Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2790 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2790 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) CHIACCHIO PAOLO PIETRO N. IL 10/07/1962
avverso la sentenza n. 571/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
04/11/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. W -P, ce-che ha concluso per
Ad-4

L.

Data Udienza: 12/12/2012

2

Ritenuto in fatto
– Con sentenza resa in data 4.11.2010, la Corte d’appello
de L’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Pescare del
21.5.2008, con la quale Paolo Pietro Chiacchio è stato riconosciuto
colpevole dei reati di furto in appartamento, resistenza a pubblico
ufficiale e porto abusivo di coltello, di cui agli arti. 624-bis e 337
c.p. e art. 4, legge n. 110/75, riuniti dal vincolo della continuazione
e accertati in Montesilvano il 22.2.2007, e condannato alla pena di
un anno di reclusione ed euro 800,00 di multa, oltre al pagamento
delle spese processuali e di custodia cautelare.
2. – Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per
cassazione il difensore dell’imputato, rilevando il difetto di motivazione della sentenza, in ordine alla mancata concessione delle
attenuanti generiche, e invocando in ogni caso il riconoscimento
dell’intervenuta prescrizione con riguardo alla contestata contravvenzione di all’art. 4 della legge n. 110/75 a far data dal 22.2.2012.

Considerato in diritto
3. – Il ricorso è manifestamente infondato.
La doglianza genericamente presentata dal ricorrente, con
riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, non
individua alcuna omissione o incongruità nello sviluppo logico della motivazione dettata nella sentenza impugnata, limitandosi a
prospettare questioni di mero fatto o apprezzamenti di merito incensurabili in questa sede.
In thema, con riferimento al contestato diniego delle attenuanti generiche, è appena il caso di richiamare il consolidato (e
qui condiviso) indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la sussistenza di circostanze
attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione
fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di
talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cessazione neppure quando difetti
di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (in termini, ex multis,
Casa., Sez. 6, n. 7707/2003, Rv. 229768).
Quanto all’onere di motivazione sul punto imposto al giudice del merito, va altresì precisato come ai fini dell’assolvimento
dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in
considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo
sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative
alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante ti-

i.

bevo (in tal senso, ex multis, v. Cass., Sez. i, n. 3772/94, Rv.
19688o).
In particolare, ai fini della concessione o del diniego delle
circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere
in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del
beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità
del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di
esso può essere sufficiente in tal senso (così Casa., Sez. 2, n.
3609/2011, Rv. 249163).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha correttamente
negato il ricorso di circostanze attenuanti generiche, correlando
tale giudizio alla “pessima personalità” dell’imputato, così radicando, il conclusivo giudizio espresso sul trattamento sanzionatorio, al ricorso di specifici presupposti di fatto, sulla base di una
motivazione nel suo complesso dotata di intrinseca coerenza e logica linearità.
4. – 11 riscontro della manifesta infondatezza del ricorso
proposto dal Chiacchio, nell’attestarne la radicale inammissibilità
ai sensi dell’alt. 6o6, comma 3, c.p.p., impedisce il rilievo
dell’eventuale ricorso di cause di estinzione del reato, ai sensi
dell’art. 129 c.p.p..
Sul punto, vale richiamare quanto dedotto dalle Sezioni
Unite di questa Corte sin dalla pronuncia n. 32/2000, secondo cui
l’inammissibilità del ricorso per cessazione dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129
c.p.p. (Cass., Sez. Un., n. 32/2000, Rv. 217266).
Ne deriva la conseguente irrilevanza, in questa sede,
dell’eventuale intercorsa prescrizione del reato di cui all’art. 4 della
1. n. 110/75 ascritto all’imputato, siccome maturata solo successivamente alla pronuncia della sentenza d’appello qui impugnata.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cessazione, dichiara inammissibile il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del o g
12.12.2012.

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