Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27980 del 30/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27980 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
NAPOLI
nei confronti di:
BIDOGNETTI RAFFAELE N. IL 10/02/1974
inoltre:
DIANA FRANCESCO N. IL 03/02/1979
ANNICELLI PASQUALE N. IL 25/10/1972
avverso la sentenza n. 95/2013 CORTE ASSISE APPELLO di
NAPOLI, del 10/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore Geperale in persona del Dott.batak e itAteA
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jienr. jeLtitr.
che ha concluso per j ‘9~1,(29(
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Ace)(+4:

Udito, per la parte ‘vile, l’Avv

Data Udienza: 30/03/2016

Udit i difensor Avv.

Ritenuto in fatto
1.La Corte di Assise di appello di Napoli con sentenza in data 10 ottobre
2014 riformava parzialmente quella emessa dal GUP del Tribunale di Napoli il 17
aprile 2013 ed assolveva per non aver commesso il fatto l’imputato Raffaele
Bidognetti dal delitto di concorso in omicidio premeditato ed aggravato ai sensi
dell’art. 7 L. n. 203/91, commesso in data 22 gennaio 2004 in danno di
Domenico Ucciero e dai connessi delitti di detenzione e porto illegali delle armi
impiegate nell’omicidio; confermava nel resto la stessa pronuncia, che aveva

per tali reati ed altro omicidio commesso in danno di Michele Misso in data 23
novembre 2003 e Pasquale Annicelli alla pena di anni due, mesi otto di
reclusione per il delitto di corruzione.
1.1 A fondamento della decisione la Corte distrettuale rilevava che, sulla
base delle dichiarazioni dei collaboratori Massimo Iovine, Francesco Diana e
Luigi Guida e delle intercettazioni telefoniche oltre che dalle connesse indagini di
polizia giudiziaria non era emersa la prova certa della responsabilità del
Bidognetti quale mandante dell’azione omicidiaria in danno dell’Ucciero, in
quanto la sua partecipazione alle riunioni successive a quelle in cui l’omicidio
era stato deliberato da Luigi Guida, all’epoca a capo del sodalizio camorristico,
non indicava la sua adesione al progetto criminoso ed il suo contributo alla
realizzazione successiva, anche in ragione dell’impossibilità giuridica di
attribuirgli la responsabilità per tutti i delitti commessi dall’associazione di
appartenenza in assenza di un qualche apporto alla loro perpetrazione.
2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso il procuratore Generale
presso la Corte di appello di Napoli e gli imputati Francesco Diana e Pasquale
Annicelli.
2.1 Il primo ricorrente si duole di violazione di legge e manifesta illogicità
della motivazione in relazione alla disposta assoluzione del Bidognetti, frutto di
erronea valutazione delle acquisizioni processuali, in particolare delle
dichiarazioni, ritenute attendibili, dei collaboratori di giustizia Iovine Massimo,
Diana Francesco e Diana Tammaro, i quali avevano descritto la presenza
dell’imputato ai vari incontri preparatori dell’omicidio dell’Ucciero ed il suo
assenso alla sua esecuzione, voluta per contrastare il gruppo antagonista, di cui
era parte la vittima designata, che si era reso autore di un attentato ai danni di
Massimo Iovine.
2.2 Francesco Diana a mezzo del difensore deduce mancanza o manifesta
illogicità della motivazione in relazione alla determinazione della pena ed al
diniego delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero dovuto applicarsi
con giudizio di prevalenza, diniego che non ha tenuto conto del positivo
comportamento processuale, della condotta corretta tenuta dal Diana
1

condannato i coimputati Francesco Diana alla pena di anni dodici di reclusione

successivamente al reato e dell’ampio contributo reso per la ricostruzione delle
vicende delittuose, indicativi di un’evoluzione positiva della sua personalità. La
motivazione con la quale la Corte di merito ha respinto la richiesta di
applicazione delle predette attenuanti non è condivisibile stante la distinzione
degli elementi da valutare per il riconoscimento delle attenuanti generiche
rispetto a quella della collaborazione con la giustizia.
2.3 Pasquale Annicelli a mezzo del difensore ha lamentato manifesta
illogicità della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti
generiche e mancanza di motivazione in ordine alla valutazione della

benefici richiesti sulla base di una non corretta e completa considerazione della
sua condotta collaborativa senza considerare che egli aveva offerto un
tempestivo contributo all’accertamento delle vicende criminose ed ulteriori
acquisizioni su fatti dallo stesso non svelati.

Considerato in diritto

Il ricorso del Procuratore generale è fondato e va dunque accolto, mentre i
ricorsi degli imputati sono inammissibili.
1. L’impugnazione proposta dal Procuratore distrettuale contrasta il
giudizio assolutorio, reso a favore del Bidognetti con argomentazioni sintetiche,
ma sufficienti a denunciare il grave vizio di contraddittorietà ed illogicità in cui è
incorsa la motivazione della sentenza impugnata. Detta pronuncia, constatato
che il primo giudice aveva fondato il verdetto di colpevolezza a carico del
Bidognetti sul rilievo della sua partecipazione al sodalizio camorristico ed a
qualche riunione organizzativa, successiva a quella, in cui si era discusso
dell’azione omicidi aria contestatagli, sicchè il suo assenso non si era esaurito
nella mera presa d’atto della decisione già adottata da altri, ma aveva influito
sulla determinazione degli altri sodali, ha rilevato che, da un lato l’assunzione
del ruolo dirigenziale od organizzativo all’interno di associazione criminosa e la
dimestichezza con azioni analoghe non giustificano di per sé la configurazione
della responsabilità concorsuale, dall’altro, in concreto, che gli apporti
conoscitivi forniti dai collaboratori di giustizia non offrono dati certi di
conoscenza per riconoscere il suo contributo alla decisione ed esecuzione del
delitto.
1.1 In particolare, previa analisi delle singole fonti di prova, ha osservato
che:
-lo Iovine, nel descrivere tutte le fasi del delitto dalla sua deliberazione, alla
preparazione sino alla realizzazione, aveva riferito che il Bidognetti, scarcerato a
fine 2003, aveva preso parte alle riunioni del gruppo camorristico, nel corso
2
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collaborazione prestata; secondo il ricorrente, la sentenza ha escluso entrambi i

delle quali si era deciso di sopprimere l’Ucciero e si era assegnato l’incarico allo
stesso collaborante, nonché ad un concreto tentativo di portare a segno il
progetto in danno di qualcuno degli Ucciero, fallito per la sottrazione di Massimo
Ucciero vittima all’agguato tesogli per farlo uscire dalla sua abitazione;
-che analoghe informazioni aveva offerto anche il collaboratore Francesco
Diana, secondo il quale sia il Guida, che il Bidognetti, nella rispettiva qualità di
referenti del clan di camorra per la zona di Villa Literno, avevano manifestato il
loro consenso all’eliminazione degli avversari del clan Tavoletta, fra í quali
l’Ucciero, che era riuscito a sfuggire ad un’aggressione portata contro lo stesso

ed il fratello ad opera del Bidognetti, il quale si era posto alla loro ricerca
unitamente ad Emilio Di Caterino ed a Massimo !ovine;
-che dal canto suo anche Luigi Guida aveva descritto le fasi organizzative del
delitto, nonché la partecipazione del Bidognetti a quelle successive al primo
incontro nelle quali si era discusso di come eliminare i componenti del gruppo
Tavoletta, fra i quali l’Ucciero, mentre Tammaro Diana aveva confermato la
presenza del Bidognetti alle medesime riunioni.
1.2 E’ dunque pervenuta alla conclusione che la genericità dei riferimenti,
operati dal Guida e dallo Iovine nella rispettiva rievocazione dell’episodio
omicidiario, a temporalmente imprecisate riunioni preparatorie, cui avrebbe
preso parte l’imputato ed al suo contributo dato alla decisione di eliminare
l’Ucciero, nonché la mancata convergenza con quelle degli altri propalanti delle
informazioni rese dal Diana, la cui presenza alle medesime riunioni non era
stata riferita da altre fonti e la cui descrizione del tentato agguato ai fratelli
Massimo e Domenico Ucciero non corrispondeva al racconto dello Iovine,
privavano il processo di prova certa della responsabilità del Bidognetti in ordine
ai delitti ascrittigli.
2. Ebbene, la conclusione raggiunta dalla Corte di assise di secondo grado
incorre nei vizi denunciati poiché non rispetta i criteri legali di valutazione della
chiamata in correità e soffre di un parziale travisamento per omissione dei dati
probatori acquisiti.
2.1 In primo luogo, la sentenza non qualifica la natura delle dichiarazioni
accusatorie a carico del Bidognetti, provenienti da quattro diversi collaboratori
di giustizia, ma della cui attendibilità intrinseca e credibilità oggettiva non dubita
perché non muove alcuna obiezione al relativo giudizio diffusamente espresso
nella sentenza di primo grado, appuntandosi soltanto sul significato
dimostrativo delle rispettive rivelazioni e sull’impossibilità di rinvenirvi un nucleo
narrativo comune e convergente in ordine all’effettivo espletamento di un ruolo
da parte del Bidognetti nell’omicidio di Domenico Ucciero.
In tal modo non si avvede che l’imputato è raggiunto da quattro diverse
chiamate in correità, provenienti dal Guida, dallo Iovene, da Francesco Diana e

3

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da Tammaro Diana, ossia da esponenti della stessa organizzazione camorristica,
dei quali i primi tre coinvolti per loro stessa ammissione e reciproca accusa nello
stesso omicidio in ruoli di mandante il primo, di esecutore materiale il secondo,
di localizzatore della vittima il terzo, di istigatore del delitto l’ultimo. Inoltre,
tutti costoro risultano avere riferito che il Bidognetti nel periodo successivo alla
sua scarcerazione, avvenuta nell’ottobre 2003, aveva preso parte alle riunioni
tra esponenti della stessa cosca camorristica, al cui vertice era posto
unitamente al Guida, nel corso delle quali si era discusso di come realizzare
l’omicidio di Domenico Ucciero nell’ambito della strategia di contrasto del clan

Massimo Iovene era scampato nel settembre 2003 e per contrastare il tentativo
di tale organizzazione rivale di assumere il controllo delle estorsioni nella zona
di Villa Literno. Per quanto riportato nella stessa sentenza, le medesime fonti
hanno riferito, non soltanto l’assenso dato dal Bidognetti all’uccisione
dell’Ucciero, già deliberata in precedenza, ma l’hanno coinvolto anche nella fase
operativa di attuazione del progetto omicidiario, in quanto sia lo Iovene, che
Francesco Diana e Tammaro Diana hanno riferito che egli subito dopo la sua
scarcerazione, unitamente allo Iovene ed a Emilio Di Caterino, aveva preso
parte ad un agguato diretto a colpire Domenico e Massimo Ucciero nei pressi
dell’abitazione dei parenti della moglie del primo, ove anche il fratello in quel
periodo pernottava, ma che a causa dell’inceppamento di un’arma l’omicidio non
si era potuto compiere, anche se poi era stata colpita l’autovettura della madre
degli Ucciero.
2.2 Ebbene, in considerazione delle stesse notizie riportate nella
motivazione della sentenza impugnata, non appaiono pertinenti i rilievi critici
sull’omessa indicazione da parte dei predetti collaboratori delle date nelle quali
le riunioni preparatorie dell’omicidio si sarebbero tenute, che sono state
collocate negli ultimi mesi del 2003, quindi in un periodo di riacquistata libertà
da parte dell’imputato, e sono state specificate nei luoghi ed in alcuni casi nei
partecipanti; inoltre, è stato chiaramente espresso che il Bidognetti, nella sua
qualità di referente del clan per la zona di Villa Literno come il Guida, aveva
dato il proprio assenso all’esecuzione dell’omicidio, ossia aveva permesso con la
propria autorità criminale, dipendente dalla posizione di vertice ricoperta nel
sodalizio, che lo stesso fosse realizzato ed aveva altresì preso parte
personalmente al tentativo di realizzarlo nei pressi dell’abitazione dei congiunti
della moglie della vittima in un’occasione in cui questa ed il fratello era sfuggiti
all’agguato. Non assume alcun rilievo che Francesco Diana non sia stato indicato
dalle altre fonti quale partecipe agli incontri preparatori, dal momento che ne è
stata accertata la responsabilità in ordine allo stesso omicidio quale
“specchiettista” e quale affiliato allo stesso clan camorristico, mentre che e li
4

antagonista Ucciero-Tavoletta per il duplice fine di vendicare l’attentato cui

abbia avvertito il solo Guida e non il Bidognetti dell’esecuzione dell’omicidio
resta smentito da quanto riportato a pag.10 della sentenza impugnata, laddove
egli ha riferito che egli, sebbene presente col Guida presso il deposito in
Lusciano dal quale era partito il “commando” incaricato di attuare il piano
criminoso, non era stato rinvenuto col Guida al ritorno, ma era stato in seguito
informato dell’esito dell’operazione, appreso altresì dalle notizie di stampa.
2.3 La sentenza impugnata ha svalutato il contributo informativo di fonti di
non censurata attendibilità sulla base di una lettura parcellizzata del loro
apporto conoscitivo e di obiezioni smentite da quanto riportato dalla stessa

coerenza argomentativa.
3. Il ricorso proposto nell’interesse di Francesco Diana ripropone la
questione del trattamento sanzionatorio in riferimento al diniego delle
circostanze attenuanti generiche, che è stata già affrontata a risolta nella
sentenza in verifica col rilievo del positivo apprezzamento della collaborazione
prestata con la giustizia, tale da non comportare però in via automatica anche il
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sulla base degli stessi
elementi valorizzati per applicare l’attenuante speciale di cui all’art. 8 L. n.
203/91; inoltre, la Corte distrettuale ha considerato quali elementi negativi il
movente particolarmente riprovevole delle azioni delittuose, il ruolo svolto da
ciascun imputato ed i gravi ed allarmanti precedenti, che, unitamente
all’assenza di altri profili favorevoli di valutazione, impediscono di accordare
ulteriori diminuzioni di pena.
3.1 Ebbene, a fronte di una motivazione effettiva, compiuta, logica e
chiaramente idonea a rappresentare le ragioni della decisione sul punto in
aderenza alle emergenze processuali, il ricorso si esaurisce nella proposizione di
censure generiche e prive di consistenza. Invero, la pronuncia in verifica non si
è attenuta alla sola considerazione della gravità oggettiva del reato, ma ha
esteso la propria analisi al comportamento dell’imputato tenuto
successivamente ai fatti ed alla rilevanza dimostrativa del suo apporto
informativo, ritenuto di minore spessore ed incidenza rispetto a quello offerto
dal coimputato Iovene.
3.2 In tal modo ha pienamente e logicamente giustificato la decisione di
diniego delle circostanze attenuanti generiche, mentre è l’impugnazione a
dedurre in modo vago ed imprecisato che avrebbero dovuto essere incluse nella
valutazione anche le caratteristiche di personalità dell’imputato e la sua positiva
evoluzione dopo i delitti ascrittigli : trascura però di enunciarne le ragioni e di
porle in relazione con gli altri elementi già oggetto di considerazione, così come
non riesce ad indicare qualche concreto profilo positivo, rimasto estraneo al
perimetro valutativo dei giudici di merito.
5

sentenza, la cui motivazione resta compromessa nella sua tenuta logica e nella

3.3 I punto di diritto, questa Corte ha già affermato in passato che le
circostanze attenuanti generiche assolvono alla funzione di consentire al giudice
di superare la rigidità dei limiti edittali di pena e di adeguarla al caso concreto
ed alla personalità di colui che lo ha commesso, valorizzando elementi che, per
la loro varietà casistica, non si prestano ad essere inclusi in una previsione
generalizzata e che vengono individuati, facendo ricorso ai criteri indicati
dall’art. 133 cod.pen., ossia nei motivi della condotta, nelle circostanze che lo
hanno accompagnato, nel danno cagionato, nel comportamento anche
successivo tenuto dal reo, tutti dati di conoscenza indicativi della meritevolezza

criminosa. E’ altresì noto che nella conduzione del relativo giudizio il giudice
gode di ampia discrezionalità, essendogli consentito negare le attenuanti
generiche in forza della natura e della gravità del fatto, oltre che della negativa
personalità del suo autore, quali profili di disvalore di particolare rilevanza e
preponderanti, tali da superare eventuali aspetti positivi, quali il sincero
pentimento e la leale collaborazione con la giustizia. Il relativo giudizio di fatto
deve essere sorretto da motivazione effettiva, che, se congrua e non
contraddittoria, non può essere sindacata in fase di legittimità neppure quando
difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori favorevoli,
indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Caridi, rv.
242419; sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, rv. 249163), non essendo
necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi positivi o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, bastando il riferimento a
quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti
gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, rv.
248244; sez. 2, n. 8434 del 05/02/2013, Mariller, rv. 255257).
Quanto al rapporto tra tale istituto e la circostanza attenuante prevista
dal D.L. n. 152 del 1991, art. 8, il cui riconoscimento postula l’accertamento del
proficuo contributo fornito alle indagini o del contributo offerto per evitare
conseguenze ulteriori dell’attività delittuosa, quindi la positiva verifica di
presupposti diversi da quelli richiesti per applicare le circostanze attenuanti
generiche, fondate su una valutazione complessiva del fatto in tutte le sue
componenti oggettive e soggettive, in linea di principio non sussiste, nè alcuna
incompatibilità, né alcun vincolo alla loro concessione contestuale, dipendendo
la soluzione concreta dalle situazioni specifiche. E’ però certo che l’applicazione
dei due istituti non può essere giustificata in forza dello stesso dato positivo,
perché tanto si risolverebbe in “un’inammissibile ripetuta valorizzazione dei
medesimi elementi” (in tali termini Cass. sez. 5, n. 34574 del 13/07/2010,
Russo, rv. 248176, nonché sez. 2, n. 2833 del 27/09/2012, P.C., Adamo e altri,
rv. 254299; sez. 6, n. 20145 del 15/04/2010, Cantiello e altri, rv. 247387; se

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di un adattamento della pena edittale prevista per ciascuna fattispecie


1, n. 14527 del 3/2/2006, Cariolo, rv. 233938), come già evidenziato con
congrua enunciazione nella sentenza impugnata.
4. Anche il ricorso proposto dall’Annicelli si appunta sul trattamento
sanzionatorio: al riguardo la sentenza impugnata ha confermato le valutazioni
del primo giudice in ordine al rilievo marcatamente negativo rivestito dai plurimi
e gravi precedenti penali riportati dal ricorrente anche per violazioni della
disciplina sugli stupefacenti, dalla gravità oggettiva del delitto di corruzione,
commesso in stato di detenzione e per finalità certamente riprovevoli, dalla
tardiva confessione resa nel corso del 2012 quando egli era stato già raggiunto

sentenza di primo grado sono indicate come risalenti al 2008 ed al 2009. Anche
in questo caso gli aspetti valorizzati dai giudici di merito rispettano fedelmente
le acquisizioni probatorie e presentano coerenza logica e congruità esplicativa
che il ricorso non riesce nemmeno a scalfire, posto che il comportamento
processuale positivo è stato ritenuto indotto dall’evidenza degli elementi di
accusa raccolti a suo carico e non da un moto spontaneo di pentimento.
Per le considerazioni svolte la sentenza impugnata va annullata
limitatamente alla posizione di Raffaele Bidognetti con rinvio per nuovo giudizio
ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Napoli, mentre i ricorsi del
Diana e dell’Annicelli vanno dichiarati inammissibili con la conseguente loro
condanna al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del
2000), ciascuno anche al versamento a favore della Cassa delle ammende di
sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare per ciascuno in euro mille,
ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.

P. Q. M.

annulla la sentenza impugnata nei confronti di Bidognetti Raffaele e rinvia
per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Napoli.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Diana Francesco e Annicelli Pasquale e li
condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00
(mille) cadauno alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 marzo 2016.

dalle dichiarazioni accusatorie di Massimo Iovene e Francesco Diana, che nella

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