Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27896 del 28/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 27896 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ligorio Diego, nato a Lecce il 20/06/1973,
avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce emessa in data 01/04/2015;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico ministero, in persona del dott. Mario Pinelli, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Lecce confermava la
sentenza del Tribunale di Lecce del 25/06/2012, con cui il Ligorio Diego era stato
riconosciuto colpevole e condannato a pena di giustizia, oltre che al risarcimento
dei danni nei confronti della parte civile, in relazione ai delitto di cui agli artt.
582, 583, comma 1, 585 cod. pen., così qualificata l’originaria imputazione di cui
agli artt. 56, 575 cod. pen., per aver colpito con un coltello a punta acuminata
1

Data Udienza: 28/04/2016

nella zona addominale del fianco sinistro Castelluccio Carlo, provocandogli una
ferita in corrispondenza di organi vitali; con la recidiva reiterata,
infraquinquennale; in Lecce, il 25/02/2007.

2. Ligorio Diego ricorre, a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Angelo Oliva, in
data 13/10/2015 per:
2.1. mancata assunzione di una prova decisiva ex art. 606, lett. d), cod. proc.
pen., in ordine alla richiesta difensiva di esaminare la teste Ligorio Antonella,
presente ai fatti, non solo per deporre in ordine alla presenza di un minore

deporre in ordine al fatto che solo la minaccia del Castelluccio di irrompere
nell’abitazione del ricorrente avrebbe indotto quest’ultimo a scendere in strada,
senza lasciargli alcuna scelta, e, quindi, in ordine alla sussistenza della legittima
difesa; tra l’altro la sorella del ricorrente avrebbe potuto deporre in merito
all’aggressione subita dal ricorrente da parte del Castelluccio, non appena sceso
in strada, corroborando la versione difensiva;
2.2. mancata assunzione di una prova decisiva ex art. 606, lett. d), cod. proc.
pen., in ordine alla richiesta difensiva di effettuare una perizia a seguito
dell’esame del consulente tecnico dell’imputato, dott. Angelo Del Basso, il quale
aveva qualificato la lesione come non grave;
2.3. violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art.
24 della Costituzione ed all’art. 522 cod. proc. pen., a seguito della lesione per i
diritti della difesa derivanti dalla diversa qualificazione del fatto, con particolare
riferimento alla sussistenza della ritenuta circostanza aggravante;
2.4. violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione al
mancato riconoscimento dell’esimente della legittima difesa, in quanto, sebbene
il Ligorio fosse scesa da casa armato, ciò non escluderebbe la volontà di
difendersi da un aggressore più forte o determinato, come sarebbe stato agevole
desumere dall’esame della teste Ligorio Antonella e da un’analisi puntuale della
condotta tenuta dal ricorrente, niente affatto aggressiva;
2.5. si rappresenta, infine, l’intervenuta prescrizione del reato

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va dichiarato inammissibile poiché la sentenza di primo grado e quella
di secondo grado – che costituiscono un unico corpo argomentativo, avendo
condiviso la ricostruzione del fatto e la valutazione delle prove – motivano
entrambe sulle circostanze in fatto che la difesa intende rimettere in discussione,

2

nell’abitazione del Ligorio – come ritenuto dalla Corte territoriale – ma anche per

con reiterazione dei motivi di gravame a cui la Corte territoriale ha già fornito
esaustiva risposta.

1.Quanto al primo motivo, infatti, la Corte territoriale ha affermato che la sorella
dell’imputato avrebbe dovuto essere esaminata sulla presenza in casa di un
minore, e che tale circostanza era ininfluente; la difesa, al contrario, sostiene
che la Ligorio Antonella avrebbe dovuto essere esaminata sulla dinamica del
fatto, senza però alcuna specificazione concreta delle circostanze relativamente
alle quali l’esame della teste sarebbe stato necessario e determinante alla

formulata nel senso che la difesa aveva affermato che l’esame della Ligorio
Antonella si sarebbe reso necessario al fine di eliminare ogni dubbio circa la reale
dinamica del fatti, specificando che il ricorrente sarebbe stato costretto a
scendere in strada per evitare che la persona offesa, che aveva affermato che
altrimenti sarebbe salito lui in casa, mettesse a repentaglio l’incolumità del
nipotino di tre anni.
In realtà va osservato che sul punto la Corte territoriale ha fatto espresso
riferimento alle dichiarazioni della persona offesa Castelluccio Carlo – il quale
aveva ammesso di aver detto al Ligorio di scendere, una volta giunto sotto casa
di questi – e del teste a discarico Pacella Luigi – il quale non aveva mai fatto
riferimento ad una minaccia del Castelluccio dì salire in casa del ricorrente, se
questi non fosse sceso in strada, bensì, in generale, ad insulti da parte del
Castelluccio, che peraltro si erano verificati anche in altre occasioni.
Da detti elementi la Corte ha ritenuto che l’imputato, nell’accogliere l’invito a
scendere in strada, avesse liberamente accolto la richiesta del suo interlocutore,
senza essere, in quel frangente, sottoposto ad alcun reale e concreto pericolo,
per sé o per i suoi familiari, come dimostrato, tra l’altro, dalla circostanza che
egli si fosse liberamente munito di un coltello.
Appare quindi evidente come la Corte territoriale abbia ritenuto del tutto chiare
le modalità di ricostruzione della vicenda, non ritenendo affatto necessaria la
rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale che, come si ricorda, è
istituto ancorato a precisi presupposti processuali ai sensi dell’art. 603, comma
primo, cod. proc. pen., ossia alla verifica dell’incompletezza dell’indagine
dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter
decidere senza una ulteriore rinnovazione istruttoria; tale accertamento è
rimesso alla valutazione del giudice di merito, ed è incensurabile in sede di
legittimità se correttamente motivata, come nel caso in esame (Sez. 6, sentenza
n. 8936 del 13/01/2015, Rv. 262620; Sez. 4, sentenza n. 4981 del 05/12/2003,
Rv. 229666; Sez. 4, sentenza n. 18660 del 19/02/2004, Rv. 228353).

3

ricostruzione della vicenda; peraltro con i motivi di appello la richiesta era stata

2. Anche in relazione al secondo motivo di ricorso valgono le argomentazioni sin
qui svolte, in quanto bisogna ricordare che la doglianza difensiva si basa sulla
circostanza che nel caso in esame non si sarebbe mai verificato un pericolo di
vita, né l’ipotesi di perdita o di indebolimento permanente di un organo, non
risultando nemmeno una prognosi superiore a quaranta giorni, con conseguente
impossibilità di qualificare come grave la lesione patita dal Castelluccio Carlo,
apparendo indispensabile una perizia per determinare la gravità delle lesioni.
In realtà la perizia richiesta non appare affatto necessaria al fine di qualificare
grave la lesione prodotta alla persona offesa, in quanto il pericolo di vita di cui

momento qualunque del corso del processo morboso, la probabilità della morte
dell’offeso, desunta, secondo

rid quod plerumque accidit”,

attraverso un

giudizio obiettivo, non fondato su mere congetture, ma su una seria e
grave constatazione del perturbamento prodotto nelle grandi funzioni organiche
del soggetto, oltre che in base a tutti i sintomi che accompagnano la malattia
(Sez. 5, sentenza n. 2816 del 12/11/2013, Rv. 258879).
Come chiarito dalla citata sentenza, il concetto di “pericolo di vita” richiede,
quindi, che esso si fosse manifestato in concreto, ossia che in un momento
qualunque del corso del processo morboso si fosse verificata la probabilità della
morte della persona offesa, desumendosi l’accertamento di tale probabilità
attraverso un giudizio obbiettivo, non fondato su mere congetture, ma su una
seria e grave constatazione del perturbamento prodottosi nelle grandi funzioni
organiche del soggetto ed in base a tutti i sintomi che accompagnano la malattia.
Il suddetto concetto implica, negativamente, che non sono sufficienti, in genere,
alla insorgenza del pericolo di vita, la natura e la sede della lesione ed il timore
di gravi complicazioni, ma altresì che per escludere detto pericolo non ci si possa
basare sull’esito positivo delle cure e sulla tempestività degli interventi clinici e/o
chirurgici intervenuti.
Nel caso in esame la Corte territoriale ha spiegato, con ragionamento immune da
vizi logici, che il mezzo utilizzato per colpire il Castelluccio Carlo era idoneo a
determinare un pericolo di vita, e che la lesione procurata dal colpo inferto era
anch’essa idonea a cagionare la morte, atteso che sia l’emoperitoneo che la
peritonite insorte dopo il colpo avrebbero potuto cagionare la morte della
persona offesa, se non adeguatamente curate; a fronte di detto quadro la Corte
territoriale ha ritenuto non influente l’accertamento del consulente di parte,
relativo all’assenza di anemizzazione ed di una peritonite tale da poter cagionare
il decesso, proprio in quanto la valutazione del pericolo di vita deve essere
effettuato a prescindere dall’esito favorevole delle cure.
La Corte territoriale ha quindi ritenuto del tutto superfluo l’ulteriore
accertamento peritale richiesto con i motivi di gravame, i quali non avevano
4

all’art. 583, comma primo, n. 1, cod. pen. è configurabile quando esiste, in un

evidenziato errori logici o tecnici da parte del consulente del pubblico ministero,
essendosi limitati a mettere in discussione la valutazione che delle conclusioni
rassegnate aveva operato il primo giudice; dal che derivava, a parere della Corte
territoriale, la non necessità di un ulteriore approfondimento istruttorio.
In tal senso la motivazione della Corte territoriale appare del tutto coerente ed
immune da censure, risultando il motivo di ricorso una mera riproposizione del
corrispondente motivo di gravame, che non si confronta affatto sulle

3. Quanto al terzo motivo di ricorso appare appena il caso di ricordare che risulta
del tutto pacifico il principio espresso da questa Corte, secondo cui il giudice di
appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del
principio del giusto processo previsto dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla
Corte europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale
o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente
prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato
sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione
giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica

“in peius” del

trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione (Sez. 6, sentenza n.
7195 del 08/02/2013, Rv. 254720, in cui la Corte ha ritenuto rispettato l’art. 6
della CEDU in relazione ad una sentenza di appello che, in riforma di quella di
primo grado di condanna per lesioni personali, aveva riqualificato il fatto come
tentato omicidio; conformi Sez. 3, sentenza n. 2341 del 07/11/2012, Rv.
254135; Sez. 2, sentenza n. 32840 del 09/05/2012, Rv. 253267). Nel caso in
esame, inoltre, appare evidente come la Corte territoriale abbia diversamente
qualificato il medesimo fatto, non realizzandosi in tal caso, alcuna nullità della
sentenza, sia in quanto ontologicamente la condotta oggetto di valutazione è
rimasta immutata, sia in quanto, come detto, la diversa qualificazione del fatto
appariva uno sviluppo prevedibile della vicenda processuale, non avendo peraltro
la difesa neanche chiarito in concreto quale sarebbe stata la violazione dei diritti
dell’imputato verificatasi, in tal senso dovendo quindi ritenersi il motivo di ricorso
del tutto generico.
4. Quanto alla sussistenza della legittima difesa, come già detto, la motivazione
della Corte territoriale sul punto appare del tutto immune da vizi logici, essendo
stato sottolineato come il ricorrente si fosse messo volontariamente in una
situazione di pericolo per la propria incolumità, avendo aderito alla richiesta del
Castelluccio di scendere in strada, nonostante la precedente telefonata di insulti
intercorsa tra il Ligorio e la ex moglie che era in compagnia del Castelluccio, e

argomentazione della sentenza impugnata.

nonostante l’assoluta carenza di ogni pericolo per la propria incolumità e per
quella dei suoi cari nel momento in cui egli era sceso da casa, tanto è vero che
egli si era volontariamente munito di un coltello prima di scendere; egli, quindi,
aveva accolto la sfida del Castelluccio volontariamente, ed altrettanto
volontariamente si era posto in una situazione di pericolo, fronteggiabile con
l’aggressione altrui, dovendosi, quindi, escludere, per tali ragioni, il requisito
della necessità richiesto per l’operatività della legittima difesa e della legittima
difesa putativa. Detta motivazione appare del tutto coerente con i principi
consolidati di questa Corte (Sez. 1, sentenza n. 18926 del 10/04/2013, Rv.

dubbio alcuno che l’accertamento della legittima difesa, sia reale che putativa,
debba essere operato con giudizio

ex ante

delle circostanze di fatto,

cronologicamente rapportato al momento della reazione e dimensionato nel
contesto delle specifiche e peculiari circostanze concrete, in modo da poter
verificare se in quel momento sussistessero o meno i canoni della proporzione e
della necessità di difesa, costitutivi, ex art. 52 cod. pen., dell’esimente in esame
(Sez. 5, sentenza n. 3507 del 04/11/2009, Rv. 245843).

Peraltro il riconoscimento o l’esclusione della legittima difesa, sia reale che
putativa costituisce un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità
quando gli elementi di prova siano stati puntualmente accertati e logicamente
valutati dal giudice di merito, come nel caso in esame (Sez. 1, sentenza n. 3148
del 19/02/2013, Rv. 259408), con conseguente inammissibilità del motivo di
ricorso.

5. Neanche risulta corretto il calcolo della prescrizione, atteso che nel caso in
esame il termine massimo di prescrizione è pari ad anni otto mesi nove in
relazione alla pena edittale di anni sette prevista per la fattispecie di reato di
lesione ex artt. 582, 583, comma 1, 585 cod. pen., a cui vanno aggiunti giorni
371 a seguito della sospensione dall’udienza del 26/03/2014 all’udienza del
01/04/2015 per adesione della difesa all’astensione di categoria, per cui detto
termine scadrebbe in data 30/11/2016.

Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso deriva, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

6

256016; Sez. 1, sentenza n. 12740 del 20/12/2011, Rv. 252352), non essendovi

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 28/04/2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA