Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27952 del 16/06/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 27952 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Saccone Wiiliam, nato a Catania il 18/11/1980

avverso la sentenza del 10/10/2013 della Corte di appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Anna Criscuolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Felicetta Marinelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Maria Fallico, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 ottobre 2014 la Corte d’Appello di Catania ha
confermato la sentenza emessa il 21 dicembre 2012 dal locale Tribunale nei
confronti di Saccone William, riconosciuto colpevole del reato di evasione e
condannato, previo riconoscimento di attenuanti generiche prevalenti sulla
contestata recidiva, alla pena di mesi otto di reclusione.

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Data Udienza: 16/06/2016

In sede di merito è stato accertato che l’imputato, sottoposto alla misura
degli arresti domiciliari ed autorizzato a recarsi al lavoro dal lunedì al sabato
dalle ore 6 alle 13.30 e dalle 15.30 alle 20.30, in occasione del controllo,
eseguito alle ore 21.30 del 13 dicembre 2012 non era stato trovato presso
l’abitazione, ove veniva reperito alle successive ore 23.00, giustificando il ritardo
nel rientro per esigenze di lavoro, in quanto si era dovuto trattenere presso il
luogo di lavoro.
In sede di appello il difensore dell’imputato ne aveva chiesto l’assoluzione

presso il luogo di lavoro in cui era autorizzato a recarsi; in subordine aveva
chiesto di qualificare il fatto come mera trasgressione alle prescrizioni, in ,quanto
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l’imputato non si era sottratto al controllo, ma lo aveva solo reso più aveva ‘chiesto, inoltre, la determinazione della pena al minimo e la conversione in
libertà controllata.
I giudici di appello hanno escluso che la condotta del Saccone costituisse
una mera trasgressione alle prescrizioni, in quanto l’imputato non era stato
trovato in casa in un orario in cui non era stato autorizzato a stare altrove;
hanno evidenziato che le forze di polizia non erano tenute a ricercarlo presso il
luogo di lavoro oltre l’orario autorizzato ed anche se ciò fosse avvenuto, non
avrebbero potuto che constatare l’evasione, e, ritenuta adeguata la pena
commisurata al minimo edittale, hanno rigettato la richiesta di conversione della
pena in libertà controllata, non trattandosi di incensurato.

2. Avverso la sentenza ricorre il difensore dell’imputato, che ne chiede
l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1 violazione dell’art. 385 cod. pen., 1 e 3 cod. pen. e 13 Cost.:
erroneamente la Corte ha ritenuto sussistente il reato di evasione nel caso di
specie per il ritardo nel rientro presso l’abitazione, laddove al semilibero o a colui
che usufruisce di un permesso è consentito un ritardo di ben 12 ore; sostiene
l’inoffensività della condotta e la riconducibilità della stessa ad una mera
trasgressione delle prescrizioni, essendo il luogo di lavoro, sebbene diverso,
equiparabile a quello di detenzione;
2.2 mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
sussistenza dell’elemento soggettivo: la Corte si sarebbe limitata a valutare
l’elemento oggettivo del reato, senza motivare sul dolo, così come la sentenza di
primo grado; la permanenza oltre l’orario consentito nel luogo di lavoro rende
evidente la mancanza di volontà dell’imputato di sottrarsi ai controlli di p.g.;
2.3 mancanza di motivazione ed erronea applicazione della legge penale: il
diniego di conversione della pena è erroneamente motivato con riferimento ad
un presupposto non richiesto dalla legge.

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per difetto di dolo, in quanto l’imputato al momento del controllo si trovava

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va rigettato per i motivi di seguito illustrati.
1.1 II primo motivo è infondato, avendo la Corte di appello correttamente
argomentato sulla sussistenza del reato di evasione nel caso di specie e sulla non
equiparabilità del luogo di lavoro al luogo di detenzione oltre le fasce orarie
autorizzate.
Inconferente è il riferimento del ricorrente alla trasgressione delle

alla permanenza in luogo diverso da quello di detenzione oltre il limite temporale
oitz,
concesso, in assenza di casiCforza maggiore o di stato di necessità e sul punto la
Corte di appello ha congruamente motivato sulla insussistenza di fattori
scriminanti e sulla scelta dell’imputato di trattenersi in luogo diverso da quello di
detenzione in assenza di autorizzazione.
Improponibile è la tesi del ricorrente, che prospetta un’inammissibile
estensione di una disposizione speciale, dettata per la fase esecutiva ed
applicabile ai condannati, ai sottoposti a misura cautelare. L’opzione
interpretativa proposta dal ricorrente comporterebbe l’inserimento nell’art. 385
cod. pen. di un elemento (quello temporale) non previsto e l’irrilevanza penale di
allontanamenti contenuti nell’arco delle dodici ore, con conseguente
stravolgimento della norma e vanificazione degli effetti della misura cautelare
applicata in forma attenuata.
Considerato, invece, che il reato di evasione è un reato proprio a forma
libera, che può essere integrato da qualsiasi modalità esecutiva, risultando
indifferenti i motivi dell’allontanamento (salva la sussistenza di indifferibili e
rigorosamente documentati stati di necessità o di eccezionali eventi impeditivi)
ed irrilevanti la durata dell’allontanamento e la distanza maggiore o minore dal
domicilio (Sez. 6, 09/06/2015, n. 28118, Rapino, Rv. 263977; Sez. 6,
21/03/2012, n. 11679, Fedele), pacificamente integra gli estremi del reato di
evasione qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza
autorizzazione, anche se di breve durata ed implicante uno spostamento di
modesta distanza, in quanto lo scopo della norma incriminatrice va ravvisato nel
fatto che la persona sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari resti
nel luogo indicato, perché ritenuto idoneo a soddisfare le esigenze cautelari e,
nel contempo, a consentire agevolmente il prescritto controllo dell’autorità.

2.2 Parimenti infondato è il secondo motivo, risultando implicitamente
motivata la sussistenza del dolo nella condotta dell’imputato, consapevolmente
trattenutosi oltre il termine orario concessogli nell’autorizzazione al lavoro in
luogo diverso dall’abitazione.

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prescrizioni, ravvisabile solo relativamente al contenuto dell’autorizzazione, non

Costituendo la permanenza nell’abitazione, per definizione, l’obbligo
essenziale del sottoposto alla misura domiciliare e non una semplice imposizione
ad esso inerente (Sez. 7, 3.2.2011 n. 8604, Rv. 249649), ad integrare
l’elemento psicologico del reato è sufficiente che la condotta di allontanamento
dallo stretto ambito domiciliare sia sorretta dalla consapevolezza di fruire di una
libertà di movimento spazio-temporale, che la corretta esecuzione della misura
cautelare precluderebbe.

detentiva breve con le misure previste dall’art. 55 legge 689/81 è rimessa alla
discrezionalità del giudice, come espressamente previsto dall’art. 58 legge cit.,
che rimanda ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e vieta la sostituzione nel caso
in cui il giudice presume che le prescrizioni non saranno adempiute.
La valutazione negativa è stata implicitamente effettuata dai giudici di
merito, in quanto oggettivamente imposta dalla condanna per il reato di
evasione e dal riferimento ai precedenti penali, risultanti dal certificato in atti.
Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso, il 16/06/2016.

2.3 Infondato è anche il terzo motivo, atteso che la sostituzione della pena

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