Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27898 del 28/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 27898 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CANIGLIA SALVATORE N. IL 12/03/1959
FILETTI SALVATORE MARIO GIUSEPPE N. IL 08/08/1964
avverso la sentenza n. 2431/2009 CORTE APPELLO di CATANIA, del
27/10/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA FIDANZIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 28/04/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Mario Pínelli, ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso. L’avv. Vincenzo Carmelo Maria Pelleriti per il ricorrente Filetti ha chiesto
l’accoglimento del ricorso. L’avv. Anna Maria Grazia Scuderi per il ricorrente Caniglia ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 27.10.2015 la Corte d’Appello di Catania, in parziale riforma della
sentenza di primo grado, ha condannato Filetti Salvatore Mario Giuseppe, quale

pena di giustizia limitatamente al delitto di bancarotta fraudolenta documentale, con
esclusione della bancarotta patrimoniale e dell’aggravante di cui all’art. 219 comma II
L. F. .
La stessa Corte ha invece confermato la sentenza di primo grado con riferimento a Caniglia
Salvatore, quale amministratore di fatto della stessa società fallita per i reati di bancarotta
fraudolenta patrimoniale e documentale, con il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art.
219 comma II L.F..

2. Con atto sottoscritto dal loro difensore hanno proposto separatamente ricorso per
cassazione gli imputati affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo Filetti Salvatore Mario Giuseppe ha dedotto la violazione degli artt.
238 comma 2, 2 bis 5 e 238 bis, 431 lett. a), 62 e 63 c.p.p..
Lamenta il ricorrente che le dichiarazioni rese da Caniglia Salvatore e Ventaloro Enza al Giudice
Delegato non avrebbero potuto essere acquisite come produzione documentale.
Peraltro, la Corte territoriale non aveva risposto alle precise doglianze degli appellati,
ammettendo tali dichiarazioni con una motivazione apodittica.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la generica ed insufficiente motivazione in relazione
ai motivi di gravame e la mancanza di motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico
del reato.
La sentenza impugnata, riportandosi alla sentenza di primo grado, si era limitata ad affermare
che l’imputato fosse consapevole della situazione con una motivazione apparente che non
giustificava la sua condanna, nonostante avesse rivestito la carica di amministratore per soli
40 giorni.
L’impossibilità di ricostruire il patrimonio avrebbe dovuto essere addebitata solo al precedente
amministratore, né è stato precisato il contributo apportato dal ricorrente per ritenere
sussistente il concorso.
2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta la contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione nella misura in cui la Corte Territoriale ha assolto il ricorrente per la bancarotta
patrimoniale condannandolo per quella documentale.

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amministratore di diritto della Pneuservice s.r.I., dichiarata fallita il 12.12.2003, alla

Se è vero, come ritenuto dalla Corte, che non vi era prova di un factum sceleris tra il Filetti, la
Ventaloro ed il Caniglia per la distrazione dei beni, tale ragionamento doveva essere applicato
anche alla bancarotta documentale.
2.4. Con il primo motivo Caniglia Salvatore ha dedotto la violazione degli artt. 238 comma 2, 2
bis 5 e 238 bis, 431 lett. a), 62 e 63 c.p.p..
Le dichiarazioni rese da Caniglia Salvatore e Ventaloro Enza al Giudice Delegato non avrebbero
potuto essere acquisite come produzione documentale, ostandovi il combinato disposto degli
artt. 238 comma 2° , comma 2bis, comma 5 e 238 bis c.p.p.., mentre la Corte territoriale

Curatore fallimentare.
I verbali di interrogatorio davanti al G.D. sono atti della procedura fallimentare che non
possono far prova delle narrazioni rese innanzi a quest’ultimo.
Le dichiarazioni rese al G.D. devono essere considerate inutilizzabili in quanto assunte in
assenza del difensore ed in violazione degli avvertimenti di cui agli artt. 62 e 63 c.p.p. e non
possono quindi entrare nel fascicolo dibattimentale ex art. 431 c.p.p..
2.5. Con il secondo motivo il Caniglia ha dedotto la mancanza, contraddittorietà ed illogicità
della motivazione atteso che la Corte territoriale non aveva risposto alle precise doglianze
contenute nei motivi d’appello.
2.6. Con il terzo motivo è stata dedotta la generica ed insufficiente motivazione sulla
sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
La Corte territoriale non avrebbe individuato i fatti di concreta gestione societaria posti in
essere dal ricorrente, non sussistendo nel caso di specie la pluralità di indici di valore
sintomatica della qualità di amministratore di fatto, nè aveva tenuto conto delle dichiarazioni
rese dalla moglie Ventaloro Enza alla P.G..
Anche ammettendo che in virtù del rapporto di coniugio Caniglia si fosse interessato alla
gestione societaria, qualsiasi atto dallo stesso posto in essere avrebbe dovuto essere imputato
all’amministratore di diritto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo proposto separatamente da Filetti Salvatore e da Caniglia Salvatore non
è fondato e va pertanto rigettato.
Ad avviso dei ricorrenti, le dichiarazioni rese al G.D. devono essere considerate inutilizzabili in
quanto assunte in assenza del difensore ed in violazione degli avvertimenti di cui agli artt. 62
63 c.p.p. e non possono quindi entrare nel fascicolo dibattimentale ex art. 431 c.p.p..
Premesso che nessuno dei due imputati ha sollevato tale questione nella fase delle questioni
preliminari ex art. 491 c.p.p. prima dell’apertura del dibattimento, tale assunto non può
comunque essere condiviso da questo Collegio.
Va premesso che l’orientamento consolidato di questa Corte, in ordine al valore probatorio da
attribuire alla relazione del curatore fallimentare ed alle dichiarazioni provenienti dal fallito o
dall’amministratore di società fallita e raccolte dal curatore nell’esercizio del suo uffkjo, è
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aveva erroneamente assimilato le dichiarazioni rese al Giudice Delegato a quelle rese al

quello di considerarli come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi
di una organizzazione aziendale e di una realtà contabile. Ciò in quanto gli accertamenti
documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo
penale al fine di ricostruire le vicende amministrative della società. Peraltro, è stato ritenuto
corretto l’inserimento di tali documenti nel fascicolo processuale, in quanto il principio di
separazione delle fasi non si applica agli accertamenti aventi funzione probatoria, preesistenti
rispetto all’inizio del procedimento o che appartengano comunque al contesto del fatto da
accertare (cfr. Cass., sez. V, 3.3.2015 n. 32388, Rv. 264255; Cass., sez. F, 26.7.2013, n.

Tali principi, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alle dichiarazioni
ricevute dal curatore fallimentare, sono applicabili, ad avviso di questo Collegio, anche alle
dichiarazioni raccolte dal G.D., svolgendo la medesima funzione informativa di ricostruire le
vicende amministrative della società poi fallita.
Non a caso, si evince dalla chiara lettera dell’art. 49 comma 2° L.F. che, se occorrono
informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura, l’imprenditore fallito o gli
amministratori o liquidatori della società soggetta alla procedura di fallimento devono
presentarsi, indifferentemente, davanti al giudice delegato, al curatore, o al comitato dei
creditori, avendo identica natura le informazioni che questi soggetti devono rendere, e ciò a
prescindere dall’organo (dei tre indicati) che le raccoglie.
D’altra parte, si appalesa non pertinente il richiamo effettuato da entrambi i ricorrenti sia al
disposto dell’art. 238 comma 2° e 2 bis c.p.p., che regola l’acquisizione di verbali di prove
assunte in un giudizio civile, sia all’art. 238 bis c.p.p., che disciplina l’acquisizione e la valenza
probatoria delle sentenze irrevocabili, atteso che quella fallimentare è una procedura finalizzata
alla liquidazione dell’attivo fallimentare, all’accertamento del passivo ed alla soddisfazione della
massa dei creditori del fallito e non è certo destinata a sfociare in una sentenza suscettibile di
passare in giudicato.
Peraltro, le deposizioni rese al giudice delegato non hanno la natura di verbali di prova, non
essendo destinate in quel contesto a provare alcunché ma solo a fornire agli organi della
procedura notizie utili per una più corretta gestione della stessa.
Correttamente quindi, nel caso in esame, i verbali di deposizioni davanti al G.D. sono stati dai
giudici di merito ammessi nel fascicolo del dibattimento come documenti ai sensi dell’art. 234
c. p. p..
Né può ritenersi applicabile al caso di specie il disposto dell’art. 63 c.p.p.
Come osservato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 136/95, nella questione di
legittimità costituzionale dell’art. 63 cod. proc. pen., per la mancata estensione delle garanzie
ivi previste riguardo alle “dichiarazioni indizianti” rese da persone non imputate o non
sottoposte a indagini, alle ipotesi di dichiarazioni rese davanti al curatore, ai sensi dell’art. 49
L.F., dal fallito non ancora sottoposto a procedimento penale per reati connessi al fallimen
non è pertinente il richiamo al divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato,
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49132, rv. 257650; Cass. sez. V 9.6.2004, n. 39001, rv. 229330).

stabilito dall’art. 62 c.p.p., divieto operante solo con riferimento alle dichiarazioni rese nel
corso del procedimento penale.
Né peraltro il giudice delegato rientra nella nozione di autorità giudiziaria di cui all’art. 63
c.p.p. : come evidenziato dalla stessa Consulta nella citata sentenza, “Il riferimento, infatti,
all’autorità giudiziaria, contenuto nell’art. 63 del codice di procedura penale, è preordinato al
solo fine di ricomprendere nella nozione di genere non soltanto il giudice penale, ma anche il
pubblico ministero. Mentre non può in essa essere ricondotto il giudice civile, il quale, pure ove
in sede di interrogatorio formale vengano ammessi dalla parte fatti costituenti reato, non può

sensi dell’art. 331, quarto comma, del codice di procedura penale – come, del resto, in ogni
altra ipotesi in cui risulti un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio – a
redigere ed a trasmettere senza ritardo la denuncia al pubblico ministero; diviene infatti del
tutto impercorribile l’estensibilità del regime dettato dal più volte ricordato art. 63 del codice di
procedura penale, nei confronti di un atto perseguente finalità probatorie del tutto diverse da
quelle proprie del processo penale, non essendo ricavabile da alcuna norma del rito civile un
principio che imponga al giudice civile di sospendere l’acquisizione di un atto dell’istruzione
probatoria in funzione di esigenze teleologiche esclusive del processo penale”.
Nel caso di specie, le dichiarazioni rese dagli imputati sono state inviate dagli organi della
procedura fallimentare al Pubblico Ministero che ha successivamente esercitato l’azione penale.
2. Il secondo ed il terzo motivo del ricorrente Filetti possono essere esaminati
congiuntamente, avendo ad oggetto questioni collegate, e sono infondati.
Il ricorrente si duole che la Corte non avrebbe motivato in ordine alla sussistenza
dell’elemento psicologico del reato di bancarotta documentale e si sarebbe contraddetta nel
condannarlo per tale reato e nell’assolverlo per i fatti distrattivi allo stesso contestati.
Si duole, inoltre, che la Corte territoriale si sarebbe appiattita sulle argomentazioni del
giudice di prime cure senza entrare nel merito delle singole doglianze.
Questo Collegio non condivide tale impostazione difensiva.
La Corte territoriale ha ben motivato le ragioni in base alle quali ha maturato il proprio
convincimento che Filetti fosse pienamente a conoscenza della irregolare tenuta delle scritture
contabili da parte della società poi fallita, tale da impedire la ricostruzione del patrimonio e dei
suoi movimenti. E’ stato, infatti, evidenziato (pag. 6) un elemento assai persuasivo, che
diversamente non avrebbe alcun senso, che consente di comprendere le ragioni per le quali la
ex amministratrice Ventaloro, poco prima di dismettere la propria carica e del passaggio di
consegne con il Filetti, aveva trasferito la sede sociale presso la residenza del socio dello stesso
Filetti, tale Desi Francesco, ed avesse mutato la denominazione sociale: ciò era stato fatto per
venire incontro alle immediate esigenze operative dei nuovi soci Filetti e Desi.
Coerentemente, la Corte di merito ha ritenuto che se Filetti aveva concordato co
l’amministratore in quel momento in carica tali mutamenti societari ancor prima di ricoprire a
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certo fare ricorso al regime previsto dalla norma ora denunciata, essendo, semmai, tenuto, ai

sua volta la carica di amministratore della Pneu Service s.r.l. è verosimile che lo stesso fosse
ben consapevole della situazione (assumendo quindi scarsa rilevanza la circostanza che abbia
svolto le funzioni di amministratore prima del fallimento per soli 40 giorni). D’altronde, ciò
corrisponde all’id quod prerumque accidit, mentre completamente contrario ad ogni massima
d’esperienza, e quindi ritenuto inverosimile dai giudici di merito, è quanto dichiarato dal Filetti
al giudice delegato, ovvero di aver acquistato una società della quale non sapeva nulla in
quanto consigliato da una persona di cui non ricordava il nome, oltre ad aver ricevuto beni

Né peraltro l’assoluzione del Filetti dal reato di bancarotta fraudolenta distrattiva si pone in
contrasto con la condanna dello stesso per la bancarotta documentale.
Un conto è che il ricorrente, nel pur breve periodo in cui ha gestito la società, avesse preso
contezza della irregolare tenuta delle scritture contabili e non avesse fatto nulla per
modificare la situazione, sussistendo il diretto e personale obbligo dell’amministratore di
diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione, come
nel caso di specie, della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la
ricostruzione del movimento degli affari. (Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013 – dep. 10/01/2014,
Demajo, Rv. 257950), un altro, che fosse consapevole ed abbia concorso alle distrazioni
compiute dai precedenti amministratori.
Anche sotto questo profilo, dunque, la decisione della Corte territoriale è immune da censure.
3. Il secondo ed il terzo motivo di Caniglia Salvatore, che possono essere parimenti
esaminati congiuntamente, sono infondati.
La Corte territoriale, con argomentazioni congrue ed immuni da vizi logici, ha ricostruito
l’effettivo ruolo di amministratore di fatto rivestito dal Caniglia nella Pneuservice,
evidenziando che ciò non era risultato soltanto dalle dichiarazioni rese dalla moglie
(amministratore di diritto) agli organi fallimentari ma da quanto spontaneamente riferito agli
stessi dal ricorrente medesimo, che aveva ammesso di aver iniziato ad occuparsi della
gestione della Pneuservice sin dal momento in cui la di lui moglie aveva assunto la carica di
amministratore unico. D’altra parte, a riscontro di tale assunto la Corte di merito,
riportandosi a quanto già illustrato dal giudice di primo grado, ha puntualizzato che al G.D. il
Caniglia – peraltro assistito (come la moglie Ventalro) da un legale – aveva reso informazioni
assai dettagliate sui rapporti con le varie banche, sulle sedi sociali di volta in volta aperte,
sulla sorte dei beni sociali, informazioni queste incompatibili con il ruolo di mero dipendente,
peraltro formalmente addetto a lavori puramente materiali come la consegna di merci.
Secondo la ricostruzione del giudice di primo grado, le cui argomentazioni, in presenza di
“doppia conforme” si integrano vicendevolmente con la sentenza impugnata, dando luogo ad
unico complesso argomentativo, la moglie del ricorrente aveva peraltro riferito al G.D. ch al
momento del fallimento la società non aveva beni perché erano stati tutti venduti dallo stesso
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dall’altro coimputato Caniglia senza pretendere un inventario.

Caniglia (peraltro alla ditta individuale dallo stesso gestita avente identico oggetto sociale).
Anche tale dichiarazione si pone in contrasto con il ruolo di mero dipendente, addetto per lo
più attività materiali (“conducente”), che il ricorrente ha cercato di ritagliarsi nella vicenda ed
ha consentito ai giudici di merito di ritenere che lo stesso, sin dal momento in cui la moglie
ha assunto la carica di amministratore della Pneuservice, e fino al fallimento di tale società,
ha compiuto in modo continuativo e significativo atti inerenti alla qualifica o funzione di
amministratore. Significativo, inoltre, quanto evidenziato dal giudice di primo grado, ovvero

successivamente al 18 aprile 2003, data della cessazione del rapporto di dipendenza dalla
società e dalla carica di socio.
Peraltro, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la nozione di
amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo
e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se “significatività”
e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo
di gestione – dunque è compatibile anche con la presenza di un amministratore di diritto non
necessariamente testa di legno – ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria,
svolta in modo non episodico od occasionale.
Né è condivisibile la tesi sostenuta dal ricorrente secondo cui qualunque atto dallo stesso
posto in essere dovrebbe essere imputato alla gestione pro tempore dell’amministratore di
diritto.
In proposito, che, come affermato da tempo nella giurisprudenza di legittimità, in tema di
reati fallimentari, il soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall’art. 2639, c.c., assume
la qualifica di amministratore “di fatto” della società fallita è da ritenere gravato dell’intera
gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre
condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i
comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Rv.
250094).
Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2016
Il consi ere est

ore

Il Pr sidente

che sono state rinvenute fatture a firma del Caniglia per conto della società anche

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