Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27929 del 20/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 27929 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
D’Amilo Pasquale, nato a Taviano il 24/06/1958
D’Amilo Graziano, nato a Casarano il 10/12/1982

avverso la sentenza del 06/05/2015 della Corte d’appello di Lecce
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano
rigettati.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe, in parziale riforma della sentenza
assolutoria del Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Tricase, del 21 settembre
2011, la Corte d’appello Lecce ha dichiarato Pasquale D’Amilo e Graziano D’Amilo
colpevoli dei reati loro ascritti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di
lesioni personali in danno di Vito Lecci, condannandoli alla pena di mesi due di
reclusione ciascuno, con i benefici della pena sospesa e della non menzione.
Secondo contestazione, agli imputati è ascritto di essersi fatti ragione da sé
potendo ricorrere al giudice, in concorso tra loro e con altri due soggetti non
identificati, al fine di esercitare un preteso diritto alla consegna di una vettura
Audi (che Graziano D’Amilo aveva acquistato da Vito Lecci e rispetto alla quale

Data Udienza: 20/04/2016

entrambi gli imputati avevano stipulato un contratto di finanziamento), ed – in
particolare – di avere posto in essere condotte minacciose e violente in danno del
Lecci, il quale veniva ingiuriato, intimidito, strattonato e colpito al volto e al
tronco con pugni, riportando lesioni personali giudicate guaribili in dieci giorni.

2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. Biagio Palamà,
difensore di fiducia di Pasquale e Graziano D’Amino, e ne ha chiesto
l’annullamento per violazione di legge penale in relazione agli artt. 110, 582 e

d’appello ha ritenuto provata la penale responsabilità dei D’Amilo sebbene sia
stato pacificamente accertato che gli imputati non prendevano parte
all’aggressione, che veniva posta in essere esclusivamente dal soggetto albanese
non identificato; b) che risulta, d’altra parte, illogica l’affermazione secondo la
quale il quadro accusatorio non muterebbe allorché si ammettesse che
l’acquirente reale dell’autovettura era il non identificato straniero, atteso che in tal caso – verrebbe meno l’elemento cardine su cui ruota l’affermazione della
responsabilità penale dei fatti, id est il movente; c) che, contrariamente a quanto
argomentato dalla Corte, la mera presenza sul luogo del fatto non vale ad
integrare il concorso nel reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

2. Sotto un primo profilo, mette conto rilevare come i motivi di ricorso,
anziché denunciare taluno dei vizi logici previsti dall’art. 606, comma 1, cod.
proc. pen., siano volti ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di
merito, senza che possa integrare un vizio di legittimità la mera prospettazione
di una diversa – e per il ricorrente più adeguata – valutazione delle risultanze
processuali (ex plurimis Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. U,
n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).

3. D’altra parte, la motivazione della sentenza in verifica non si pone in
contrasto con i consolidati principi espressi da questo Giudice di legittimità in
tema di cd. ribaltamento della decisione assolutoria all’esito del giudizio d’appello
a piattaforma probatoria invariata, profilo – per vero – neanche dedotto dal
ricorrente.

2

393 cod. pen. e per vizio di motivazione. Nel ricorso si evidenzia: a) che la Corte

Ferma la legittimità della riforma in appello della pronuncia liberatoria in
assenza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, il rovesciamento del
giudizio assolutorio di primo grado comporta il rigoroso rispetto del principio
codificato nel comma 1 dell’art. 533 cod. proc. pen. (introdotto con L. n. 46 del
2006)

alla stregua del quale “il giudice pronuncia sentenza di condanna se

l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole
dubbio”

e, pertanto, impone al decidente di merito la verifica e dunque la

precisazione delle ragioni di fatto e di diritto che, proprio in considerazione

penale responsabilità dell’imputato (in questo senso, per tutte, Sez. U, sent. n.
45276 del 30/10/2003 – dep. 24/11/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226093 e,
da ultimo, Sez. 2, n. 17812 del 09/04/2015 – dep. 29/04/2015, Maricosu, Rv.
263763).
4.1. A tali principi di diritto si conforma perfettamente la decisione in
verifica, là dove la Corte d’appello di Lecce è pervenuta alla condanna degli
imputati sulla base, non di una diversa valutazione di attendibilità della persona
offesa Lecci, ma della corretta valutazione e qualificazione giuridica della
fattispecie concreta – così come ricostruita dal Tribunale sulla base della
narrazione del medesimo Lecci, stimato affidabile anche dal primo decidente -,
confrontandosi in modo specifico e completo con le argomentazioni contenute
nella prima sentenza e dimostrandone l’insostenibilità in fatto e l’erroneità in
diritto.
4.2. Con una motivazione immune da vizi logico giuridici ictu ocu/i rilevabili
la Corte ha difatti evidenziato, per un verso, che i fatti come ricostruiti
rimandano inequivocabilmente ad una sorta di spedizione punitiva organizzata
dai D’Amilo ai danni del Lecci, colpevole di non avere onorato il contratto
concluso, risultando irrilevante la circostanza che l’acquirente “reale”
dell’autovettura fosse il cittadino albanese non identificato – secondo
l’impressione riferita dalla persona offesa -, atteso che gli imputati avevano
indubbiamente un interesse diretto alla consegna dell’auto, avendo sottoscritto il
contratto di finanziamento del relativo acquisto; per altro verso, che, nel caso in
oggetto, non ricorrono i presupposti della connivenza non punibile, avendo gli
imputati – lungi dal tenere un comportamento meramente passivo – prestato un
contributo partecipativo positivo, materiale e morale, alla condotta criminosa, sia
quali mandanti della spedizione punitiva, sia quali organizzatori dell’incontro con
la persona offesa (quanto al discrimine fra connivenza e concorso v. ex plurimis
Sez. 6, n. 44633 del 31/10/2013, Dioum e altri, Rv. 257810).

3

dell’assoluzione pronunciata in primo grado, rendono evidente ed irrefutabile la

5. Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti, oltre che al pagamento delle
spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo
determinare in 1.500,00 euro.

P.Q.M.

processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1.500 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso il 20 aprile 2016

Il consigliere estensore

Il Pr si nte

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese

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