Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27942 del 31/05/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 27942 Anno 2016
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PERRONE ALESSIO nato il 03/02/1979 a LECCE
avverso la sentenza del 05/06/2015 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso
udito in PUBBLICA UDIENZA del 31/05/2016, la relazione svolta dal Consigliere
PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del dr ANTONIO BALSAMO che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Perrone Alessio all’esito del giudizio abbreviato di primo e secondo grado dinanzi
al Gup del Tribunale di Lecce ed alla Corte di Appello di Lecce, era condannato per
associazione per delinquere, usura aggravata, estorsione aggravata e condannato alla
pena di anni cinque di reclusione ed euro 1400 di multa.
La sentenza della Corte d’Appello di Lecce del 6 febbraio 2013 era annullata da
questa Corte di Cassazione limitatamente al profilo della corretta qualificazione del
reato di estorsione contestato al capo F) in quanto la Corte di merito, nonostante uno
specifico motivo di impugnazione, aveva confermato che la contestazione di
estorsione andasse ritenuta come consumata e non semplice tentativo sulla base di
un generico richiamo dei risultati dell’istruttoria.
Il rinvio era perciò disposto al solo fine di decidere sulla qualifica del capo 9.

1

Data Udienza: 31/05/2016

La Corte di appello di Lecce, in sede di rinvio, con la sentenza dell’Il settembre
2015, oggi impugnata, riteneva che il delitto fosse restato allo stadio del tentativo e
qualificava il reato quale delitto di tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 629,
secondo comma, cod. pen. e 7, comma 2, I. 203/1991; in conseguenza, previo
riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante di cui all’art.
629, secondo comma, cod. pen., determinava la pena in tre anni cinque mesi e dieci

Perrone propone ricorso a mezzo del difensore:
con il primo motivo deduce la violazione dell’articolo 597, comma 3, cod. proc.
pen. ed il vizio di motivazione in quanto la pena base “viene certamente fissata in
misura superiore” rispetto a quella del primo grado considerando la necessaria minor
pena conseguente al tentativo.
Con il secondo motivo deduce la omessa motivazione sulle ragioni per non
applicare la massima riduzione di pena per il tentativo, come richiesto in sede di
conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato in quanto non è affatto vero che la
Corte di Appello abbia applicato la pena in misura superiore rispetto a quella applicata
dalla sentenza di primo grado per il reato consumato.
Va innanzitutto rammentato che il reato tentato è un reato autonomo rispetto al
reato consumato e non una sua ipotesi attenuata. Questo vuol dire che, laddove in
grado di appello venga riformata la decisione di primo grado ritenendo integrato il
tentativo e non il reato consumato, non vi è l’obbligo di applicare una riduzione di
pena, come per le attenuanti, rispetto alla pena originariamente applicata; il secondo
giudice, invece, nell’ambito della diversa e minore forbice edittale per il reato tentato,
deve determinare la pena ex novo tenuto conto delle circostanze di cui all’art. 133
cod. pen.. L’unico limite posto al giudice di appello è nel senso che la pena deve essere
comunque ridotta.
Nel caso di specie, il primo giudice aveva applicato la pena di anni sette e mesi
sei di reclusione ed euro 1200 di multa, in essa già compreso l’aumento di pena per
la aggravante di cui all’articolo 7 I. cit.; ciò significa che la pena base era stata
determinata in anni cinque di reclusione ed euro 1000 di multa, secondo la previsione
dell’art. 629, primo comma, cod. pen..
Il giudice di appello ha, invece, determinato la pena base in anni quattro di
reclusione ed euro 800 di multa valutando il fatto quale tentativo di estorsione; ha

giorni di reclusione ed euro 1166 di multa.

quindi correttamente quantificato la pena rispettando l’obbligo di riduzione rispetto a
quella applicata in primo grado.
Il secondo motivo è manifestamente infondato: il giudice non doveva applicare
una riduzione di pena per il tentativo – come richiedeva il ricorrente – bensì doveva
determinare la pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen. nell’ambito della forbice edittale
prevista per la estorsione tentata, il che ha regolarmente fatto.

nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara i
processuali n

missibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
hé della somma di euro 1500 in favore della Cassa delle Ammende.

Roma csì de iso ella camera di consiglio del 31 maggio 2016

Valutate le ragioni della inammissibilità, la sanzione pecuniaria va determinata

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