Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27883 del 09/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 27883 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SAVANI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LEO VINCENZO ROBERTO N. IL 11/06/1962
MAIOLINO MARIANGELA N. IL 05/05/1960
avverso la sentenza n. 1412/2012 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 05/03/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERO SAVANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. C I
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 09/02/2016

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza
emessa in data 19 dicembre 2011 dal locale Tribunale, appellata da LEO Roberto Vincenzo e
MAIOLINO Mariangela, ritenuti responsabili del delitto di accesso abusivo pluriaggravato, quali
incaricati di pubblico servizio, al sistema informatico dell’anagrafe tributaria, sistema informatico di interesse pubblico, commesso il 3 aprile 2006 per MAIOLINO ed il 3 maggio 2006 per
LEO.
Ai prevenuti si ascriveva di aver utilizzato le credenziali di accesso al sistema dell’anagrafe tributaria in loro possesso, in quanto in servizio presso l’agenzia delle entrate di Reggio Calabria,
al fine di rilevare dati anagrafici e fiscali concernenti l’On. Romano Prodi e la di lui moglie.
Dalle sentenze dei giudici del merito era risultato che la MAIOLINO era in servizio come collaboratrice al reparto Accertamenti e Controlli fiscali dell’agenzia alle dirette dipendenze del teste
Borrello Pasquale ed aveva il compito di eseguire controlli sulle posizioni di una serie di soggetti
dell’area di riferimento che giornalmente le venivano indicati, compito per il quale era autorizzata ad accedere alla banca dati dell’anagrafe tributaria. Il LEO era addetto al cali center con il
compito di fornire dati richiesti anche da provenienze esterne alla zona di riferimento da parte di
soggetti che dovevano essere identificati mediante il codice fiscale.
Ad avviso dei giudici del merito entrambi i prevenuti avevano nei giorni di cui all’imputazione
violato il sistema introducendosi nel medesimo con l’utilizzo di credenziali di accesso regolarmente in loro possesso, ma in violazione delle disposizioni sull’accesso impartite dal titolare del
sistema.
Propongono ricorso per cassazione gli imputati con unico atto sulla base di tre motivi.
Con il primo motivo lamentano nullità della sentenza per aver la medesima in alcune delle sue
proposizioni avuto riguardo a vicende del tutto diverse da quelle oggetto del procedimento, riferendosi a soggetti differenti ed a uffici giudiziari non interessati alla vicenda. La nullità travolgerebbe l’intera sentenza.
Con il secondo motivo riferito alla posizione del LEO si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione quanto al ritenuto ricorrere della violazione dell’art. 615 ter c.p.
Mancherebbe un accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio che il prevenuto si fosse introdotto e si fosse trattenuto nel sistema informatico in violazione dei divieti di chi aveva diritto ad
escluderlo.
Si tratta di operatore di cali center dotato di password personale e addetto al servizio di interrogazione del servizio per rispondere alle richieste provenienti da soggetti che desiderano accedere
ai propri dati personali. Nessuna prova oltre il ragionevole dubbio che in quel tipo di lavoro egli
non fosse stato legittimamente richiesto dell’accesso ai dati personali dell’On Prodi.
Peraltro i compiti di assistenza da cali center del LEO concernevano l’intera Italia ed anche
l’Emilia Romagna come dimostrato dalla difesa in dibattimento. Sarebbero state travisate le prove che dimostravano una tal circostanza ed in particolare le dichiarazioni del responsabile
dell’ufficio che aveva confermato che era compito dell’operatore di cali center quello di rispondere alle richieste provenienti da tutta Italia. Non esisterebbe prova che il LEO avesse un divieto
ad accedere ai dati dell’On. Prodi.
Inammissibile la richiesta che si dovesse dare la prova di non esser avvenuto un interpello da
parte dell’On. Prodi, trattandosi della pretesa di fornire una prova diabolica, con indebita inversione dell’onere della prova, laddove invece era risultato che l’operatore di cali center aveva fra i
suoi compiti quello di consultare l’archivio su richiesta di persone da individuare solo per nome,
cognome e codice fiscale, così che la domanda sarebbe potuta provenire da chiunque.
Con un terzo motivo, concernente l’elemento soggettivo del reato, si deduce vizio di motivazione
sul dolo generico richiesto dalla fattispecie.
In sede di appello era stata contestata la mancanza di dolo e la Corte territoriale non avrebbe dato
adeguata risposte in merito. Sarebbe mancato un esplicito divieto di accesso chiaramente rivolto
ai soggetti che avevano accesso mediante password.
Gli accessi autorizzati da password personale erano stati diretti ad acquisire la dichiarazione dei

redditi del Prodi e la sua data di nascita, dati tutti facilmente reperibili e diffusi così che non sarebbe legittimamente apparso ai due imputati che ciò fosse al di là dei limiti previsti per quel tipo
di personale.
Il ricorso non è fondato.
Manifestamente infondato è il primo motivo, atteso che appare evidente come le parti di testo
segnalate dai ricorrenti, peraltro in una parte meramente introduttiva della motivazione, altro non
siano che frutto di un refuso, con riferimenti talmente avulsi dal resto della motivazione, da non
influire in alcun modo sulla comprensibilità delle argomentazioni sviluppate dalla Corte di merito nel rendere conto delle ragioni della decisione.
Quanto al ricorrere dell’abuso contestato osserva il Collegio come i giudici del merito abbiano
fatto adeguato riferimento alla giurisprudenza di questa Corte in tema di illiceità dell’accesso anche da parte di soggetti forniti di credenziali fornite dal titolare del sistema ed in particolare ai
principi fissati nella sentenza delle S.U. 27 ottobre 2011, n. 4694/12 secondo cui “integra la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto, prevista
dall’art. 615-ter cod. pen., la condotta di accesso o di mantenimento nel sistema posta in essere
da soggetto che, pure essendo abilitato, violi le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso
delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso.
Non hanno rilievo, invece, per la configurazione del reato, gli scopi e le finalità che soggettivamente hanno motivato l’ingresso al sistema” principi dei quali hanno fatto corretta applicazione.
La Corte di merito ha correttamente inquadrato i fatti considerando il profilo dell’oggettivo limite all’accesso ai dati stabilito per ciascuno dal titolare del sistema.
È risultato in via generale dalle sentenze di merito che l’autorizzazione all’accesso concerneva
esclusivamente le specifiche ragioni di servizio e comportava espresso divieto di interrogazione
del sistema su dati anagrafici e fiscali di soggetti diversi da quelli di loro interesse se non nei casi
di effettiva necessità e comunque evidentemente previa autorizzazione da parte del dirigente
preposto.
Come rilevato sopra) la MAIOLINO aveva un ben preciso campo di attività nell’ambito del quale
e per le esigenze dei controlli a lei affidati in relazione a soggetti dell’area di riferimento aveva
accesso al sistema. L’accesso per il controllo dei dati anagrafici e fiscali dell’On.Prodi e della
moglie esulava all’evidenza dai limiti oggettivi dell’autorizzazione connessa al servizio svolto
dalla prevenuta.
Il LEO operatore di call center era autorizzato ad accedere, sempre secondo le sentenze dei giudici del merito, al sistema per le interrogazioni che, seppur potenzialmente provenienti da ogni
parte di Italia, si sarebbero dovute qualificare secondo un’identificazione comprensiva di codice
fiscale, in modo che della richiesta potesse rimanere concreta traccia.
I giudici del merito hanno correttamente rilevato che nulla dimostrava che le richieste di interrogazione sui dati dell’On Prodi e della moglie fossero pervenute dal titolare dei dati da accertare,
né è fondato il rilievo del ricorrente che sarebbe stata richiesta una prova diabolica, atteso che se
l’interessato avesse fatto una richiesta all’operatore di call center, di tale richiesta sarebbe rimasta dimostrabile traccia corredata di codice fiscale del richiedente, così che proprio la riscontrabile anomalia dell’accesso aveva consentito di rilevare l’azione del LEO una volta che l’indagine
era stata avviata dal Pubblico Ministero di Milano.
Infondata anche la doglianza relativa alla carenza di dolo di accesso abusivo. Pare al Collegio
che, in relazione alle caratteristiche dell’abilitazione all’accesso degli operatori quali risultate accertate dai giudici del merito che nulla autorizzava i prevenuti a considerare indipendenti dal rigoroso esercizio delle rispettive funzioni, l’individuazione da parte dei giudici del merito di palesi violazioni sia per l’uno che per l’altro dei prevenuti sia evidente riferimento alla volontarietà
di un accesso palesemente abusivo perché compiuto con abuso della funzione specifica e che a
fronte di generica doglianza nel motivo di appello gli argomenti della Corte territoriale siano
adeguati, né possa aver rilievo alcuno ad escludere l’ abusività dell’azione il fatto che taluni dati
relativi all’On Prodi fossero o potessero essere di dominio pubblico.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del

procedimento.

P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 9 febbraio 2016.

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