Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27981 del 30/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27981 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

Data Udienza: 30/03/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE LUNA MAURIZIO N. IL 13/02/1964
avverso la sentenza n. 715/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
23/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.TAgAtee£G)A0-04 , Y4-to
che ha concluso per _E ( 4,149.Luzt»PlAlse-W »G(14,

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Ritenuto in fatto

1.Con sentenza in data in data 5 maggio 2011, il Tribunale di Milano

attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti di cui all’art.
219 I. fall., commi 1 e 2, alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione perché
ritenuto responsabile dei delitti di concorso in emissione di fatture per operazioni
parzialmente inesistenti, in bancarotta fraudolenta per distrazione ed in bancarotta
documentale, questi ultimi contestati in relazione al fallimento della s.r.l. Lavori
Stradali, dichiarato con sentenza del Tribunale di Milano del 3/4/2009; il De Luna
veniva altresì condannato al risarcimento del danno in favore della costituita parte
civile fallimento “Lavori Stradali s.r.l.” da liquidarsi in separata sede, con la
concessione della provvisionale immediatamente esecutiva di euro 800.000,00.
2. Interposto appello da parte dell’imputato, la Corte d’appello di Milano, con
sentenza del 16 marzo 2012, in parziale riforma della sentenza impugnata,
assolveva il De Luna dal reato di bancarotta documentale di cui al capo h) perché il
fatto non costituisce reato e, esclusa l’aggravante di cui all’art. 219 I. fall., comma 2)
n. 1, rideterminava in anni quattro di reclusione la pena inflittagli.
3.

La Corte di cassazione, sezione quinta penale, investita del ricorso

dell’imputato, con sentenza n. 1706 del 12 novembre 2013 annullava la sentenza di
appello limitatamente alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui
all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 e rinviava per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione
della Corte d’appello di Milano.
4. Nel successivo giudizio di rinvio la predetta Corte distrettuale con sentenza
del 23 febbraio 2015 riformava ulteriormente la pronuncia del Tribunale di Milano e,
previa esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991,
rideterminava la pena in anni tre di reclusione.
5. Avverso detta sentenza ha nuovamente proposto ricorso l’imputato a mezzo
del difensore per chiederne l’annullamento per inosservanza e/o erronea
applicazione di norme sostanziali e processuali in relazione alla violazione degli artt.
219 c. 1 e 223 L. Fall., 62-bis, 81, 133 cod.pen., 125 cod. proc. pen., comma 3, 597
cod. proc. pen., commi 3 e 4, nonché carenza, illogicità e contraddittorietà della
motivazione in ordine ai seguenti punti.
a) La Corte territoriale, pur avendo accolto il motivo di appello concernente
l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 del d.l. 152/91, ha ingiustannen

condannava, tra gli altri, Maurizio De Luna, previa concessione delle circostanze

condannato il De Luna ad una pena di anni tre di reclusione per il solo fatto di reato
di cui al capo g) e ha errato nell’applicare la circostanza aggravante del danno
patrimoniale di rilevante gravità di cui all’art. 219 c. 1 I. fall. all’ipotesi di bancarotta

riferibile per la diversità strutturale ed ontologica sussistente tra la bancarotta
fraudolenta impropria e quella ordinaria, che non consente l’estensione in via
analogica alla prima dell’aggravante del danno di rilevante entità, che si risolverebbe
in un’operazione di analogia in malam partem. In subordine, in caso di mancato
annullamento della sentenza, ha chiesto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite,
occorrendo dirimere il contrasto insorto tra diverse decisioni sul punto della
b) Ha altresì escluso la concessione delle circostanze attenuanti generiche, sebbene
le stesse fossero state già applicate dal Tribunale e poste in rapporto dì equivalenza
con le aggravanti ex artt. 219 e 223 I. fall., sicchè la loro esclusione si è posta in
contrasto col divieto di reformatio in peius previsto dall’art. 597 cod. proc. pen.,
comma 3, che investe ogni elemento che concorre al calcolo della pena. Inoltre,
dette circostanze avrebbero dovuto essere dichiarate prevalenti rispetto all’unica
residua aggravante contestata e ritenuta sussistente, dal momento che l’altra era
stata già esclusa, il che ha imposto l’obbligo di rinnovare il bilanciamento tra
elementi circostanziali di segno diverso, o comunque di rendere congrua motivazione
sul punto. Al contrario, il diniego delle attenuanti generiche è illogicamente motivato
sulla base del rilievo dei plurimi precedenti penali dell’imputato, il quale, invece, ha
un unico precedente penale, costituito dalla sentenza di patteggiannento emessa dal
G.I.P. del Tribunale di Milano in data 30/9/2009, riferita ai medesimi fatti oggetto
dell’odierno procedimento e, soprattutto, alla medesima condotta, mentre le altre
precedenti condanne riguardano fattispecie depenalizzate.
c) Omessa statuizione in ordine alla richiesta difensiva di applicazione del vincolo
della continuazione tra i fatti giudicati e quelli oggetto della sentenza del G.I.P. di
Milano del 30/9/2009, riguardante fatti contestati nell’ambito dello stesso
procedimento e la medesima vicenda storica.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi preclusi.
1.Va premesso che la sentenza rescindente della Suprema Corte ha ritenuto di
accogliere il solo motivo di ricorso, proposto nell’interesse dell’odierno ricorrente,

2

c.d. impropria, alla quale, secondo autorevole opinione dottrinale, la stessa non è

incentrato sulla circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare
l’organizzazione criminosa di stampo mafioso Barbaro-Papalia, che ha rimesso alla
rinnovata valutazione dei giudici di appello, mentre ha respinto le ulteriori

per distrazione, accertata come compiuta in danno della s.r.l. Lavori Stradali.
1.1 La sentenza emessa in sede di rinvio si è attenuta al mandato conferito dal
giudice di legittimità e, pervenuta all’esclusione della citata aggravante, ha
rideterminato anche il trattamento sanzionatorio in riferimento a quanto già statuito
nel precedente giudizio di appello, nel quale si era mantenuto il bilanciamento in
termini di equivalenza tra le concesse circostanze attenuanti generiche e la residua
ravvisata aggravante dell’aver cagionato un danno di rilevante gravità alla società
fallita, sicchè dalla pena indicata quale base di calcolo e pari al minimo edittale, ha
eliminato l’aumento di un anno di reclusione, applicato per l’esclusa aggravante di
cui all’art. 7 I. n. 203/91. Il ricorrente censura tale determinazione sotto vari profili.
2. In primo luogo, non risulta dagli atti processuali che egli avesse investito la
sentenza di primo grado di censure riguardanti la contestazione della circostanza
aggravante di cui all’art. 219 I. fall., comma 1, ed avesse introdotto il tema in punto
di diritto della sua non riferibilità alla fattispecie della bancarotta patrimoniale c.d.
“impropria”, che non è nemmeno incluso nei motivi del precedente ricorso per
cassazione, e, di conseguenza, non è stato affrontato e risolto nella pronuncia di
legittimità, come attesta anche la sentenza in verifica. Si tratta dunque di una
questione del tutto nuova, mai sollevata con le impugnazioni già esperite, né con
l’atto di appello -nel quale si era invocata l’assoluzione con formula ampiamente
liberatoria, la revoca delle statuizioni civili, il contenimento della pena nel minimo
edittale con giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti
contestate e previa esclusione di quella dell’agevolazione di sodalizio mafioso-, né
col ricorso per cassazione e che quindi resta preclusa dall’intervenuta formazione del
giudicato parziale sul punto della responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di
cui al capo g) come ravvisato nella pronuncia di appello, comprensivo della
circostanza aggravante non investita dall’effetto rescindente, limitato alla sola altra
aggravante speciale. Pertanto, per il principio di formazione progressiva del
giudicato, sancito dall’art. 624 cod. proc. pen., che si realizza in conseguenza della
pronuncia della Corte di cassazione di parziale annullamento di alcuni capi o punti
della decisione impugnati, sulle statuizioni suscettibili di autonoma considerazione e
non dipendenti da quelle oggetto di annullamento con rinvio, non è più consentito

3

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contestazioni che avevano investito il merito dell’addebito di bancarotta fraudolenta

muovere contestazioni, perché non più suscettibili di ulteriore riesame. In tal senso
si è già espressa questa Corte con orientamento condivisibile laddove ha affermato
l’annullamento parziale della sentenza di condanna, limitatamente ad una

sentenza che concerne la pena base, perché non legata da connessione essenziale
con la parte oggetto dell’annullamento, sicché nel giudizio di rinvio è preclusa la
possibilità di procedere alla rideterminazione di essa (Cass. sez. 2, n. 37689 del
08/07/2014, P.G. in proc. Dori e altro, rv. 260327; sez. 6, n. 25181 del 12/06/2012,
S., rv. 253120).
3. Analoghi rilievi valgono quanto al tema della continuazione tra il reato
giudicato e quello oggetto della sentenza di patteggiamento, risalente al 30/9/2009,
questione dunque ampiamente deducibile nei gradi di merito, a partire dal primo, ma
dedotta soltanto in sede di discussione davanti al giudice di rinvio con produzione
alla stessa udienza della predetta sentenza di patteggiannento, secondo quanto
riportato nel verbale della relativa udienza. Pertanto, se ritenuto opportuno, la
richiesta dovrà essere devoluta al giudice dell’esecuzione.
4. Altrettanto preclusa è la questione sollevata in ordine al confermato giudizio
di equivalenza delle circostanze, che seppur devoluto all’originario giudice di appello,
che sul punto ha comunque confermato la decisione di primo grado, non è stata
posta con il precedente ricorso per cassazione e non è stata nemmeno oggetto di
annullamento da parte della Corte di cassazione e non può quindi essere recuperata
in sede di rinvio.
4.1 Occorre soltanto precisare al riguardo che la motivazione della sentenza in
esame contiene certamente un errore, laddove ha riportato il disposto diniego da
parte del giudice di appello delle circostanze attenuanti generiche, che, al contrario,
erano state già riconosciute e dichiarate equivalenti alle aggravanti, allora ancora
contestate; ciò nonostante, non può ritenersi che negli effetti pratici il trattamento
sanzionatorio comminato nel giudizio di rinvio contrasti col principio che vieta la
riforma con esiti peggiorativi della pena in assenza di impugnazione da parte
dell’accusa, posto che la sentenza in verifica nel dispositivo ed anche nella
motivazione non ha eliminato per effetto di propria determinazione autonoma un
elemento accidentale favorevole, già irrevocabilmente riconosciuto all’imputato e
non ha perciò incrementato la pena, ma ha lasciato inalterata quella base minima di
tre anni di reclusione, che è stata determinata soltanto per effetto del giudizio di

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circostanza, implica la formazione del giudicato relativamente alla parte della

equivalenza tra le predette attenuanti e l’aggravante di cui all’art. 219 I. fall.,
comma 1.
Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile con la

relazione ai profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
Cost. sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della Cassa delle
ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare per ciascuno in euro
mille, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 (mille) alla Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 marzo 2016.

conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e,

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