Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27964 del 06/03/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 27964 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: FOTI GIACOMO

Data Udienza: 06/03/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIOBBI ALESSANDRO N. IL 06/09/1975
avverso la sentenza n. 2107/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del
24/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO FOTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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-1- Giobbi Alessandro propone, tramite il difensore, ricorso per cassazione avverso la
sentenza della Corte d’Appello di Genova, del 24 ottobre 2012, che ha confermato la
sentenza del Gup del Tribunale di Chiavari, del 6 marzo 2012, che lo ha ritenuto colpevole
del delitto di omicidio colposo plurimo in pregiudizio di Ferrari Domenico e Ferrari Angelo
e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, applicata la diminuente del rito
abbreviato, lo ha condannato alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di un anno ed otto
mesi di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite:
Castelli Isabella, anche nell’interesse del figlio minore Ferrari Daniele, e Ferrari Violetta, a
ciascuna delle quali ha anche assegnato una provvisionale di 4000.000,00 euro, nonché
Comune di Agazzano.
Secondo l’accusa, condivisa dai giudici del merito, il Giobbi, nel guidare un’immersione
alla quale partecipavano cinque sub, tra i quali i due Ferrari (padre e figlio diciassettenne),
per colpa consistita in imprudenza ed imperizia, ha cagionato la morte di questi ultimi, non
supportati da adeguata esperienza e perizia, avendo guidato il gruppo, incurante delle
avverse condizioni del mare (forte risacca in atto), all’interno di una grotta ubicata ad una
profondità di nove metri in corrispondenza della chiesta di S. Giorgio in Portofino.
Malgrado la forte risacca, che aveva consigliato gli altri tre partecipanti all’escursione
(Cannarella Paolo Giuseppe -assistente istruttore-, Morosi Marco e Melchiori Giacomo) di
fermarsi all’ingresso della grotta, il Giobbi aveva preceduto i due Ferrari (che, secondo le
istruzioni impartite dall’imputato, avrebbero dovuto seguire immediatamente la guida, in
quanto considerati meno esperti degli altri tre escursionisti) verso l’uscita superiore della
grotta, raggiungibile attraverso una galleria (“sifone”), larga tre metri e lunga sei, ove
mancava del tutto la visibilità e la risacca era molto forte. A quel punto, i Ferrari, presi dal
panico, non erano riusciti a resistere al movimento delle onde e, dopo essere stati
ripetutamente sballottati contro le rocce adiacenti, erano morti per annegamento.
La corte distrettuale, quindi, ha ritenuto di confermare, richiamando le testimonianze degli
altri tre escursionisti, la ricostruzione dei fatti eseguita dal primo giudice e di rigettare i
motivi d’appello proposti dall’imputato, il quale – dopo avere rilevato la presenza nel capo
d’imputazione di due errori (ritenuti dalla corte territoriale, l’uno, ininfluente, l’altro,
inesistente), concernenti il livello del brevetto di sub conseguito dalle due vittime e la
posizione del Giobbi rispetto al gruppo di escursionisti – aveva sostanzialmente contestato
quella ricostruzione, nonché il livello di abilità e di esperienza dei due sub deceduti, la
conformazione della grotta e le condizioni meteo-marine, tanto da richiedere una corposa
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, anche sulla base della consulenza tecnica di
parte alla cui acquisizione aveva condizionato la richiesta, accolta, di rito abbreviato.
In particolare, e più specificamente, l’imputato aveva sostenuto, in punto di ricostruzione
dei fatti, che, dopo che egli ed i Ferrari erano entrati nella galleria che conduceva alla parte
più interna della grotta, questi ultimi, dopo averlo sopravanzato, si erano di loro iniziativa
introdotti nel “sifone”, da dove non erano più riusciti ad emergere; quindi, erano stati
sospinti e sballottati contro le rocce ed avevano perso la vita.
-2- Avverso detta sentenza ricorre, dunque, Giobbi Alessandro, che deduce:
2.1- Vizio di motivazione della sentenza impugnata, travisamento della prova in ordine alle
affermazioni, contenute in sentenza, circa:
a) La presenza di forte risacca e di scarsa visibilità; sostiene il ricorrente che il profilo di
colpa individuato dai giudici del merito con riguardo alla condotta dell’imputato che, in
presenza di tali negative circostanze, avrebbe dovuto fermare l’escursione all’ingresso della
grotta, sarebbe del tutto inesistente. Se tali condizioni fossero state effettivamente presenti e
se i due Ferrari fossero stati così inesperti come li hanno ritenuti i giudici del merito, gli

2.

Ritenuto in fatto.

5

stessi non avrebbero certo potuto risalire la grotta in condizioni meteo tanto proibitive, né
avrebbero potuto raggiungere, senza essere ricacciati indietro, la “piscina” sovrastante, ove
si poteva respirare. Unica spiegazione a ciò, secondo il ricorrente, sarebbe ritenere che, al
momento in cui il gruppo si era avvicinato alla grotta, non vi era alcuna risacca e vi era
normale visibilità.
Si precisa, ancora, nel ricorso che il Giobbi aveva guidato il gruppo fino all’imboccatura
della grotta, non anche all’interno; la corte territoriale avrebbe quindi confuso l’esplorazione
della grotta con il porsi all’imboccatura della stessa per osservare le cicale di mare che colà
si trovavano, come stabilito nel programma di immersione. Mentre, con riguardo alle
condizioni meteo al momento dell’escursione, la stessa corte, nell’affidarsi alle dichiarazioni
rese dagli altri tre sub, non avrebbe considerato, da un lato, che quelle rese dal Melchiori
sono “de relato”, essendosi lo stesso limitato a confermare quanto in precedenza dichiarato
dal Morosi; dall’altro, che i due seguivano il gruppo di testa, per cui non erano nelle
condizioni di riferire circa le condizioni del mare nel momento in cui erano entrati nella
grotta il Giobbi, i due Ferrari ed il Cannarella; i giudici del gravame, inoltre, non avrebbero
considerato nel loro complesso quelle testimonianze;
b) Le condizioni meteo il giorno dell’escursione. Esse non erano avverse, a giudizio del
ricorrente, sia perché nessuno del gruppo di escursionisti guidati dal Giobbi lo aveva
sostenuto, sia perché altre guide subacquee avevano fatto riferimento solo a un mare “un po’
mosso”;
2.2- Violazione di legge in relazione alla dedotta circostanza secondo cui i due Ferrari
avevano ad un certo punto sopravanzato il Giobbi e si erano inoltrati all’interno della
caverna. Comportamento che, si sostiene nel ricorso, avrebbe interrotto il nesso di causalità
tra la condotta contestata all’imputato e l’evento determinatosi, eliminando quindi qualsiasi
profilo di negligenza della guida rispetto a quanto accaduto dopo l’abbandono del gruppo da
parte dei Ferrari;
2.3- Vizio di motivazione, laddove è stata ritenuta negligente la condotta del Giobbi nella
formazione del gruppo e nel guidarlo nell’escursione. Giudizio ritenuto dall’esponente
contraddittorio in considerazione del fatto che gli stessi giudici del merito hanno osservato
che l’imputato, nel formare il gruppo, aveva espresso l’intenzione di seguire con maggiore
attenzione i due Ferrari, che erano i sub meno esperti e che quindi avrebbero dovuto seguirlo
per primi;
2.4- Vizio di motivazione in punto di nesso causale, laddove i giudici del merito hanno
ritenuto la sussistenza di un rapporto tra l’avere il Giobbi guidato le due vittime fino alla
grotta ed il decesso delle stesse. Sostiene il ricorrente che i due erano sub esperti, e quindi in
grado di gestire le ordinarie situazioni di difficoltà che si possono verificare in ogni
immersione; assaliti dal panico, essi non sono stati in grado di eseguire le manovre, per le
quali erano addestrati, che avrebbero loro consentito di uscire dalla piscina, illuminata dalla
luce del giorno, ove l’imputato li aveva trovati; il decesso è quindi intervenuto, non perché i
due sub erano entrati nella piscina, ma perché, presi dal panico, non sono riusciti ad uscirne;
2.5- Violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di pretesa responsabilità del
Giobbi in quanto “guida”. Si sostiene nel ricorso che i giudici del gravame, pur avendo
accertato il ruolo di guida dell’imputato, ne avrebbero commisurato la responsabilità quale
“istruttore”; le due qualifiche sono del tutto diverse ed implicano ben diverse responsabilità;
il ruolo di guida, correttamente svolto dal Giobbi, prevedeva solo l’organizzazione
dell’escursione richiesta dai clienti ed il loro accompagnamento fino al punto convenuto;
2.6- Violazione di legge e vizio di motivazione circa la posizione di garanzia di Ferrari
Domenico rispetto al figlio Angelo, minorenne, Se fosse vero, sostiene l’esponente, che
Angelo non aveva l’abilità e l’esperienza necessarie per scendere nella grotta, era il padre a
doverlo sapere ed era lui che avrebbe dovuto evitare l’immersione; anche in considerazione
di quanto emerso circa le non perfette condizioni di salute del giovane;

-3- Con memoria del 18 febbraio 2014, il difensore delle parti civili, Castelli Isabella,
Ferrari Violetta e Ferrari Daniela, contestano la fondatezza del ricorso e ne chiedono il
rigetto.
Considerato in diritto.
-1- Il ricorso è infondato, essendo anche talune delle censure proposte inammissibili nel
giudizio di legittimità, laddove, dietro la formale contestazione del vizio motivazionale,
viene prospettata una rivalutazione del materiale probatorio e proposta una ricostruzione del
fatto diversa da quella compiuta dai giudici di merito.
-2- Occorre preliminarmente anzitutto osservare, ribadendo principi ripetutamente
affermati da questa Corte, che, in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di
legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza
fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito
a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la
migliore ricostruzione dei fatti. Né il giudice di legittimità deve condividerne la
giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia compatibile con il
senso comune e con una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l’art. 606
c.p.p., comma 1, lettera e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati
processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di
legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex
pluribus: Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, rv 229369, n. 24201/06); di guisa che non può
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
E’ stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma
del citato art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e), è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile “ictu oculi”, in quanto l’indagine di legittimità sul percorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato
alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare
l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata
(Cass. SU n. 47289/03 rv 226074).
-3- Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all’art. 606 co. 1
lett. e) cpp dalla legge n. 46/2006, che ha introdotto il riferimento ad “altri atti del processo”,
ed ha quindi, ampliato il perimetro d’intervento del giudizio di cassazione, in precedenza
circoscritto “al testo del provvedimento impugnato”. La nuova previsione legislativa, invero,
non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di
legittimità, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione
riguarda sempre la tenuta logica, la coerenza strutturale della decisione.

4

2.7- Vizio di motivazione, laddove i giudici del gravame non hanno ritenuto di individuare
un concorso di colpa prevalente delle due vittime ed hanno respinto la richiesta di
rinnovazione del dibattimento;
2.8- Ancora vizio di motivazione in punto di statuizioni civili.
A tale proposito, il ricorrente chiede che sia sospesa l’esecutività delle disposizioni
concernenti l’assegnazione di provvisionali, ritenute sproporzionate sia in termini assoluti
che in relazione al grado di responsabilità imputato al Giobbi. Chiede, altresì, che si dichiari
inammissibile la costituzione di parte civile del Comune di Agazzano, del quale Ferrari
Domenico era sindaco.

-4- Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza
impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, atteso che l’attenta ed
articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende
ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ribadire la responsabilità
dell’imputato.
4.1- Deve, anzitutto, osservarsi che le articolate considerazioni svolte dal ricorrente – in
particolare nel sesto motivo di ricorso – in ordine alla differenza tra le figure dell’
“istruttore” e della “guida” non hanno ragion d’essere, atteso che lo stesso giudice del
gravame ha chiarito, proprio in relazione ad obiezioni sul punto svolte dall’imputato
nell’atto di appello, che lo stesso aveva certamente assunto, nei confronti dei due Ferrari, la
veste, non di “istruttore”, bensì di “guida” dell’escursione organizzata.
Né hanno ragion d’essere le considerazioni, pure svolte nel sesto motivo di ricorso,
secondo cui lo stesso giudice, pur dopo avere individuato correttamente il ruolo svolto
nell’occasione dal Giobbi, avrebbe finito con il commisurarne la responsabilità quale
“istruttore”. Affermazione che il contesto motivazionale in nessun senso giustifica e che,
peraltro, presenta evidenti profili di genericità, laddove il ricorrente non indica da quali parti
della motivazione ed in che termini emergerebbe una tale discrasia.
Può, quindi, ritenersi, non solo, chiaramente e pacificamente accertato che il compito
attribuito al Giobbi era di “guida” del gruppo di escursionisti, tra i quali vi erano i due
Ferrari, padre e figlio, ma anche che non emergono dalla sentenza impugnata passaggi
motivazionali dai quali desumere che i giudici del merito abbiano contraddittoriamente
commisurato la responsabilità dell’imputato con riferimento ad un inesistente ruolo di
“istruttore”.
4.2- Tanto ribadito ed osservato, occorre peraltro rilevare l’inconferenza della distinzione
tra le due figure, atteso che è evidente come anche il ruolo di “guida” comportava per il
Giobbi una chiara posizione di garanzia nei confronti delle persone che a lui si erano
affidate.
Posizione che implicava l’obbligo, non solo di verificare la presenza, in capo agli
escursionisti, dei brevetti attestanti i livelli di esperienza e di capacità acquisiti e la
compatibilità degli stessi con le caratteristiche ed i livelli di rischio dell’escursione
programmata, né solo di scegliere il percorso più adatto per raggiungere la grotta, ancora
rapportato alle capacità tecniche degli escursionisti, ma anche, come giustamente ha
osservato il giudice del gravame, di adeguare alle effettive condizioni del mare ed ambientali
l’originario programma, modificandolo, ove necessario, per garantire la sicurezza dei sub.
Posizione che, rispetto al compito di guida assunto dall’imputato nei confronti dei due
Ferrari, non subisce cambiamenti o ridimensionamenti di sorta, come ha ancora
condivisibilmente sostenuto lo stesso giudice, dall’essere le due vittime dotate di
apprezzabile esperienza nel campo delle immersioni; esperienza che, peraltro, non può certo
automaticamente trasferirsi alla diversa, e ben più rischiosa, immersione in grotta.

(

Precisione, quella appena svolta, evidentemente necessaria, avendo il ricorrente
denunciato, con i primi due motivi di ricorso, anche il vizio di travisamento della prova.
Così come sembra opportuno precisare che il travisamento, per assumere rilievo nella sede
di legittimità, deve, da un lato, immediatamente emergere dall’obiettivo e semplice esame
dell’atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il
giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di
considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall’altro, esso deve
riguardare una prova decisiva, nel senso che l’atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve
avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle
conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito.

Poco conta, quindi, ai fini della posizione di garanzia dell’imputato, misurare il livello e la
qualità di tale esperienza, anche perché, come giustamente è stato sostenuto nella sentenza
impugnata, il fatto stesso che essi, per raggiungere la grotta, avessero deciso di avvalersi
dell’esperienza di una guida, dimostra che, ogni caso, per quell’escursione essi non si
sentivano sufficientemente esperti e preparati. Ed in effetti non lo erano, se è vero che lungo
il percorso di avvicinamento alla grotta Ferrari Angelo si era trovato ripetutamente in
difficoltà, come rilevato dai giudici del merito richiamando le dichiarazioni rese dai
compagni di escursione Cannarella Paolo Giuseppe, Morosi Marco e Melchiori Giacomo.
Circostanza che avrebbe certamente dovuto consigliare all’imputato di procedere con ancor
maggior cautela ed attenzione e di aumentare il livello di vigilanza, qualunque potesse essere
stato il grado di esperienza dei due escursionisti, le cui reali capacità, peraltro, al di là dei
brevetti conseguiti, egli non conosceva, non essendo emerso che con gli stessi in passato egli
si fosse per qualunque motivo incontrato, specie per ragioni concernenti l’attività subacquea.
Lo stesso imputato, peraltro, aveva riconosciuto la minore esperienza delle due vittime
rispetto agli altri escursionisti, tanto che aveva disposto che essi si ponessero
immediatamente dietro di lui, e che fossero seguiti dal Cannarella e, quindi, dal Morosi e dal
Melchiori.
4.3- Tanto necessariamente chiarito, osserva la Corte che i giudici del merito hanno tratto il
proprio convincimento, circa la riconducibilità della morte dei due escursionisti ad una
condotta imprudente ed imperita dell’imputato, da una serie di elementi probatori, la cui
avvenuta valutazione in termini di affidabilità delle fonti e di conducenza del dato
rappresentato si sottrae alle censure motivazionali denunciate dal ricorrente.
Sono state, in particolare, richiamate le testimonianze dei tre compagni di escursione delle
due vittime e la concorde ricostruzione dagli stessi resa, oltre che dei fatti e dei
comportamenti di ciascuno, delle condizioni del mare e delle difficoltà dell’escursione. In
proposito, ha ricordato la corte territoriale, il Cannarella (che pure era entrato nella grotta e
l’aveva illuminata alla ricerca delle cicale di mare, obiettivo dell’escursione) ha evidenziato
la presenza, appena giunto all’ingresso della stessa, di una forte risacca, accompagnata dal
“rumore assordante” delle onde che si infrangevano contro la roccia, ed inoltre la scarsa
visibilità dell’ambiente poiché ad “appena un metro, un metro e mezzo, la schiuma era tale
da rendere la visibilità nulla”, tanto che aveva perso di vista il Giobbi ed i Ferrari che
avevano preso a risalire la grotta.
Descrizione confermata dal Melchiori e dal Morosi. Il primo, ha precisato che, non appena
giunto alla grotta, aveva sentito “provenire dalla stessa un notevole rumore” e che “già fuori
dalla grotta si avvertiva un movimento di risacca”; ed ancora, che il Giobbi ed i due Ferrari,
entrati nella grotta, erano spariti dalla sua vista. Il secondo, ha ricordato che davanti
all’imboccatura “si sentiva un rumore assordante provenire dalla grotta….come da scoppio,
e si sentiva una forte risacca che non ci consentiva di avere un assetto corretto”.
Le condizioni ambientali, dunque, erano tutt’altro che tranquillizzanti, tanto che il
Melchiori che pure, con il Morosi, era ritenuto il più esperto degli escursionisti, dopo il
Cannarella, aveva deciso di non inoltrarsi all’interno della grotta e di fermarsi tenendosi
aggrappato a delle rocce; decisione, ha precisato lo stesso teste, presa anche dal Cannarella e
dal Morosi.
I medesimi testi, inoltre, hanno precisato i giudici del merito, hanno concordemente
ricordato che è stato il Giobbi ad inoltrarsi, decisamente e senza alcun tentennamento, nella
grotta, seguito dai due Ferrari.
E dunque, ha osservato la corte territoriale, in perfetta sintonia con le richiamate
testimonianze, il Giobbi, giunto all’ingresso della grotta, malgrado il forte moto ondoso, la
forte risacca e la scarsa visibilità, non solo vi è entrato ma, seguito dalle due vittime, vi si è
addentrato, mentre gli altri tre si sono prudentemente fermati, ancorandosi alle rocce per

evitare di essere travolti dal moto ondoso, perdendo di vista i tre compagni addentratisi nella
grotta.
Orbene, date tali emergenze probatorie, perfettamente coerente si presenta la conclusione
cui sono pervenuti i giudici del gravame, e cioè, che l’odierno ricorrente, che aveva proposto
una ricostruzione di comodo degli avvenimenti, doveva ritenersi responsabile della morte
dei due escursionisti.
E’ giustamente apparso del tutto ovvio, alla luce delle acquisizioni probatorie, che spettava
al Giobbi, quale guida del gruppo e responsabile dell’escursione e dell’incolumità degli
escursionisti, che alla sua esperienza si erano affidati, prendere atto delle avverse condizioni
del mare e della conseguente scarsa visibilità e, modificando l’originario programma, evitare
l’ingresso nella grotta e, ancor più, evitare di inoltrarvisi, eventualmente anche impedendolo
a chi, tra gli escursionisti, avesse preso una contraria e rischiosa decisione.
Del tutto condivisibile si presenta quindi l’affermazione dei giudici del gravame, secondo
cui la responsabilità dell’imputato si è concretizzata già all’arrivo del gruppo sulla soglia
della grotta e si è ancor più aggravata, allorché, malgrado le richiamate avverse condizioni
ed i riconosciuti limiti di esperienza dei Ferrari, egli si è decisamente inoltrato all’interno
della stessa, in tal guisa avendo posto in grave pericolo la vita dei due sfortunati subacquei,
rimasti travolti dalla forza del moto ondoso, incapaci di mantenere il giusto assetto,
sballottati contro le pareti di roccia e smarritisi nella bolgia delle acque ribollenti. Avrebbe
dovuto, cioè, l’imputato ricorrere al buon senso e alla prudenza che la situazione imponeva
ed evitare di mettere a repentaglio la vita di due persone; quello stesso buon senso e quella
stessa prudenza dimostrati dagli altri escursionisti, che hanno fortunatamente deciso di non
lasciarsi coinvolgere nella dissennata avventura e di fermarsi all’ingresso della grotta,
salvando così le proprie vite, seppur non grazie alla loro guida.
A tale ricostruzione dei fatti, effettuata dai giudici del merito sulla scorta delle precise
testimonianze dei compagni di escursione delle vittime, il ricorrente sostanzialmente oppone
una diversa valutazione degli elementi probatori acquisiti. Così, laddove sostiene che non vi
era risacca e che, in ogni caso, essa era tale da permettere, sia di mantenere l’assetto che di
avere una buona visibilità, ovvero laddove nega di avere condotto i due Ferrari all’interno
della grotta, essendosi egli fermato all’ingresso della stessa ed essendo state le due vittime
ad inoltrarsi all’interno. Ricostruzione dei fatti e delle condizioni meteomarine che sono
state però decisamente smentite dai tre testi sopra indicati e che non possono certo essere
contrastate dalla circostanza, riferita dal ricorrente, che nella stessa giornata dell’incidente
erano scesi nella grotta altri gruppi di escursionisti; ciò anche perché non si conoscono tempi
e modalità di dette escursioni, certo in ogni caso essendo, poiché nessuno ne ha fatto cenno,
che all’arrivo sulla soglia della grotta del gruppo Giobbi -che rappresenta il momento
d’interesse ai fini del giudizio di compatibilità delle condizioni del mare rispetto
all’escursione programmata- non vi era nessun altro escursionista, né fuori né dentro la
grotta, e dunque nessun testimone diretto della vicenda, oltre ai tre compagni dei Ferrari.
Né può il ricorrente, nel tentativo di eludere le proprie responsabilità, porre in dubbio la
credibilità dei compagni di escursione, rilevando che le dichiarazioni del Melchiori
sarebbero “de relato” e che le stesse, e quelle del Morosi non sarebbero rilevanti poiché i
due (Melchiori Morosi), che seguivano il gruppo di testa (formato dall’imputato, dai due
Ferrari e dal Cannarella), non potevano sapere se, al momento in cui sono entrati nella grotta
i componenti il primo gruppo, le condizioni del mare fossero avverse. Tali considerazioni,
invero, o sono errate (il fatto che, avuta lettura delle dichiarazioni del Melchiori evidentemente per mera comodità di chi le assumeva- il Morosi ne avesse confermato i
contenuti, non trasforma quest’ultimo, che ha direttamente assistito ai fatti sui quali veniva
interrogato, in testimone “de relato”), ovvero sono ancora smentite dai tre escursionisti
superstiti, i quali non hanno riferito di distanze siderali tra quelli che il ricorrente chiama
primo e secondo gruppo; tanto vero che essi hanno sostenuto di avere visto il Giobbi entrare

nella grotta seguito dai due Ferrari. E dunque, pur se chiudevano la fila, essi si trovavano
certamente a breve distanza dai primi tre, come del resto è logico ritenere posto che unico, e
quindi compatto, era il gruppo di escursionisti che si era affidato al Giobbi. L’argomento
proposto, peraltro, comunque non riguarderebbe il Cannarella che, secondo lo stesso
ricorrente, faceva parte del c.d. primo gruppo e che ha reso dichiarazioni del tutto in sintonia
con quelle degli altri due.
Non maggior credito può attribuirsi alle ulteriori e diffuse considerazioni, svolte dal
ricorrente con il primo motivo di ricorso, con le quali egli tende a rimettere in discussione la
ricostruzione dei fatti attraverso parziali riferimenti alle testimonianze in atti, che non
valgono tuttavia a smentire quelli che sono i temi centrali della vicenda. E cioè che, secondo
quanto emerso dalle dichiarazioni dei compagni delle due vittime, le condizioni
meteomarine erano, nel momento in cui il gruppo aveva raggiunto l’ingresso della grotta,
notevolmente avverse e tali da non consentire il protrarsi in sicurezza dell’escursione, e che,
come già ricordato, proprio in ragione di ciò, gli altri tre escursionisti, pur più esperti dei due
Ferrari, si sono ben guardati dal seguire il Giobbi e le due vittime che si erano addentrati
nella grotta.
4.4- Analoghe osservazioni valgono per le considerazioni svolte nel secondo motivo di
ricorso, laddove l’imputato richiama le testimonianze di altre guide (Fadda, Marzan e
Balocchi) che avrebbero fatto riferimento a condizioni meteo “buone” o al mare “un po’
mosso”, Dichiarazioni generiche che, a fronte della diretta e personale percezione che delle
condizioni meteomarine hanno avuto i tre compagni di escursione delle vittime al momento
del drammatico evolversi della vicenda, non assumono rilievo alcuno. Senza contare che,
secondo quanto sostenuto dal giudice di primo grado, per il giorno dell’incidente era stato
diramato addirittura un avviso di burrasca; circostanza che, ha osservato lo stesso giudice,
seppure non impediva l’immersione, tuttavia ribadiva e riscontrava quanto sostenuto dai tre
compagni di escursione e smentiva la tesi difensiva.
4.5- Anche il tema della individuazione della persona che per prima si era addentrata nella
grotta (oggetto del terzo motivo di ricorso): se il Giobbi seguito dai Fenari, o uno di costoro
seguito dall’altro e dal Giobbi, non sembra poter essere argomento di discussione, alla luce
di quanto in proposito hanno concordemente sostenuto gli unici tre testimoni presenti
(Cannarella, Melchiori e Morosi), i quali hanno sostenuto di aver visto l’odierno imputato
addentrarsi decisamente nella grotta seguito dagli altri due; testimonianze che non possono
certo essere inficiate dalle opinabili considerazioni di natura logica svolte dal ricorrente. Il
giudice del gravame, peraltro, ha opportunamente osservato che, ove anche l’imputato si
fosse limitato a seguire i Ferrari, per primi addentratisi nella grotta, ciò non farebbe venir
meno la responsabilità dello stesso, posto che il suo ruolo di guida del gruppo escursionista
gli imponeva di intervenire, date le richiamate difficili condizioni meteomarine, per
distogliere i due dalle loro rischiose intenzioni e per impedir loro di addentrarsi
pericolosamente nella grotta; intervento che, peraltro, non risulta egli abbia sostenuto di
avere effettuato.
Ciò pur a tacere dello stravagante comportamento di chi, come i Ferrari, da un lato, non
sentendosi sicuro, si affida ad una guida per un’escursione in sicurezza, dall’altro, giunto in
una grotta, e dunque in luogo che presentava condizioni certamente più critiche di quelle
riscontrabili in una semplice immersione in mare aperto, si allontana dalla guida e, senza
neanche tener conto delle difficili condizioni ambientali, intraprende l’esplorazione della
grotta.
4.6- Né è argomento spendibile, in termini di un’efficace difesa, la censura svolta nel
quarto motivo di ricorso, laddove l’imputato lamenta che la corte territoriale abbia descritto
il Giobbi come persona temeraria che aveva condotto sub inesperti in situazioni pericolose,
in contrasto con l’accuratezza e l’attenzione con la quale, secondo il Morosi, lo stesso

,

Giobbi aveva organizzato il gruppo di escursionisti, in modo da prestare particolare
attenzione ai Ferrari.
Descrizione che nulla rileva ai fini della decisione, posto che all’imputato è stato
contestato, non di avere mal organizzato l’escursione, ma di non avere preso atto delle
avverse condizioni meteomarine e di essersi imprudentemente addentrato, con le due
vittime, nella grotta; condotta giustamente censurata anche in ragione del fatto che, come
pure sostiene il ricorrente, il Giobbi si era fin dall’inizio ben reso conto del reale livello di
esperienza delle due vittime, tanto da disporre il gruppo in maniera che esse si trovassero
proprio dietro di lui.
4.7- Infondate sono altresì le censure concernenti il nesso di causa (quinto motivo di
ricorso) .
In realtà, accertati il ruolo di guida degli escursionisti assunto dal Giobbi e la conseguente
posizione di garanzia dallo stesso assunta nei confronti degli stessi, accertata, altresì,
l’estrema imprudenza, nei termini sopra richiamati, della sua condotta nel corso
dell’escursione, evidente si coglie il nesso causale tra detta condotta ed il drammatico evento
che ne è derivato.
E’ evidente, infatti, che se l’imputato avesse correttamente giudicato le difficili condizioni
del mare e dei rischi che implicava anche solo l’affacciarsi sulla soglia della grotta, avrebbe
evitato di entrarvi; ovvero, anche a voler seguire la tesi difensiva, avrebbe impedito ai
Ferrali di entrarvi. Sembra evidente alla Corte come l’imputato abbia sostanzialmente
sottovalutato i rischi connessi già con il semplice affaccio degli escursionisti sulla soglia
della grotta; errore fortunatamente non commesso dagli altri sub, che si sono ben guardati
dall’entrarvi.
In tale contesto, palesemente priva di fondamento si presenta anche la tesi -che peraltro
non risulta essere stata proposta ai giudici del gravame- del concorso di colpa delle vittime,
alle quali si addebita persino di essersi lasciati prendere dal panico, quasi che non fosse
addebitabile proprio all’imputato l’averle poste in tali condizioni. Mentre al più anziano dei
due si attribuisce una posizione di garanzia rispetto al figlio, che, ove esistente, non
allevierebbe la responsabilità dell’imputato, e addirittura di non avere “fatto cenno al figlio
di risalire” se avesse ritenuto rischiosa l’escursione, dimenticando che era lo stesso imputato
a dovere valutare le condizioni di rischio ed era lui che sarebbe dovuto intervenire, in qualità
di guida e di esperto, eventualmente anche per bloccare insensate ed improbabili iniziative di
chi alla sua esperienza si era affidato.
In una situazione la cui difficoltà può, peraltro, agevolmente desumersi da quanto, secondo
la sentenza di primo grado, sostenuto dal Cannarella, assistente istruttore e dunque sub
esperto, il quale, premesso di non avere in precedenza conosciuto la grotta teatro della
tragedia, ha affermato che, se l’avesse conosciuta, in base alla sua esperienza ed alle
condizioni del mare, non vi sarebbe mai entrato. E non è certo un caso che, secondo quanto
si legge nella sentenza di primo grado, gli stessi sommozzatori intervenuti per il recupero dei
corpi hanno avuto difficoltà nell’accedere alla grotta.
4.8- Manifestamente infondati sono il sesto il settimo e l’ottavo dei motivi proposti.
Con il primo, l’imputato ripropone e rielabora la questione concernente la differenza tra
“guida” ed “istruttore”, lamentando che il giudice del gravame tale differenza non avrebbe
considerato e diffondendosi nella enunciazione delle differenze esistenti tra le due figure ed i
relativi compiti, anche attraverso la citazione di sentenze di questa Corte, e ritorna quindi a
svolgere considerazioni del tutto prive di rilievo, alla luce di quanto sopra già esposto.
Con il secondo, prospetta ancora la tesi della posizione di garanzia del padre rispetto al
figlio (persino richiamando la potestà genitoriale in una situazione che rendeva necessario,
non l’intervento del padre, ma quello della guida tecnica dell’escursione, al quale lo stesso
padre aveva affidato se stesso ed il figlio) anche avanzando inutili, oltre che sgradevoli,
riferimenti circa la presunta “non normalità” del giovane Angelo, che non spostano in alcun

-5- In conclusione, l’impugnata sentenza risulta compiutamente e coerentemente motivata
con la esposizione dei motivi di fatto e di diritto sui quali la decisione è stata fondata, con
l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa, di guisa che il ricorso proposto
deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite nel presente giudizio,
Castelli Isabella, Ferrari Violetta e Ferrari Daniela, che si determinano in complessivi euro
3.500,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla
rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi euro 3.500,00 oltre
accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 6/3/2014.

modo le considerazioni sopra svolte circa la violazione, da parte dell’imputato, dei precisi
doveri che a lui stesso incombevano in quanto responsabile del gruppo.
Con il terzo, lamenta l’assenza di motivazione in punto di concorso di colpa della vittima,
senza considerare -rilevato, comunque, che la questione non risulta posta all’attenzione del
giudice del gravame- che dal contesto motivazionale della sentenza impugnata chiaramente
si evince la improponibilità di una tal tesi.
4.9- Manifestamente infondata è anche la censura concernente il rigetto, da parte del
giudice del gravame, della richiesta di riapertura del dibattimento. Rifiuto ampiamente e
giustamente motivato sulla base, non solo, della scelta del rito abbreviato, ma anche della
irrilevanza della proposta integrazione probatoria.
4.10- Quanto al motivo concernente le statuizioni civili, osserva la Corte che il rigetto del
ricorso ne determina, ovviamente, la conferma; ciò anche nella parte relativa alle
provvisionali assegnate, in relazione alle quali non è consentito ricorrere per cassazione
(Cass. n. 34791/10).
Mentre la richiesta declaratoria di inammissibilità della costituzione della parte civile,
Comune di Agazzano, è essa stessa inammissibile, atteso che l’imputato a tale costituzione
non si è mai opposto nella sede opportuna e nei termini di legge.

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