Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27951 del 16/06/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 27951 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Rotundo Umberto Francesco, nato a Soverato il 23/04/1989

avverso la sentenza del 19/05/2014 della Corte di appello di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Anna Criscuolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Felicetta Marinelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19 maggio 2014 la Corte d’Appello di Catanzaro, in
parziale riforma della sentenza emessa il 19 luglio 2013 dal locale Tribunale nei
confronti di Rotundo Umberto Francesco, ritenuto responsabile del reato di
evasione, ha ridotto la pena, previo riconoscimento della diminuente del vizio
parziale di mente.
In sede di merito è stato accertato che l’imputato, sottoposto alla misura
degli arresti domiciliari in forza di ordinanza cautelare, emessa l’11/06/2012 dal
G.i.p. del Tribunale di Aosta, in occasione del controllo, eseguito alle ore 20.30

Data Udienza: 16/06/2016

del 25 aprile 2013, era stato notato dagli operanti mentre stava rientrando
nell’abitazione.
In sede di appello il difensore dell’imputato ne aveva chiesto l’assoluzione
per difetto di dolo, in quanto il Rotundo si era allontanato dal luogo di detenzione
per chiudere il cancello esterno ed evitare furti all’attività commerciale, ubicata
nello stesso immobile; aveva, inoltre, chiesto l’assoluzione per difetto di
imputabilità, essendo il Rotundo affetto da disturbo bipolare, come riconosciuto
dalla commissione medica provinciale per l’accertamento delle invalidità civili ed

Dopo aver escluso che le circostanze dedotte dall’imputato integrassero uno
stato di necessità, non risultando l’indispensabilità dell’attività da svolgere, la
Corte d’appello ha riconosciuto, sulla scorta della perizia prodotta, disposta
nell’ambito di altro procedimento penale per altro reato di evasione, commesso
nell’agosto 2013, e delle dichiarazioni del perito, la minorata capacità
dell’imputato al momento del fatto. Ha riconosciuto, pertanto, la diminuente di
cui all’art. 89 cod. pen. da ritenersi, unitamente alle attenuanti generiche già
riconosciute in primo grado, prevalente sulla recidiva ritenuta dal primo giudice
in ragione dei precedenti penali dell’imputato.

2. Avverso la sentenza ricorre il difensore dell’imputato, che ne chiede
l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1 illogicità e carenza di motivazione in ordine alla richiesta di assoluzione
per mancanza di dolo: erroneamente la Corte ha ritenuto insussistente lo stato di
necessità, mai dedotto né invocato, essendosi, invece, sostenuta la mancanza di
volontà dell’imputato di sottrarsi ai controlli di p.g.;
2.2 omessa motivazione in ordine alla richiesta di assoluzione per incapacità
di intendere e di volere, alle dichiarazioni del perito e alla richiesta di
supplemento istruttorio: la Corte non ha accolto la richiesta di perizia, basandosi
sulla perizia prodotta dalla difesa, letta, però, in modo superficiale, essendosi
trascurato che il perito nel corso dell’esame aveva sì affermato la parziale
capacità di intendere dell’imputato, ma escluso la capacità di volere;
2.3 illogicità della motivazione in ordine alla recidiva contestata e omessa
motivazione in punto di quantificazione della pena: la Corte ha confermato la
decisione del primo giudice in ordine alla recidiva, affermando, illogicamente, che
“la condotta commessa è senz’altro indicativa di una maggiore e spiccata
pericolosità sociale stante l’incapacità di frenare gli impulsi a violare le regole
imposte dall’autorità e la proclività a delinquere”, pur a fronte della incapacità
patologica dell’imputato di frenare i propri impulsi; la Corte non ha, inoltre,
giustificato la ragione per la quale ha determinato la pena, partendo dalla pena
base indicata dal primo giudice e pervenendo ad una pena superiore a quella
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attestato dalla documentazione prodotta in primo grado, trascurata dal giudice.

irrogabile nel caso di massima applicazione dell’attenuante, peraltro, ritenuta
prevalente insieme alle generiche sulle circostanze aggravanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato unicamente in ordine alla determinazione della pena.
1.1 II primo motivo è infondato, in quanto dalla motivazione della sentenza
è agevole comprendere che con l’improprio riferimento all’assenza di uno stato di

psicologico del reato, ritenendo generica, non documentata ed indimostrata la
circostanza e l’esigenza addotta dall’imputato per giustificare l’uscita non
autorizzata dall’abitazione.
La decisione della Corte di appello è sul punto corretta, atteso che il reato di
evasione è un reato proprio a forma libera, che può essere integrato da qualsiasi
modalità esecutiva, risultando indifferenti i motivi dell’allontanamento (salva la
sussistenza di indifferibili e rigorosamente documentati stati di necessità o di
eccezionali eventi impeditivi) ed irrilevanti la durata dell’allontanamento e la
distanza maggiore o minore dal domicilio (Sez. 6, 09/06/2015, n. 28118,
Rapino, Rv. 263977; Sez. 6, 21/03/2012, n. 11679, Fedele): pertanto,
pacificamente integra gli estremi del reato di evasione qualsiasi allontanamento
dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, anche se di breve durata
ed implicante uno spostamento di modesta distanza, in quanto lo scopo della
norma incriminatrice va ravvisato nel fatto che la persona sottoposta alla misura
cautelare degli arresti domiciliari resti nel luogo indicato, perché ritenuto idoneo
a soddisfare le esigenze cautelari e, nel contempo, a consentire agevolmente il
prescritto controllo dell’autorità.
Ritenuto altresì, che il reato di evasione è caratterizzato da dolo generico e
che la permanenza del soggetto nello stretto ambito del suo domicilio
(abitazione) rappresenta, per definizione, l’obbligo essenziale del sottoposto alla
misura domestica e non una semplice imposizione ad esso inerente (Sez. 7,
3.2.2011 n. 8604, Rv. 249649), ad integrare l’elemento psicologico del reato è
sufficiente che la condotta di allontanamento dallo stretto ambito domiciliare sia
sorretta dalla consapevolezza di fruire di una libertà di movimento spaziotemporale, che la corretta esecuzione della misura cautelare precluderebbe.

2.2 Infondato è anche il secondo motivo, risultando giustificata dalla
produzione documentale della perizia disposta in altro procedimento per lo
stesso reato, commesso in epoca di poco successiva a quella in cui fu commesso
il reato oggetto del processo, la superfluità di una nuova perizia, specie in
ragione del disposto esame del perito, che ha confermato la validità e

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necessità la Corte ha inteso respingere la prospettata assenza dell’elemento

l’estensibilità delle conclusioni dell’elaborato peritale al fatto in esame, potendosi
inquadrare l’evasione in oggetto nello stesso quadro patologico.
Quanto alla richiesta di assoluzione per vizio totale di mente ed alla
contestata lettura parziale delle dichiarazioni del perito, la censura è
inammissibile in questa in sede nella misura in cui affida a questa Corte una
rilettura delle stesse, a fronte di una valutazione dei giudici di appello congrua ed
aderente alle risultanze dell’elaborato peritale, che lo stesso ricorrente riferisce
concludevano per “una scemata capacità di intendere e di volere anche con

2.3 E’, invece, fondato l’ultimo motivo relativo alla determinazione della
pena.
In ordine alla recidiva, ritenuta dal giudice di primo grado in ragione dei
precedenti, plurimi ed anche specifici dell’imputato, la valutazione della Corte
territoriale risulta corretta alla luce dei precedenti penali del Rotundo, gravato da
condanne per reiterate violazioni della legge sugli stupefacenti oltre che per
evasione, in quanto espressivi di una maggiore pericolosità dell’imputato e di una
spiccata inclinazione a delinquere.
Né è ravvisabile la dedotta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in
quanto i giudici non hanno in concreto applicato il relativo aumento di pena,
operando un giudizio di comparazione con le attenuanti riconosciute, in linea con
i principi affermati da questa Corte (Sez. 4, sentenza n. 16628 del 31/03/2016,
Rv. 266530, secondo la quale il divieto di prevalenza, nel giudizio di
comparazione, delle circostanze attenuanti nel caso di recidiva reiterata di cui
all’art. 99, comma quarto, cod. pen., opera soltanto se il giudice in concreto
ritenga di disporre l’aumento di pena per la recidiva, oltre che nel caso in cui la
recidiva reiterata sia obbligatoria per essere il nuovo delitto compreso
nell’elencazione di cui all’art. 407, comma secondo, lett. a) cod. proc. pen).
Tuttavia, se nel giudizio di primo grado detta aggravante era stata bilanciata
dal giudizio di equivalenza con le attenuanti generiche riconosciute con
determinazione della pena base in un anno di reclusione, ridotta di un terzo per il
rito prescelto a mesi otto di reclusione, una volta riconosciuta la diminuente del
vizio di mente ex art. 89 cod. pen. e le attenuanti generiche con giudizio di
prevalenza sulla recidiva contestata, la Corte di appello non solo non ha
esplicitato i criteri di calcolo della pena ma non l’ha determinata in modo
corretto.
Precisato che la diminuente del vizio parziale di mente, al pari di ogni altra
circostanza inerente la persona del colpevole, soggiace al giudizio di
comparazione con le altre circostanze (Sez. 2, n. 35006 del 09/06/2010, Rv.
248612) e che il giudizio di comparazione tra circostanze, previsto dall’art. 69
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riferimento all’episodio che oggi ci occupa”.

c.p. ha carattere unitario ed è inscindibile, dovendo comprendere tutte le
attenuanti e le aggravanti ravvisate, nel senso che “le circostanze concorrenti
devono essere ritenute complessivamente equivalenti fra loro ovvero tutte quelle
di un segno devono essere considerate prevalenti rispetto a quelle di segno
opposto” (in termini Sez. 1, n.40812 del 27/10/2010, Rv. 248442, Sez. 4, n.
1901 del 7/2/1995, Rv. 200897, Sez. 6, n. 39456 del 9/10/2003, Rv. 227433),
erroneamente i giudici hanno operato una sola riduzione della pena base, a
fronte delle due attenuanti riconosciute, oltre alla riduzione di un terzo per il rito.

sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra
sezione della Corte di appello di Catanzaro.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena
e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di
Catanzaro.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso, il 16/06/2016.

Stante l’erroneità della statuizione e la lacuna motivazionale rilevata, la

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