Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27894 del 28/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 27894 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Fiumanò Domenico, nato a Reggio Calabria il 24/09/1972,
avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova emessa in data
06/05/2015;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico ministero, in persona del dott. Mario Pinelli, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova confermava la
sentenza del Tribunale di Genova in composizione monocratica del 31/03/2011,
con cui il Fiumanò Domenico era stato riconosciuto colpevole e condannato a
pena di giustizia in relazione al delitto di cui all’art. 495 cod. pen., perché,
fermato alla guida di un’autovettura per infrazione al Codice della Strada,
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Data Udienza: 28/04/2016

declinava agli agenti della Polizia Municipale false generalità; in Genova il
29/06/2008; con la recidiva reiterata infraquinquennale.

2. Fiumanò Domenico ricorre, a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Ennio
Pischedda, in data 19/09/2015 per:
2.1. vizio di motivazione, ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla
eccepita abnormità della sentenza di primo grado, atteso che all’udienza del
03/03/2011 il giudice aveva dichiarato chiusa l’istruttoria dibattimentale e
rinviato all’udienza del 31/03/2011 per la lettura del dispositivo e, a detta

assenza, quindi, di una fase deliberativa, apparendo evidente come la
deliberazione e la redazione della motivazione fossero avvenute in una fase di
innominata stasi successiva al rinvio, in violazione degli artt. 125, comma 4, 525
cod. proc. pen., essendo stata omessa ogni motivazione, da parte della Corte
territoriale, sulla natura abnorme della sentenza, come affermata dalla
giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, sentenza n. 45459 del 12/10/2004);
2.2. vizio di motivazione, ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla
mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6, cod.
pen., in quanto il ricorrente dopo circa un’ora si era presentato presso i
competenti uffici ammettendo di aver declinato generalità parzialmente false,
elidendo, in tal modo, le conseguenze dannose del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va dichiarato inammissibile.
1.11 primo motivo di ricorso appare evidentemente non fondato.
Va ricordato che questa Corte ha già affermato come, nel caso in cui l’udienza
dibattimentale sia stata rinviata per la replica del pubblico ministero, e questi
non si sia avvalso di tale facoltà, non è causa di nullità la lettura del dispositivo e
della contestuale motivazione, effettuata dal giudice monocratico senza prima
ritirarsi in camera di consiglio (Sez. 4, sentenza n. 43418 del 29/09/2015,
Rv. 265171).
La citata sentenza, premesso che la discussione delle parti aveva avuto luogo
alla precedente udienza e che la modifica delle conclusioni rappresentava solo
un’eventualità – comunque limitata nella portata – connessa all’esercizio della
facoltà di replica da parte del pubblico ministero, che non era stata esercitata, ha
sottolineato che la decisione, nel caso di specie, era stata assunta da un giudice
monocratico. Tali circostanze erano state correttamente ritenute preclusive
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udienza, il verbale era stato aperto alle ore 09,44 e chiuso alle ore 09,45, in

dell’assimilazione della fattispecie concreta a quella oggetto di altra decisione
della Corte di Cassazione, sez. 6, sentenza del 12/10/2004, Rv. 230412, in cui il
presidente del Collegio – una volta verificato che il pubblico ministero non
intendeva replicare – aveva dato lettura del dispositivo della sentenza, rispetto al
quale rimanevano oscuri il tempo ed il luogo di discussione e di raggiungimento
dell’accordo – quanto meno maggioritario – sottostante la decisione.
Al contrario, nel caso in esame il pubblico ministero aveva chiesto di esercitare
la facoltà di replica, come risulta dal verbale del 03/03/2011, quindi, alla
successiva udienza del 31/03/2011 – come risulta dal verbale in atti – le parti

Trattandosi di un giudizio monocratico il giudice ben poteva, quindi, aver già
compiuto, nel chiuso della sua mente, una valutazione inerente la decisione
all’esito delle conclusioni delle parti ed averne scritto la motivazione, riservandosi
di darne pubblicazione in udienza in caso di eventuale rinuncia del pubblico
ministero all’esercizio della facoltà di replica, ovvero di mutare il proprio
convincimento a fronte di nuovi apporti delle parti alla discussione.
A diversa conclusione si sarebbe dovuto, invece, pervenire qualora le parti
avessero replicato e, ciò nonostante, il giudice avesse dato lettura di una
sentenza che, evidentemente, non aveva tenuto conto delle argomentazioni
svolte in quella sede; ma, come detto, nel caso di specie ciò non si è verificato,
risultando dal verbale dell’udienza del 31/03/2011 la rinuncia alla replica da
parte del pubblico ministero.
A ciò si deve aggiungere che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte di
legittimità, in virtù del principio di tassatività delle nullità, l’inosservanza del
principio di immediatezza della decisone, di cui all’art. 525, comma 1, cod. proc.
pen., non dà luogo ad alcuna sanzione (Sez. 2, sentenza n. 3462 del
06/12/2005, Rv. 233229) anche se implica una direttiva generale, da osservarsi
di norma. Detto principio è, anzi, derogato dall’art. 523, comma 6, cod. proc.
pen., qualora dalla discussione emerga l’assoluta necessità di assumere nuove
prove, come pure nelle ipotesi di sospensione della deliberazione stessa, indicate
nell’art. 525, comma 3, cod. proc. pen.
Nel caso esaminato, invece, dalla citata sentenza della Sez. 6, la situazione
processuale era del tutto diversa, atteso che, trattandosi di deliberazione
collegiale, la sentenza consisteva in una pronuncia caratterizzata da abnormità
strutturale in quanto non era possibile verificare il luogo, il momento o le
modalità della deliberazione, apparendo altresì evidente l’inosservanza dello
schema legale tassativamente scandito dalle norme processuali (deliberazione in
camera di consiglio, redazione e sottoscrizione del dispositivo e, “salvo che non
sia possibile” procedervi, una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto
su cui la sentenza si é fondata, pubblicazione della sentenza in udienza ad opera
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avevano rinunciato alla facoltà di replica.

del presidente o di un giudice del collegio mediante lettura del dispositivo,
successiva lettura della motivazione redatta contestualmente, da esporre anche
riassuntivamente ex art. 545, commi primo e secondo, cod. proc. pen.)
A ciò va aggiunta la considerazione che la sentenza di primo grado, inoltre, non
si può ritenere in alcun modo abnorme alla luce della sentenza delle Sez. U. del
26/03/2009 n. 25957, posto che il provvedimento adottato non manifesta né
un’abnormità strutturale – non essendo stato esercitato da parte del Giudice
monocratico un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale, né avendo
il provvedimento deviato dal modello legale previsto – né un’abnormità

determinata affatto una stasi del procedimento.

2. Quanto al secondo motivo la Corte territoriale ha rilevato in motivazione che il
cugino del Fiunnanò Domenico – di cui il predetto aveva dichiarato la data di
nascita – si era presento presso gli uffici della Polizia Municipale, mostrando i
propri documenti, e quindi la condotta del ricorrente per tale ragione non poteva
affatto considerarsi affatto spontanea; inoltre essa aveva già prodotto i propri
effetti.
Ed infatti va ricordato che integra il reato di false dichiarazioni a un pubblico
ufficiale, previsto dall’art. 495 cod. pen., la condotta di chi fornisce false
generalità alla polizia all’atto della redazione di un verbale di identificazione, in
quanto tali dichiarazioni diventano parte integrante del predetto verbale che
costituisce atto pubblico (Sez. 5, sentenza n. 5622 del 26/11/2014, Rv. 262667,
in un caso di false dichiarazioni rese alla polizia ferroviaria; in senso conforme
Sez. 1, sentenza n. 43718 del 15/11/2007, Rv. 238202).
Si tratta, quindi, di una motivazione del tutto immune da vizi logici e
perfettamente coerente con i principio sanciti da questa Corte.
Dalla declaratoria di inammissibilità deriva, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma
di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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funzionale – in quanto con l’adozione del provvedimento in esame non si è

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma, il 28/04/2016

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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