Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27941 del 31/05/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 27941 Anno 2016
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BERNOT LIVIO nato il 14/03/1937 a GORIZIA

avverso la sentenza del 14/07/2015 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA
del 31/05/2016, la relazione svolta dalConsigliere EMANUELE DI SALVO
Udito il Procuratore Generale in persona del Sost. Proc. Gen. ANTONIO BALSAMO
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
E presente l’Avv. Roberta Torna che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

Uditi dif nsor Avv.;

Data Udienza: 31/05/2016

RITENUTO IN FATTO
1.

Bernot Livio ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe

indicata, con la quale è stata confermata la sentenza di condanna emessa in
primo grado, in ordine al delitto di cui all’art. 388, comma 6, cod. pen. per
avere, in qualità di debitore sottoposto a pignoramento mobiliare, dichiarato
falsamente all’ufficiale giudiziario, che lo aveva invitato ad indicare le cose e
i crediti pignorabili, di non possedere beni pignorabili, essendo invece

2. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di
motivazione, poiché in querela non viene indicato alcun fatto specifico, di
natura commissiva, tra quelli enucleabili dall’art. 388 cod. pen.
2.1. Dalla querela non si evince poi alcuna volontà che il Bernot venga
punito, rimettendosi la querelante alle valutazioni della Procura della
Repubblica.
2.2. Il ricorrente versava comunque in errore di fatto, ex art. 47, comma
3,cod. pen., poiché la normativa vigente aveva sempre previsto
l’impignorabilità della pensione ed egli non era a conoscenza della sentenza
della Corte costituzionale n. 506 del 4/12/2002, che ha reso pignorabili
anche le pensioni di notai e avvocati. Non si tratta di errore sulla legge
penale ma di errore su norma extrapenale, che ha dunque efficacia
esimente. Del resto, anche la creditrice e la Guardia di Finanza erano
convinti dell’impignorabilità della pensione. E comunque il ricorrente non ha
reso alcuna falsa dichiarazione, relativamente alla pensione in esame, non
avendo egli dichiarato di non percepire alcuna pensione e nemmeno di non
possedere beni ma soltanto dì non possedere beni pignorabili, essendo
convinto, in buona fede, che la propria pensione fosse impignorabile.
2.3. Si tratta, in ogni caso, di un fatto di particolare tenuità, ex art. 131-bis
cod. pen., anche perché al decreto ingiuntivo di circa C 15.000, azionato
dalla creditrice, venne proposta opposizione, poiché il ricorrente vantava un
controcredito di circa C 8000, per prestazioni professionali. E comunque la
persona offesa non è da individuarsi nel creditore ma soltanto
nell’amministrazione della giustizia, che non si è costituita parte civile. Non
vi è neanche abitualità nel comportamento del ricorrente.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

1

risultata la disponibilità di un reddito da pensione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è infondato. Il tenore testuale
dell’imputazione è infatti estremamente

chiaro

nella formulazione

dell’addebito, poichè la contestazione riporta testualmente la
dichiarazione resa dal Bernot, così come specifica il nominativo del
creditore procedente; il luogo e la data del fatto (Gorizia, 22-7-2009); la
fonte del reddito pensionistico (Fondazione Cassa di previdenza
Forense);l’importo della pensione (2.685, 02 mensili). Trattasi pertanto di

aderenza al dettato dell’art. 388, comma 6, cod. pen., che incrimina, per
l’appunto, la falsa dichiarazione, a fronte dell’invito, da parte dell’ufficiale
giudiziario, a indicare le cose e i crediti pignorabili.

2. Anche il secondo motivo è infondato. Come è stato correttamente
evidenziato dal giudice a quo, infatti, nelle espressioni “Si chiede che sia
valutata, nei confronti dell’avv. Livio Bernot, l’ipotesi di reato ex art.
388,comma 6, cod. pen. e/o quant’altro codesta Procurg della Repubblica
intenda ravvisare” e “Si esprime la volontà di punizione dell’autore del
reato”, è univocamente da ravvisarsi l’esternazione della volontà che il
colpevole venga perseguito penalmente.

3. Nemmeno il terzo motivo di ricorso merita accoglimento. L’ignoranza e
l’errore sul precetto possono infatti assumere rilevanza sotto un duplice
profilo: o come ignoranza o errore sulla legge extrapenale, nell’ottica
delineata dall’art. 47, comma 3, cod. pen.; o come ignoranza inevitabile
della norma penale, ai sensi dell’art. 5 cod. pen., nel testo risultante da
Corte Cost. n. 364 del 24-3-1988. In ordine alla prima ipotesi, occorre
osservare come la giurisprudenza, come è noto, distingua fra norme
extrapenali

integratrici

del

precetto,

che,

essendo

in

esso

incorporate,sono da considerarsi legge penale , per cui l’errore su di esse
non scusa, ai sensi dell’art. 5 cod. pen.; e norme extrapenali non
integratrici del precetto, ossia disposizioni destinate, ab origine, a
regolare

rapporti

giuridici

di

carattere

non

penale,

non

richiamate,neppure implicitarnente,dalla norma penale. L’errore che cade
su di esse esclude il dolo, generando un errore sul fatto, a norma dell’art.
47, comma 3, cod. pen. ( ex plurimis, Cass., Sez. 5, 20- 2-2001, Martini;
Cass., Sez. 6, 18-11-1998, Benanti).

2

un addebito scolpito con assoluta precisione nell’imputazione, in perfetta

In ordine all’ignoranza inevitabile della legge penale- prospettazione che
occorre sempre riguardare con cautela, nella vastissima area dei mala
quia prohibita- è invece da osservare come la giurisprudenza, sulla scia
della citata pronuncia della Corte costituzionale, abbia elaborato tre
criteri: il criterio oggettivo; il criterio soggettivo; il criterio misto. Il
criterio oggettivo è basato su una marcata spersonalizzazione, nel senso
che esso opera laddove debba ritenersi che qualsiasi consociato, in quella
determinata situazione di tempo, di luogo ed operativa, sarebbe

dipendere dall’oscurità o dalla contraddittorietà del testo legislativo; da
un generalizzato caos interpretativo; dall’assoluta estraneità del suo
contenuto precettivo ai valori correnti nella società. Si esula dunque
dall’ambito dell’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale allorchè ci si
trovi in presenza di norme dal contenuto precettivo sufficientemente
chiaro, che non presenta particolari asperità ermeneutiche e che non si
discosta dai valori correnti nella società in misura tale da non trovare
nessuna rispondenza nella c.d.”sfera parallela laica” . In ogni caso, Sez.
U., 10-6-1994, Calzetta, ha stabilito che l’inevitabilità dell’ignoranza della
legge penale può essere ravvisata ogniqualvolta il cittadino abbia
assolto,con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di
informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi accertamento utile
per conseguire la conoscenza della normativa vigente.
Il parametro soggettivo è invece basato sulle caratteristiche personali
dell’agente che abbiano influito sulla conoscenza del precetto, come
l’elevato deficit culturale, alla luce ad esempio, della condizione di
straniero proveniente da aree socio-culturali molto distanti dalla nostra e
da poco in Italia; o l’incolpevole carenza di socializzazione ( Cass. 9-51996, Falsino, Rv. n. 205513; Cass. 4-5-1995, Bindi).
Il parametro c.d. misto comprende infine tutte le ipotesi in cui operano, in
varia misura e con diverso spessore, criteri oggettivi e soggettivi, in
combinazione tra loro. In quest’ottica, la giurisprudenza ha evidenziato
come l’esimente della buona fede possa trovare applicazione solo
nell’ipotesi in cui l’agente abbia fatto tutto il possibile per adeguarsi al
dettato della norma e questa sia stata violata per cause indipendenti dalla
volontà dell’agente, al quale quindi non possa essere mosso alcun
rimprovero, neppure di semplice leggerezza. Conseguentemente, non è
sufficiente ad integrare gli estremi dell’esimente il semplice
comportamento passivo dell’agente, essendo invece necessario che egli si
adoperi al fine di adeguarsi all’ordinamento giuridico, ad
3

incappato nell’ignoranza o nell’errore sulla norma penale. Ciò può

esempio,informandosi presso gli uffici competenti o consultando esperti in
materia (Cass., Sez. 1, n. 25912 del 18-12-2003, Rv. 228235; Cass.,Sez.
5, n. 41476 del 25-9-2003, Rv. 227042).
3.1. Nel caso in esame, non è ravvisabile l’ipotesi di cui all’art. 47,comma
3, cod. pen., poichè le norme che attribuiscono ad un bene il carattere di
pignorabilità integrano il precetto penale, essendo in esso incorporate, in
quanto l’art. 388, comma 6, cod. pen. fa espresso riferimento alle cose o
ai crediti “pignorabili”, con ciò richiamando le disposizioni di legge in tema

di un bene si risolve in ignoranza o in errore sulla legge penale. Né è
sostenibile che si versi in un’ipotesi di inevitabilità dell’ignoranza della
legge penale, poiché la normativa in tema di pignorabilità della pensione
non presenta certamente connotati di cripticità tali da potersi ricondurre
all’ottica dell’oscurità del precetto. Non è nemmeno riscontrabile, in
materia, una situazione di caos interpretativo o di assoluta estraneità del
contenuto precettivo delle norme alla sensibilità del cittadino. Ancor
meno può farsi appello, nel caso di specie,a1 criterio soggettivo, poiché il
Bernot riveste qualità di avvocato. Né risulta che egli abbia fatto tutto il
possibile per acquisire la conoscenza della normativa in materia.

4. Neanche l’ultimo motivo di ricorso può essere accolto, collocandosi sul
terreno del merito. Le determinazioni adottate dal giudice a quo, in
ordine alla particolare tenuità del fatto, sono quindi insindacabili ove siano
supportate da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Al riguardo, la
Corte d’appello ha evidenziato che la falsa dichiarazione è stata resa dal
Bernot nell’ambito di un procedimento esecutivo promosso da una ex
dipendente, la quale vantava, nei suoi confronti, un credito da lavoro, di
rilevante importo, il cui soddisfacimento è stato, in tal modo, impedito
o,comunque, ritardato, di talchè l’offesa non può ritenersi particolarmente
tenue. L’impianto argomentativo a sostegno della decisione sul punto si
sostanzia dunque in un apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di
discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logicogiuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità.

5.

Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna dei

ricorrente al pagamento delle spese processuali.

4

di pignorabilità. Ne deriva che l’ignoranza o l’errore circa la pignorabilità

PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31-5-2016.

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