimento del danno è stata applicata nella sua
massima estensione, quella della provocazione, che nella massima
estensione sarebbe stata pari ad anni 4 e mesi 8, è stata invece
applicata nella misura di anni 4 e mesi 4, eppertanto in termini
vicinissimi al massimo consentito dalla legge, la riduzione per le
attenuanti generiche è stata applicata nel massimo consentito,
mentre l’aumento per la continuazione riconosciuta in riferimento al
reato di tentato omicidio è stato fissato in un anno e sei mesi.
Orbene per le diminuzioni è stato pertanto applicato il regime più
favorevole possibile, con la sola eccezione di quattro mesi (anni 4 e
mesi 8, in luogo di anni 4 e mesi 4 riconosciuti in diminuzione) per
la provocazione, di guisa che, tenuto conto di tale quadro e della
circostanza che la determinazione sanzionatoria è espressione tipica
della funzione e della discrezionalità del giudice, non può per
questo minimo discostamento ravvedersi un vizio motivazionale
apprezzabile, idoneo ad integrare vizio di legittimità ai sensi
dell’art. 606 c.p.p., co. 1 lett. e) (cfr. Cass., sez. IV, n. 46412,
4.11.2015, rv. 265283).
4.1.2 Rimane l’aumento di pena per la continuazione, fissato in un
anno e sei mesi dalla corte di secondo grado in riferimento al reato
di omicidio tentato. Ebbene, anche in questo caso, è pur vero che
era possibile, in astratto, un aumento di un solo giorno, ma è
altrettanto vero e comunque assai più ragionevole delibare la
questione sottoposta dalla difesa rilevando che la pena in
discussione si appalesa estremamente favorevole all’imputato,
dappoichè riferita al tentativo di consumazione del reato più grave
tra quelli previsti dall’ordinamento, l’omicidio, che nella sua
dimensione edittale minima è punito, come a tutti noto, con la pena
di anni ventuno di reclusione. Anche in questa ipotesi pertanto, non
può ravvisarsi alcun vizio motivazionale in considerazione della
indicazione di una sanzione, ancorchè a titolo di continuazione,
estremamente favorevole all’imputato, che anche con l’applicazione
della disciplina di favore di cui all’art. 81 c.p., rischiava una pena
complessiva pari ad anni trenta di reclusione (comunque sulla
3

mancanza di uno specifico obbligo di motivazione nella ipotesi data
crf.: Cass., sez. I, 29847, del 30.4.2015, rv. 264551, a maggior
ragione se in costanza di un aumento inferiore all’aumento medio
previsto dall’art. 81 c.p.: Cass., sez. IV, 28139 del 23.6.2015,
rv.264101).
5. Fondato è, viceversa, il secondo motivo del ricorso proposto
dall’avv. Jappelli.

Ed invero, come opportunamente denunciato dalla difesa ricorrente,
il giudice di primo grado, correttamente, con la condanna alla pena
di dodici anni di reclusione, ai sensi degli artt. 29 e 32 c.p. aveva
applicato all’imputato le sanzioni accessorie, rispettivamente, della
interdizione perpetua dai pp.uu. e della interdizione legale per la
durata della pena.
Il giudice dell’appello, riformando la pena e riconducendola ad anni
cinque e mesi quattro di reclusione, comprensiva dell’aumento di
pena di un anno e sei mesi, ha illegittimamente mantenuto le
sanzioni accessorie nei termini temporali decisi dal primo giudice.
La fattispecie infatti trova la sua regolamentazione negli artt. 29 e
32 c.p.. Il primo di essi, al primo comma, per quanto di interesse,
statuisce che, in ipotesi di condanna alla reclusione per un tempo
non inferiore a cinque anni, si applica la sanzione accessoria della
interdizione perpetua dai pp.uu., mentre, in ipotesi di condanna
inferiore e comunque non inferiore ad anni tre di reclusione,
l’interdizione detta va imposta per il minor tempo di anni cinque.
Analogamente l’art. 32 c.p. dispone che, in ipotesi di condanna alla
pena della reclusione non inferiore a cinque anni, si applica la
interdizione legale per la durata della pena, nulla viceversa
disponendo per condanne di minore gravità.
In riferimento alla interdizione legale, pertanto, nessun vulnus
risulta apportato all’imputato condannato, giacchè essa avrà durata
pari al tempo della pena, così come statuito dal giudice di primo
grado, non avendo fatto riferimento tale ultimo giudice alla pena in
concreto inflitta in quella fase processuale ma in astratto a quella da
espiare.

4

Nel caso concreto si pone quindi la questione giuridica della
individuazione di quale pena debba essere considerata dal
giudicante per l’applicazione o meno della interdizione legale e per
la individuazione delle diverse dimensioni temporali previste dalla
norma per la interdizione dai pp.uu., in perpetuo ovvero a termine,
in ipotesi in cui la pena base subisca aumenti e riduzioni in
applicazione delle particolari discipline codicistiche sulla
regolamentazione sanzionatoria. Nel caso di specie la pena in
concreto inflitta è superiore ad anni cinque, mentre la pena base
prima dell’aumento a titolo di continuazione era inferiore a tale
limite e su di essa (pena) è stato applicato altresì la riduzione di un
terzo per il rito.
Le questioni ora prospettate hanno trovato soluzione
nell’insegnamento di questa Corte, a partire da Sez. U, n.. 8411 del
27/05/1998, Rv. 210980, secondo cui “ai fini dell’applicazione
all’esito del giudizio abbreviato della pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici, deve sempre aversi riguardo
alla pena principale irrogata in concreto, come risultante a seguito
della diminuzione effettuata per la scelta del rito”. Con riferimento
poi alla incidenza sulla disciplina in discorso degli aumenti di pena
per la continuazione, ancora di recente questa sezione della corte ha
avuto modo di affermare il principio secondo cui “in caso di
condanna per reato continuato, la pena principale alla quale si
deve fare riferimento per stabilire la durata della conseguente pena
accessoria è quella inflitta per la violazione più grave, come
determinata per effetto del giudizio di bilanciamento tra le
circostanze attenuanti ed aggravanti, e non già quella
complessivamente individuata tenendo conto dell’aumento per la
continuazione” (fattispecie relativa alla pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici) (Cass., Sez. 1, n. 7346 del
30/01/2013, Rv. 254551; conf.: N. 9329 del 1991 Rv. 188186, N.
17542 del 2006 Rv. 234496, N. 27700 del 2007 Rv. 237118).
Entrambi i principi hanno infine ricevuto autorevole conferma nella
recente sentenza, ancora di questa sezione della corte (Cass., Sez. 1,
n. 18149 del 4.4.2014, Rv. 259749) il cui arresto appare opportuno
riportare: “ai fini della applicazione della pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici, la sussistenza del presupposto
5

Traendo pertanto le conclusioni dalle esposte premesse, la sentenza
impugnata va annullata senza rinvio, ricorrendo l’ipotesi di cui
all’art. 620 c.p.p., co. 1 lett. 1, limitatamente alle sanzioni accessorie
le quali, in riferimento alla interdizione dai pp.uu., va ridotta, ai
sensi dell’art. 29 c.p. co. 1, ad anni cinque ed i riferimento a quella
legale, va del tutto espunta. Rigetto nel resto

P. T. M.
la Corte, annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente
alla interdizione legale, che esclude, ed alla interdizione dai
pubblici uffici, che determina in quella temporanea di anni cinque;
rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, addì 30 marzo 2016
Il cons. est.

costituito dal “quantum” di reclusione irrogata a titolo di pena
principale deve essere valutata tenendo conto anche delle eventuali
diminuzioni processuali” (In applicazione del principio, la Corte ha
ritenuto illegittima la conferma, in appello, della pena accessoria
dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, in relazione ad una
pena base per il più grave dei delitti in continuazione rideterminata,
al netto della riduzione del terzo per il rito abbreviato, nella misura
di anni due e mesi otto di reclusione.

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