Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27978 del 30/03/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 27978 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DELLITURRI TOMMASO N. IL 30/08/1975
avverso la sentenza n. 4196/2013 CORTE APPELLO di BARI, del
10/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO B NITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
czid

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

1’D

CL.e,

Data Udienza: 30/03/2016

1. Con sentenza del 27 novembre 2013 il GUP del Tribunale di Bari
condannava alla pena di anni sette e mesi quattro di reclusione,
concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate
aggravanti e ritenuta la continuazione, Delliturri Tommaso,
giudicato colpevole del tentato omicidio di Cisternino Francesco,
raggiunto da più colpi di pistola esplosi da distanza ravvicinata
(capo a), della detenzione e del porto dell’arma in tal modo
utilizzata (capi b) e c), reati aggravati: ai sensi degli artt. 71 e 73 d.
lgs. 805/1967 ed ai sensi dell’art. 61 n. 2 quelli di cui ai capi b) e c)
ed ai sensi dell’art. 61 n. 1 c.p. il delitto omicidiario. Alla condanna
principale conseguivano quelle accessorie previste dalla legge e le
disposizioni risarcitorie in favore della parte civile.
1.1 La sentenza di primo grado veniva sostanzialmente confermata
dalla Corte di appello di Bari la quale, in data 10 dicembre 2014,
riduceva comunque la pena ad anni sei di reclusione, ritenendola
più adeguata al fatto concreto.
1.2 I giudici di merito, sulla base delle dichiarazioni testimoniali
della p.o., dei testi Dibello Luca, del teste oculare Del Zotti
Francesco, della documentazione sanitaria relativa alle lesioni patite
dal Cisternino, dei chiarimenti su di essi resi dalla d.ssa del pronto
soccorso ospedaliero e della cònfessione da ultimo resa
dall’imputato ricostruivano i fatti di causa secondo i seguenti
profili. Verso le ore tre del 10 marzo 2013 un gruppo di giovani
chiedeva di entrare nella dcoteca denominata “Trappeto” posta in
Comune di Monopoli, ricevendone un diniego da parte del
responsabile della sicurezza Cisternino Francesco, che rilevava
l’assenza di ragazze nel gruppo detto; in tale occasione l’imputato si
sarebbe allontanato dal .luogo proferendo all’indirizzo del
Cisternino con tono minaccioso la frase “ci rivediamo”; ed infatti
verso le successive ore cinque l’imputato sbucava inspiegabilmente
dall’interno della discoteca ed esplodeva all’indirizzo del Cisternino
due colpi di pistola, dei quali uno lo colpiva alla coscia destra; a
questo punto la p.o. reagiva all’aggressione avventandosi contro
l’imputato al fine di disarmarlo ma, nononostante la p.l. avesse

RITENUTO IN FATTO

quasi immobilizzato l’aggressore, questi riusciva ad indirizzare
ugualmente al suo indirizzo altri due, forse tre colpi di pistola,
nuovamente attingendolo alla coscia destra; interveniva a questo
punto la guardia giurata Del Zotti Francesco il quale, considerati i
fatti in corso, esplodeva un colpo di arma da fuoco in aria, iniziativa
questa che metteva in fuga l’imputato; si provvedeva quindi a
chiedere soccorsi ed a trasportare in ospedale il ferito, mentre le
forze dell’ordine, prontamente accorse, procedevano agli
accertamenti protocollari sui luoghi; presso l’ospedale al Cisternino
venivano riscontrate due fori di ingresso e due fori di uscita di
proiettili alla coscia destra ed una ferita di striscio a quella sinistra;
nelle sue sommarie informazioni la dott.ssa Poli, medico del pronto
soccorso dell’Ospedale di Monopoli, nel descrivere e chiarire le
lesioni cagionate alla p.o., precisava esplicitamente che i colpi alla
coscia destra erano passati a pochi millimetri dall’arteria femorale
la quale, “se colpita, avrebbe molto probabilmente cagionato la
morte della vittima per emorragia”.
1.3 Orbene, in forza della riportata ricostruzione della vicenda di
causa e delle acquisizioni probatorie intervenute nel processo, i
giudici di merito e quelli di appello in particolare, negavano
ingresso alla tesi difensiva volta a negare ogni intento omicida in
capo all’imputato e ritenevano viceversa che il numero dei colpi, la
zona attinta, la natura delle lesioni personali cagionate apparivano
sintomatiche di una volontà omicidiaria sorretta da dolo diretto
alternativo.
2. Ricorre per cassazione avverso la decisione della corte
distrettuale barese il Delliturri, assistito dal difensore di fiducia, il
quale nel suo interesse sviluppa. due motivi di impugnazione.
2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente la illogicità e la
carenza della motivazione in riferimento alla valutazione degli
elementi costitutivi del reato più grave ed alla conseguente corretta
qualificazione giuridica della fattispecie contestata, in particolare
osservando: la tesi accusatoria accreditata dalle sentenze di
condanna è nel senso che l’imputato avrebbe accettato il rischio di
colpire l’arteria femorale; l’illogicità della tesi è evidente ove si
consideri che, se l’intento dell’imputato fosse stato realmente quello
2

di uccidere, non avrebbe lo stesso puntato la pistola alle gambe, ma
avrebbe mirato più in alto; a parte la considerazione che la corte
territoriale riconosce all’imputato conoscenze medico-scientifiche
allo stesso del tutto estranee e cioè quella di poter attingere alle
gambe una zona vitale, l’arteria femorale appunto; di qui la
mancanza della prova certa che l’imputato volesse uccidere il
Cistemino e non semplicemente ferirlo e la necessità di
riconsiderare le dichiarazioni della dott.ssa Poli nei termini di una
valutazione tecnica e scientifica, non percepibile dall’imputato nel
momento in cui sparò indirizzando i colpi verso il basso e verso le
gambe; in ogni caso le ferite cagionate ebbero una prognosi di venti
giorni e la p.l. non ha mai corso pericolo di vita; inoltre, l’analisi dei
fatti appare coerente con la conclusione che, al più, il dolo che
animò l’imputato al momento degli spari è riconducibile alla
nozione del dolo eventuale, di per sé incompatibile con il tentativo
come da consolidato insegnamento; vi è poi da rilevare che i colpi
partiti quando l’imputato fu immobilizzato dalla vittima ben
possono essere partiti accidentalmente ed ogni diversa ricostruzione
fondata sulle dichiarazioni della vittima e del teste Del Zotti deve
fare i conti con la natura interessata delle prime e con le
contraddizioni evidenziate per le seconde, l’una e le altre ignorate
dalla motivazione impugnata; decisiva comunque, in questa
seconda fase, quella della colluttazione, è la considerazione che
l’imputato, una volta divincolatosi, non sparò, ma si diede alla fuga,
con ciò dimostrando che non aveva alcuna intenzione di uccidere il
rivale.
2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia infine la difesa
ricorrente, ai sensi dell’art. 606 lett. c) c.p.p., riferito al giudizio di
comparazione delle circostanze al fine di una diversa
quantificazione della pena, in particolare osservando: i giudici di
merito hanno negato il giudizio di prevalenza delle circostanze
attenuanti solo considerando la personalità dell’imputato ed i suoi
precedenti penali, con ciò valorizzando il fatto come sintomatico di
pericolosità sociale; è stato pertanto pregiudicato il principio della
proporzionalità della pena; i termini sanzionatori infatti considerati
ai fini della determinazione della pena appaiono all’evidenza
eccessivi ed in contrasto con gli stessi principi considerati dal
3

giudice dell’appello là dove ha ritenuto severa la regolamentazione
della pena operata dal giudice di primo grado; non ha neppure
considerato la corte territoriale il comportamento collaborativo del
prevenuto.
3. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.

3.1 La corte territoriale ha risolto la questione giuridica relativa alla
qualificazione giuridica della condotta contestata all’imputato
riconoscendo nella fattispecie al suo esame il reato di omicidio
volontario in luogo di quello, difensivamente accreditato, di lesioni
personali aggravate dall’uso dell’arma valorizzando: la reiterazione
dei colpi di pistola esplosi in rapida successione (almeno quattro),
la distanza minima di sparo, pochi centimetri i primi due, a contatto
dei corpi gli altri, l’effetto sorpresa dell’azione di fuoco, la
micidialità dell’arma, il distretto anatomico attinto. Ad avviso della
corte di secondo grado i dati sintomatici appena elencati
dimostrerebbero il dolo intenzionale che animò l’imputato nella
consumazione della condotta imputatagli, giacchè lo stesso accettò
con grado di alta probabilità di attingere la vittima in una parte
vitale e di cagionarne quindi la morte. Ancora, ad avviso dei giudici
di appello, anche il comportamento successivo ai primi due spari e
cioè l’aver perseverato nell’uso dell’arma anche nel corso della
colluttazione successiva (l’imputato avrebbe potuto lasciarsi
disarmare e darsi alla fuga) dimostrerebbe il dolo omicidiario
diretto. Argomenta infine la corte di merito che uno dei colpi che
colpì la vittima vicino alla vena femorale fu esploso durante la
colluttazione con la volontà dello sparatore di colpire il colluttante e
questo avvenne con una manovra dell’imputato volta a vincere
l’immobilizzazione in atto a suo danno da parte della vittima, di
guisa che soltanto per questo la direzione del colpo fu dall’alto
verso il basso, perché necessaria quella direzione per colpire
l’avversario.
3.2 Rammenta la Corte che, secondo accreditata lezione
giurisprudenziale, in tema di elemento psicologico del reato il dolo
alternativo sussiste se l’agente si rappresenta e vuole
indifferentemente l’uno o l’altro degli eventi causalmente
ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, sicché già al
4

L’elaborazione teorica appena esposta appare al Collegio mantenere
la sua attualità anche considerando la recente, rilevantissima
evoluzione giurisprudenziale in tema di dolo eventuale dettata dalle
ss.uu. della Corte con la ormai fondamentale sentenza n. 38343 del
24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261104, nella quale,
riconsiderando l’istituto nella sua formazione dottrinaria e,
soprattutto, giurisprudenziale, la suprema corte, al fine
primariamente di distinguere siffatta tipologia di dolo dall’elemento
psicologico caratterizzante della colpa cosciente, è pervenuta a
delineare il seguente principio di diritto: “In tema di elemento
soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia
chiaramente rappresentata la significativa possibilità di
verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver
considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia
determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento
lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece
la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso
l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la
connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e

momento della realizzazione dell’elemento oggettivo del reato egli
deve prevederli entrambi. Si ha, invece, dolo eventuale allorquando
l’agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si
rappresenti la concreta possibilità del verificarsi di una diversa
conseguenza della propria condotta e, ciononostante, agisca
accettando il rischio di cagionarla. Ne consegue che il dolo
eventuale non è configurabile nel caso di delitto tentato, in quanto è
ontologicamente incompatibile con la direzione univoca degli atti
compiuti nel tentativo, che presuppone per questo il dolo diretto. Al
contrario, vi è compatibilità tra tentativo penalmente punibile e dolo
alternativo, poiché la sostanziale equivalenza dell’uno e dell’altro
evento, che l’agente si rappresenta indifferentemente, entrambi
come eziologicamente collegabili alla sua condotta e alla sua
cosciente volontà, comporta che questa forma di dolo sia diretta,
atteso che ciascuno degli eventi è ugualmente voluto dal reo
(giurisprudenza costante e sconfinata, da ultimo Cass., Sez. 1, n.
9663 del 03/10/2013, Rv. 259465).

l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza,

3.2 Ciò premesso, quindi, quanto ai principi di teoria generale del
diritto penale in materia di elemento psicologico del reato, osserva
la corte che nel caso in esame di essi ha fatto il giudice dell’appello
puntuale e corretta applicazione, ritenendo ricorrente, nella
fattispecie, la tipologia del dolo diretto alternativo, deducendo le
conclusioni assunte: a) dall’arma utilizzata, una pistola, arma da
fuoco, b) dal numero dei colpi esplosi, quattro, c) dalla distanza
dalla quale l’imputato ha fatto fuoco, minima attesa la pacifica
dinamica ricostruita nel processo, trovandosi l’imputato vicinissimo
alla vittima, d) dalla parte del corpo attinta dai colpi, a pochi
millimetri dalla vena femorale.
A ciò oppone la difesa ricorrente che la direzione data agli spari,
verso le gambe e non già verso il tronco, escluderebbe il dolo
alternativo diretto in favore di quello volto a cagionare lesioni
personali e, tutt’al più, del dolo eventuale, anche perché
verosimilmente sconosciute in capo al prevenuto conoscenze
medico-legali relative alla possibilità, sparando alle gambe, di
attingere la vena femorale ed all’importanza vitale di essa.
Anche a tali rilievi hanno dato i giudici territoriale adeguata e
logica risposta, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità.
Ha infatti motivato la corte distrettuale che imputato e vittima si
trovavano a 20, 30 cm di distanza tra loro al momento dei primi due
spari, circostanza questa che favoriva la direzione dei colpi dall’alto
verso il basso e che, nella fase della colluttazione, la direzione dei
colpi, comunque indirizzati contro la vittima, fu resa obbligata dalla
manovra di immobilizzazione del prevenuto tentata dalla vittima, la
quale cercava di disarmare l’imputato. Di qui, altresì, il pari rilievo
che, secondo i giudici di merito, si rappresentò al Delliturri al
momento degli spari circa la possibilità di uccidere ovvero soltanto
ferire il rivale.
Non sussiste pertanto (ed in conclusione quanto al primo motivo di
censura) il denunciato vizio motivazionale posto che, come da noto
insegnamento, la funzione dell’indagine di legittimità sulla
motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei

imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo”.

4. Manifestamente infondato valuta infine la Corte anche il secondo
motivo di impugnazione, pur considerato nei suoi plurimi profili.
Rammenta il Collegio che, in tema di determinazione della misura
della pena, il giudice del merito, con la enunciazione, anche
sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati
nell’art. 133 cod. pen., assolve adeguatamente. all’obbligo della
motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella sua
discrezionalità e non postula una analitica esposizione dei criteri
adottati per addivenirvi in concreto (Cass., Sez. II, 19/03/2008, n.
12749 Cass. pen., Sez. Unite, 25/02/2010, n. 10713).

Quanto poi in particolare al bilanciamento delle circostanze, come
detto paritariamente valutato dal giudice di merito, è altresì noto
che assolve all’obbligo della motivazione della sentenza il
riferimento a dati e circostanze ritenuti di particolare rilievo come
elementi concreti della personalità dell’imputato, non essendo
affatto necessario che il giudice di merito compia una specifica
disamina di tutti gli elementi che possono consigliare o meno una
particolare mitezza nell’irrogazione della pena (Cass., Sez. V,
06/09/2002, n.30284; Cass.,Sez. II, 11/02/2010, n. 18158). Deve
pertanto ritenersi legittima la motivazione che ha statuito il giudizio
di equivalenza tra le circostanze venute a giudizio sulla base della
gravità della condotta consumata dall’imputato e delle modalità
esecutive del fatto, significative, a giudizio della corte territoriale,
di una particolare inclinazione a delinquere dello stesso.

risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito
dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di
accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano
stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee
argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della
consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza
dei passaggi logici. Ad una logica valutazione dei fatti operata dal
giudice di merito, non può pertanto quello di legittimità opporne
un’altra, ancorché altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass.
6.05.03 Curcillo).

5. Il ricorso, in conclusione, come innanzi anticipato, deve essere
rigettato e, di conseguenza, condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.
il ricorrente, al pagamento delle spese processuali.

la Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso in Roma, addì 30 marzo 2016

I DEPOSITATA

P. T. M.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA