Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27935 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 27935 Anno 2016
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TAGARELLI VITO ONOFRIO nato il 01/09/1977 a RUTIGLIANO
avverso la sentenza del 29/11/2013 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/05/2016, la relazione svolta dal
Consigliere PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del ROBERTO ANIELLO che ha
concluso per il rigetto del ricorso
Udito l’avv. MARCO DITROIA che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
CONSIDERATO IN FATTO
La Corte di Appello di Ancona con sentenza del 29 novembre 2013, in parziale
riforma della sentenza del giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Pesaro,
riteneva Tagarelli Vito Onofrio responsabile del reato di peculato d’uso continuato

Data Udienza: 10/05/2016

in quanto, carabiniere in servizio alla stazione di Novafeltria, accedeva ai locali
della compagnia dei carabinieri di Novafeltria, nello stesso edificio, per effettuare
continue telefonate con gli apparecchi in dotazione all’Amministrazione ad utenze
telefoniche cellulari in uso a sé ed alla moglie per ottenere credito telefonico
premiale a proprio vantaggio; tale condotta causava all’amministrazione un costo
di circa euro 15000. La Corte applicava altresì la misura della interdizione dai
pubblici uffici per anni 5, pena accessoria non applicata dal primo giudice
Tagarelli propone ricorso a mezzo del difensore.
Con il primo motivo denuncia la violazione di legge per essere stato ritenuto
il reato di peculato e non quello di furto aggravato tenendo conto che non vi era

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da parte del ricorrente alcun possesso dei telefoni; egli aveva utilizzato la linea del
nucleo operativo radiomobile che è un reparto autonomo del tutto indipendente
Dalla stazione dei carabinieri.
Con secondo motivo rileva la inadeguatezza della motivazione per affermare
che il ricorrente, diversamente da quanto sostenuto, fosse autorizzato ad accedere
ai locali in cui erano posti gli apparecchi telefonici utilizzati e che quindi fosse
autorizzato ad utilizzarli.
Con terzo motivo osserva che, a fronte della condanna a mesi cinque di

degli articoli 317 bis, 37 e 28 codice penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ parzialmente fondato solo il terzo motivo.
In ordine al primo motivo, il ricorso insiste su un punto che ha già avuto chiara
risposta nella sentenza impugnata, senza peraltro adeguato confronto con gli
argomenti dei giudici di merito. Va quindi ribadito che ai fini del peculato non è
necessario il possesso o la detenzione secondo la nozione civilistica ma, come
prevede espressamente la stessa norma incriminatrice, è sufficiente la
“disponibilità” dei beni per ragione del servizio prestato; e non è richiesto che tale
disponibilità sia conforme alle disposizioni dell’ufficio, ma può essere anche stata
acquisita in modo illegittimo, argomento che la Corte di Appello ha sviluppato
ampiamente. Quindi, nel caso di specie, il fatto che, nel prestare servizio in un
complesso occupato da più uffici della medesima amministrazione, il ricorrente si
sia recato in un’area a lui (in ipotesi) preclusa, non fa venire meno la condizione
di avere acquisito la disponibilità dei dati beni in ragione del suo ufficio.
Il secondo motivo è manifestamente infondato perché considera un contenuto
della sentenza diverso da quello effettivo; i giudici di appello non hanno affermato
né che il ricorrente fosse autorizzato ad accedere alla data area nè che fosse
autorizzato all’uso delle linee telefoniche.
Il terzo motivo, invece, è fondato nei limiti di essere stata applicata la pena
accessoria per un periodo superiore a quello previsto.
L’art. 317 bis cod. pen. prevede che se la pena detentiva applicata è “….
inferiore a 3 anni, la condanna importa l’interdizione temporanea”. La durata della
misura, quindi, non è specificata.
Si applica allora la disciplina dell’art. 37 cod. pen. che fissa la durata della
pena accessoria quando non vi sia previsione speciale; se tale durata “non è
espressamente determinata, la pena accessoria ha una durata eguale a quella
della pena principale inflitta,.., tuttavia, in nessun caso essa può oltrepassare il
limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria”.

reclusione, non poteva essere applicata una pena accessoria in base al combinato

Quindi, poiché l’art. 29 cod. pen. prevede che l’interdizione temporanea abbia
una durata minima di un anno, a fronte della pena irrogata, mesi cinque di
reclusione, il tempo della interdizione nel caso di specie doveva essere determinata
in un anno.
Trattandosi di misura precisa e non essendovi necessità di valutazione nel
merito, previo annullamento sul punto, alla correzione può procedere questa
Corte.
P.Q.M.

pena accessoria che ridetermina in anni uno.
Rigetta nel resto il ricorso.
Roma ‘..ìdeciso nella camera di consiglio del 10 maggio 2016

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla durata della

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