Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27968 del 15/06/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 27968 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COSSA AUTODEMOLIZIONI SAS
VERTERANO MICHELE nato il 26/03/1963 a TORINO
VERTERANO FRANCESCO nato il 23/10/1966 a TORINO
VERTERANO NICOLA nato il 11/10/1969 a GIOIOSA JONICA
VERTERANO VINCENZO nato il 01/06/1964 a TORINO
VERTERANO MASSIMO nato il 09/04/1968 a GIOIOSA JONICA
CALVI DESIRE’ nato il 14/03/1975 a ARONA
DEL MONTE ELISABETTA nato il 22/06/1973 a BRINDISI

avverso il decreto del 09/03/2015 della CORTE APPELLO di TORINO
sentita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DE AMICIS;
lette le conclusioni del PG D.ssa Paola FILIPPI che ha concluso per la
inammissibilità dei ricorsi.

Data Udienza: 15/06/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto emesso in data 15 gennaio 2015 la Corte d’appello di Torino
ha confermato il decreto del Tribunale di Torino del 6 novembre 2013, che
applicava la misura di prevenzione patrimoniale della confisca dei beni immobili
ivi descritti e riconducibili alla disponibilità dei fratelli Vincenzo e Massimo

2. Avverso il su indicato decreto della Corte d’appello di Torino è stato
proposto ricorso per cassazione dalla terza interessata “Cossa Autodemolizioni
s.a.s.”, in persona del legale rappresentante Michele Verterano, che ha dedotto
con unico motivo la nullità del decreto per violazione di norme processuali ex art.
606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., e segnatamente per la mancata notifica
dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale celebrata nell’ambito del
procedimento di prevenzione innanzi al Tribunale di Torino, tempestivamente
eccepita ex artt. 7, commi 2-7, e 23, comma 2, d.lgs. n. 159/2011.

3. Avverso il su indicato decreto del 15 gennaio 2015, nonché avverso
l’ordinanza emessa il 4 dicembre 2015 dalla Corte d’appello di Torino, con la
quale veniva rigettata l’istanza di declaratoria di inefficacia del decreto di
confisca emesso dal Tribunale di Torino per violazione del termine di cui all’art.
27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011, hanno altresì proposto ricorso per cassazione i
difensori di Vincenzo e Massimo Verterano, nonché dei terzi interessati Michele,
Francesco e Nicola Verterano, tutti quali eredi di Emilio Antonio Verterano ed
Anna Caldera (entrambi deceduti).
3.1. Con il primo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 27, comma 6,
d.lgs. n. 159/2011, per il mancato rispetto del termine perentorio di un anno e
sei mesi entro il quale la Corte d’appello deve provvedere, a pena d’inefficacia
del decreto di confisca adottato in primo grado. Il decreto della Corte d’appello,
infatti, è stato depositato solo in data 4 dicembre 2015, ossia un anno e undici
mesi dopo il deposito del ricorso in appello, avvenuto il 13 gennaio 2014. Ne
discende che, non essendo stato depositato il provvedimento giurisdizionale ossia il decreto comprensivo di dispositivo e motivazione – entro la data del 13
luglio 2015, il decreto di confisca di primo grado doveva ormai ritenersi privo di
efficacia.
3.2. Con il secondo motivo, inoltre, si deduce la violazione degli artt. 10, 20,
24 e 26 d.lgs. n. 159/2011, per il difetto dei presupposti necessari per la

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Verterano.

confisca dell’alloggio sito in Borgaro Torinese e della pertinente autorimessa, di
proprietà della defunta Anna Caldara, nonché la violazione dell’art. 10, comma 2,
d. Igs. n. 159/2011, per totale assenza di motivazione in ordine alla ritenuta
sussistenza dell’intestazione fittizia in capo ai terzi interessati e della illecita
provenienza in considerazione della ritenuta sproporzione del predetto
incremento patrimoniale rispetto ai redditi dei terzi interessati. Al riguardo, in
particolare, si lamenta l’omessa considerazione degli specifici motivi di gravame

dell’allegata documentazione, oltre a trattarsi di bene acquistato in epoca
antecedente al procedimento penale che ha dato luogo alla procedura di
prevenzione, e comunque al biennio in cui era stata emessa la proposta, lo
stesso era stato legittimamente acquistato con risorse di lecita provenienza e
compatibili, nell’arco temporale di riferimento, con le disponibilità economiche e
finanziarie dei coniugi Caldara-Verterano.
3.3. Con il terzo motivo, infine, si deduce la violazione degli artt. 10, 20, 24
e 26 d.lgs. n. 159/2011, per il difetto dei presupposti necessari per la confisca di
un fabbricato sito in Marina di Gioiosa Jonica, di proprietà del defunto Emilio
Antonio Verterano, nonché la violazione dell’art. 10, comma 2, d.lgs. n.
159/2011, per totale assenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza
dell’intestazione fittizia in capo ai terzi interessati e della illecita provenienza in
considerazione della ritenuta sproporzione del predetto incremento patrimoniale
rispetto ai redditi dei terzi interessati. Anche sotto tale profilo si lamenta, in
particolare, l’omessa considerazione degli specifici motivi di gravame volti a
dimostrare (pagg. 2-14 del relativo atto di impugnazione) che, sulla base
dell’allegata documentazione, oltre a trattarsi di un bene acquistato in epoca
antecedente al biennio in cui era stata emessa la proposta, lo stesso era stato
legittimamente acquistato con risorse di lecita provenienza e compatibili, nel
periodo in cui è avvenuto l’incremento patrimoniale (anno 2002), con le
disponibilità economiche dei coniugi Caldara-Verterano.
3.4. Con memoria depositata nella Cancelleria di questa Suprema Corte 11
giugno 2016 i difensori dei predetti ricorrenti hanno illustrato una serie di
argomentazioni in replica alla requisitoria scritta del P.G., ribadendo quanto già
esposto in ricorso ed insistendo sulla richiesta di annullamento del
provvedimento impugnato con le conseguenziali statuizioni di legge.

4. Nell’interesse dei proposti Vincenzo Verterano e Massimo Verterano,
nonché dei terzi interessati Desirè Calvi ed Elisabetta del Monte, il difensore e

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volti a dimostrare (pagg. 2-12 del relativo atto di impugnazione) che, sulla base

procuratore speciale ha proposto ricorso per cassazione avverso il su indicato
decreto del 15 gennaio 2015, nonché avverso l’ordinanza emessa il 4 dicembre
2015 dalla Corte d’appello di Torino, deducendo i motivi di doglianza di seguito
illustrati.
4.1. Con il primo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 27, comma 6,
d.lgs. n. 159/2011, per il mancato rispetto del termine perentorio di un anno e
sei mesi entro il quale la Corte d’appello deve provvedere, a pena d’inefficacia

infatti, è stato depositato solo in data 4 dicembre 2015, ossia un anno e undici
mesi dopo il deposito del ricorso in appello, avvenuto il 23 gennaio 2014. Ne
discende che, non essendo stato depositato il provvedimento giurisdizionale ossia il decreto comprensivo di dispositivo e motivazione – entro la data del 23
luglio 2015, il decreto di confisca emesso in primo grado doveva ormai ritenersi
privo di efficacia.
4.2. Con il secondo motivo, inoltre, si deduce la violazione degli artt. 10, 20,
24 e 26 d.lgs. n. 159/2011, per il difetto dei presupposti necessari per la
emissione del decreto di confisca dei beni indicati nel provvedimento gravato,
nonché la mancanza, o la mera apparenza, di motivazione in ordine ai rilievi
dalla difesa già esposti – anche a mezzo di numerose produzioni documentali negli specifici motivi di gravame volti, da un lato, a dimostrare l’insussistenza di
una c.d “pericolosità storica” dei proposti, dall’altro lato a contestare le
conclusioni della relazione del C.T. del P.M. fatte proprie dalla Corte d’appello.
Vengono al riguardo integralmente richiamate, pertanto, le considerazioni svolte
nell’atto d’impugnazione, sia per quanto concerne le posizioni di Massimo
Verterano e Desirè Calvi, sia per quel che attiene alle posizioni di Vincenzo
Verterano ed Elisabetta Del Monte.
4.3. Con memoria depositata nella Cancelleria di questa Suprema Corte il 27
maggio 2016 i difensori di Vincenzo Verterano ed Elisabetta Del Monte hanno
svolto una serie di argomentazioni a sostegno dei motivi già dedotti nel ricorso,
con particolare riferimento: a) all’inefficacia del provvedimento di confisca per
violazione dell’art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011; 6) alla mancanza dei
presupposti per l’emissione del decreto di confisca riguardo alla immotivata
valutazione di pericolosità sino agli anni 2004-2005;

c)

all’assenza di

motivazione in ordine alla presunta sproporzione tra redditi ed acquisti in capo al
Verterano; d) alla giustificazione offerta dalla difesa circa la legittimità della
provenienza dei beni intestati alla moglie.

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del decreto di confisca adottato in primo grado. Il decreto della Corte d’appello,

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Occorre preliminarmente rilevare che il ricorso della terza interessata
“Cossa Autodemolizioni s.a.s.”, in persona del legale rappresentante Michele
Verterano, è inammissibile per essere stato proposto direttamente
dall’interessato, ossia dal legale rappresentante.
Deve infatti considerarsi, al riguardo, che in tema di procedimento di
prevenzione è inammissibile il ricorso per cassazione presentato personalmente

pari dei soggetti espressamente considerati dall’art. 100 cod. proc. pen., un
onere dì patrocinio che é soddisfatto solo attraverso il conferimento di procura
alle liti al difensore (Sez. 6, n. 7510 del 23/10/2012, dep. 2013, Rv. 254580).
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali e a quello di una somma che, in ragione delle
questioni dedotte, si ritiene di dover determinare nella misura di euro 1.500,00,
in favore della Cassa delle ammende.

2. Fondato, di contro, deve ritenersi, con effetto logicamente assorbente
rispetto alle residue doglianze, il motivo di ricorso, comune a tutti gli altri
ricorrenti (v., supra, i parr. 3.1. e 4.1.), incentrato sulla dedotta violazione del
termine di cui all’art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/2011, per essere stato il
decreto depositato oltre il limite temporale dei diciotto mesi ivi stabiliti.
L’art. 27, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ha introdotto un
termine perentorio di durata del giudizio di secondo grado instaurato avverso il
decreto di confisca, stabilendo che tale provvedimento perde efficacia se la Corte
d’appello non si pronuncia entro il termine di un anno e sei mesi dal deposito del
ricorso.
Tale termine, inoltre, in forza dell’espresso richiamo all’art. 24, comma 2,
d.lgs. cit., può, in caso di indagini complesse, essere prorogato con decreto
motivato “per periodi di sei mesi e per non più di due volte”.
La competenza all’emissione del decreto di proroga spetta evidentemente
alla Corte d’appello dinanzi alla quale pende il giudizio di secondo grado, che vi
fa ricorso sulla base di una valutazione discrezionale, incentrata
sull’apprezzamento dei presupposti generali della complessità delle indagini e
dell’entità del patrimonio (ossia di compendi patrimoniali rilevanti), laddove le
cause di sospensione dei termini, anch’esse previste dal secondo comma del su
citato art. 24, operano di diritto, facendo riferimento alla presenza di specifiche

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dal terzo interessato, avendo costui, in quanto portatore di interessi civilistici al

esigenze istruttorie connesse all’espletamento di accertamenti peritali, ovvero, in
quanto compatibili, alle ipotesi di sospensione dei termini di durata della custodia
cautelare previste nel codice di rito.
Analoga disposizione, inoltre, viene dettata, con formulazione lessicale ancor
più precisa, dall’art. 24, comma 2, d.lgs. cit. (così come sostituito dall’arti,
comma 189, lett. a), d.lgs. 24 dicembre 2012, n. 228) relativamente al
provvedimento di sequestro, che perde efficacia se il Tribunale “non deposita il

mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore
giudiziario. Nella sua versione originaria, infatti, tale disposizione prevedeva
semplicemente che il decreto di confisca potesse “essere emanato” entro il
termine di un anno e sei mesi alla data di immissione in possesso dei beni da
parte dell’amministratore giudiziario.
Attraverso tali disposizioni, pertanto, il legislatore ha introdotto una
omogenea limitazione temporale dei due gradi del giudizio di merito nel
procedimento di prevenzione patrimoniale, ciascuno dei quali non potrà superare
il termine massimo di un anno e sei mesi (ovvero, di due anni e sei mesi in caso
di ricorso al su indicato meccanismo della proroga).
In tal senso, infatti, si afferma, nella relazione illustrativa di commento al
codice delle leggi antimafia, che “….in attuazione di un dettagliato punto di
delega, il decreto legislativo (artt. 24, comma 2 e 27, comma 6) prevede poi una
precisa scansione temporale del procedimento, tale da garantire la speditezza
dello stesso in uno con le necessarie garanzie del proposto: si prevede la perdita
di efficacia del sequestro ove non venga disposta la confisca nel termine di un
anno e sei mesi dalla immissione in possesso da parte dell’amministratore
giudiziario, nonché, in caso di impugnazione della decisione, entro un anno e sei
mesi dal deposito del ricorso. E’ altresì prevista la possibilità di prorogare i
termini in parola per periodi di sei mesi e per non più di due volte in caso di
indagini complesse”.
La previsione di un termine di perenzione della misura patrimoniale si
giustifica, da un lato, in ossequio al principio della ragionevole durata del
procedimento ablativo, il cui svolgimento non può soffrire il rischio di incertezze
o di imprevedibili allungamenti delle relative scansioni temporali, dall’altro lato
nella prospettiva di garantire il quadro degli interessi legati all’esercizio dei diritti
costituzionalmente tutelati di proprietà e di iniziativa economica, che possono
essere limitati rispettivamente nella prospettiva della funzione sociale (art. 42,
comma 2, Cost.) e a garanzia delle esigenze di sicurezza ed utilità generale (art.

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decreto che pronuncia la confisca” entro il medesimo termine di un anno e sei

41, comma 2, Cost.), senza recare, tuttavia, un irragionevole pregiudizio alle
persone che, a vario titolo, possono subire gli effetti negativi di un intervento in
rem.
Dalla lettura combinata di tali disposizioni discende, pertanto, che anche il
termine per la pronuncia della confisca di primo grado deve essere rispettato, a
pena di inefficacia, così come quello previsto dal legislatore per la Corte d’appello
(ex art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159/11), e che al carattere perentorio del limite

mero espletamento degli adempimenti legati alla celebrazione della camera di
consiglio.
Il provvedimento di confisca, dunque, perde efficacia se la Corte d’appello
non deposita il decreto motivato entro il termine di un anno e sei mesi dalla data
di deposito del ricorso in appello proposto ai sensi dell’art. 10, comma 1, d.lgs.
n. 159/2011.

3. Nel caso in esame, il dispositivo reca la data del 15 gennaio 2015, mentre
il decreto motivato è stato depositato dalla Corte d’appello il 4 dicembre 2015,
ossia oltre il termine dì un anno e sei mesi dal deposito dei ricorsi in appello
(avvenuto, rispettivamente, il 13 gennaio 2014 ed il 23 gennaio 2014).
La Corte d’appello, tuttavia, ha rigettato i rilievi difensivi sul punto formulati,
richiamando una pronuncia di questa Corte (Sez. 5, n. 35737 del 19/05/2015,
Spinelli, Rv. 264351, attinente, peraltro, alla diversa fattispecie di un decreto di
confisca emesso ai sensi dell’art. 2-ter della legge n. 575/1965) secondo cui il
termine di un anno e sei mesi, previsto dall’art. 27, comma 6, d.lgs. 6 settembre
2011, n.159, decorrente dal deposito dell’atto di impugnazione, ed entro il quale
la Corte di appello deve provvedere a pena di inefficacia della confisca disposta
in primo grado, ha come riferimento finale la data della pronuncia del giudice
d’appello e non quella del deposito del relativo provvedimento.
Siffatta impostazione, tuttavia, non può essere condivisa, ove si consideri, in
linea generale, che nel procedimento in camera di consiglio (nella specie quello
regolato dall’art. 611 cod. proc. pen.) la deliberazione costituisce un momento
interno della procedura e il dispositivo è privo di autonoma rilevanza, giacché il
provvedimento giurisdizionale, nella sua unità strutturale, acquista giuridica
esistenza soltanto con il deposito, che ne segna il momento perfezionativo, con
la sola eccezione del procedimento camerale concernente le misure cautelari
personali, per le quali, a determinati fini, è riconosciuta rilevanza esterna al
dispositivo, prima ancora del deposito del provvedimento completo di

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temporale si ricollega direttamente l’onere di deposito del provvedimento, non il

motivazione (Sez. 1, n. 6026 del 18/11/1996, Tononi, Rv. 206256; Sez. 2, n.
30833 del 21/06/2012, Speranza, Rv. 253532).
Nella medesima prospettiva, d’altronde, questa Suprema Corte ha posto in
rilievo che, a differenza di quanto si verifica nel caso della sentenza, il cui
dispositivo letto in udienza costituisce l’atto con il quale il giudice estrinseca la
volontà della legge nel caso concreto, l’ordinanza emessa a seguito di rito
camerale presenta il carattere unitario del complesso procedimento logico nel

momento distintivo tra il dispositivo e la motivazione, dette parti del
provvedimento costituiscono nel loro insieme la decisione (Sez. 5, n. 27787 del
20/05/2004, Fattorusso, Rv. 228709, secondo cui all’eventuale discrepanza
esistente nel primo può ovviarsi con la lettura del provvedimento nel suo
complesso).
Ne discende, con riferimento all’esatta delimitazione del perimetro di
applicazione delle su richiamate previsioni normative, che il termine finale di
riferimento per la pronuncia della Corte d’appello deve correttamente individuarsi
non certo nella data di deposito del dispositivo, bensì in quella di deposito del
decreto motivato entro il termine di un anno e sei mesi dal ricorso in appello.
Una diversa soluzione esegetica, specie in considerazione della su indicata
rado della modifica normativa, priverebbe di qualunque contenuto di garanzia la

diposizione di cui all’art. 27, comma 6, d.lgs. cit., rimettendo all’Autorità
giudiziaria la possibilità di scegliere arbitrariamente i tempi di deposito della
motivazione del provvedimento, così dilatando in misura imprevedibile gli effetti
invasivi della misura ablativa, con gli inevitabili riflessi sui tempi e sulle modalità
di esercizio del diritto all’impugnazione da parte del proposto e dei terzi
interessati.
Al riguardo, peraltro, il legislatore ha significativamente previsto
un’opportuna misura di contemperamento alla perentorietà del termine
attraverso la possibilità di disporne, in due occasioni, una proroga motivata:
facoltà, questa, cui la Corte distrettuale, nel caso di specie, non ha fatto ricorso.
A non dissimili conclusioni, infine, si perviene anche muovendo da una
diversa prospettiva ermeneutica, ove si considerino, in tema di impugnazioni
avverso i provvedimenti di applicazione delle misure di prevenzione personali, il
tenore letterale della norma generale dettata nell’art. 10, comma 2, d.lgs. cit. là dove si stabilisce che la Corte d’appello provvede, “con decreto motivato”,
entro il termine di trenta giorni dalla proposizione del ricorso – e, in tema di
procedimento applicativo, la connessa disposizione di cui all’art. 7, comma 1, ove

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quale si compendia la decisione adottata, con la conseguenza che, non essendovi

del tutto analogamente si prevede che il Tribunale provvede, con “decreto
motivato”, entro il termine di trenta giorni dalla formulazione della proposta.
Fatta salva, in mancanza della previsione di qualsiasi sanzione per la loro
inosservanza, la natura ordinatoria di tali termini (Sez. 1, n. 23407 del
24/03/2015, Lin, Rv. 263963) – laddove, in tema di misure di prevenzione
patrimoniali, al mancato rispetto della speciale disposizione relativa alla
perentorietà del diverso termine di un anno e sei mesi espressamente si

art. 27, comma 6) – è significativo rilevare che per le impugnazioni contro le
misure patrimoniali, ai sensi dell’art. 27, comma 2, d.lgs. cit., si applicano le
disposizioni previste dall’art. 10, che costituiscono pertanto la disciplina generale
di riferimento per le impugnazioni proposte avverso i provvedimenti di confisca e
gli altri provvedimenti in tema di misure di prevenzione patrimoniali
(esplicitamente indicati nell’art. 27, comma 1), con la conseguente esigenza di
un coordinamento logico-sistematico tra le diverse evenienze procedimentali in
cui la Corte d’appello è chiamata a provvedere a seguito di un ricorso.
In tal senso, l’integrale richiamo che, in caso di ricorso in appello, viene
effettuato dall’art. 27, comma 6, all’applicazione delle regole dettate nell’art. 24,
comma 2 – che a sua volta sancisce una analoga perdita di efficacia per il
provvedimento di sequestro, se nel termine perentorio ivi previsto il Tribunale
“non deposita il decreto che pronuncia la confisca” – sta a significare che la Corte
d’appello deve comunque pronunciarsi, entro il termine previsto dal legislatore
(sia esso di natura perentoria, come nell’art. 27 comma 6, ovvero di natura
meramente ordinatoria, come nell’ipotesi di cui all’art. 10, comma 2), con il
deposito di un decreto motivato.

4. Alla caducazione dell’efficacia del provvedimento di confisca consegue la
restituzione dei beni agli aventi diritto, che tornano dunque nella piena titolarità
e disponibilità del patrimonio.
Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, conclusivamente,
l’annullamento senza rinvio del decreto impugnato, con i conseguenti
adempimenti a cura della Cancelleria ai sensi dell’art. 626 cod. proc. pen. .

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato senza rinvio e dispone la restituzione di quanto
in sequestro agli aventi diritto. Si provveda a norma dell’art. 626 cod. proc. pen..

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ricollega, come si è visto, la perdita di efficacia del provvedimento di confisca (ex

Dichiara inammissibile il ricorso della Cossa Autodemolizioni s.a.s. e
condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 giugno 2016

Il Consigliere estensore

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