Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27882 del 09/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 27882 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SAVANI PIERO

Data Udienza: 09/02/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PICCHIO NAZZARENO N. IL 04/07/1962
avverso la sentenza n. 7605/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
10/04/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERO SAVANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. (i
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che ha concluso per

Udito, per parte civile, l’Avv
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IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza emessa in
data 30 settembre 2014 dal locale Tribunale, appellata da PICCHIO Nazzareno, ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta, aggravata ex art. 219, 1° e 2° comma Legge fallimentare, in relazione al fallimento di “S.I.T. Impianti Costruzioni s.r.l.” (d’ora in poi SIT) dichiarato
il 21 ottobre 2004.
In particolare i giudici del merito hanno ritenuto la responsabilità del prevenuto per la distrazione
negli anni 2002 e 2003 della somma di €. 310.423 prelevata a titolo di emolumenti per
l’amministratore unico, somma eccedente l’importo fissato dalla delibera societaria in materia,
nonché per aver concorso a cagionare l’aggravamento del dissesto della società con l’omissione
di versamenti di imposte e contributi per oltre 13 milioni di euro, e per l’effettuazione, in situazione di dissesto già evidenziatosi, di operazioni finanziarie manifestamente imprudenti e prive
di utilità, consistite nell’acquisizione di una società, la “Plant Design System”, poi messa in liquidazione e fallita, e nell’acquisizione del capitale sociale della società “SUPCO s.r.l.”., poi finanziata nel 2003 dalla società ormai all’orlo del fallimento per €. 773.000,004.
Propone ricorso per cassazione l’imputato sulla base di due motivi.
Con il primo diffuso motivo, dopo aver ripercorso le argomentazioni sviluppate
nell’impugnazione di merito, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione.
Non avrebbe compreso, in primis, la Corte di merito che l’operazione di acquisizione di quote
della “SIRIO s.r.l.” per mezzo di €. 106.000 prelevati dall’amministratore sarebbe stata realizzata
in vista del vantaggio che la SIT avrebbe avuto dall’operazione di sale and lease back avente ad
oggetto il complesso industriale ceduto da SIT e poi ricevuto in locazione commerciale da SIRIO, società costituita appositamente dal PICCHIO, che a sua volta avrebbe corrisposti i canoni
alla società di leasing e sarebbe divenuta proprietaria dell’impianto al termine del leasing, con
vantaggio della SIT, che ne sarebbe divenuta controllante.
Contesta poi l’affermazione della Corte di merito che la restante somma transitata sui conti personali non fosse stata utilizzata a favore della costituzione di SIRIO ed a vantaggio di SIT; la
prodotta documentazione avrebbe dato la prova che parte della somma sarebbe stata effettivamente utilizzata per fornire garanzie a favore di SIT, garanzie personali che le banche avrebbero
accettato con maggior facilità.
Quanto alle ipotesi di cui al capo B) sull’aggravamento del dissesto, contesta il ricorrente quanto
affermato dalla Corte di merito, che cioè l’omesso pagamento del debito tributario non sarebbe
stata una scelta obbligata per il PICCHIO come da lui sostenuto, in quanto contemporaneamente
erano avvenute acquisizioni societarie.
Si sarebbe trattato di operazioni compiute dal prevenuto per garantire la sopravvivenza
dell’impresa, nella convinzione della ripresa del mercato, così che avrebbe trovato giustificazione anche l’omesso adempimento del debito tributario.
I giudici del merito non avrebbero considerato, anche in relazione all’elemento soggettivo, quanto fosse stato l’impegno del PICCHIO nell’attività della società, con investimenti personali indice della fiducia certa della ripresa e della non addebitabilità a dolo delle operazioni contestate
come distrattive o aggravatrici del dissesto.
Con il secondo motivo lamenta la mancata motivazione sulla richiesta, contenuta nell’atto
d’appello, in tema di riduzione dell’entità della pena, tale non apparendo il riferimento alla gravità del fatto, senza considerazione delle circostanze evidenziate nei motivi di impugnazione.
Ritiene il Collegio che il ricorso non sia fondato.
I giudici del merito hanno rilevato innanzitutto, con decisione conforme, come fosse incontestato
che il prevenuto avesse effettuato prelievi di fondi della società transitati sui conti personali, in
eccesso rispetto a quanto oggetto di deliberazione della società a titolo di emolumento per
l’amministratore, e come non fossero fondate le argomentazioni difensive circa il riversamento
di tali fondi a favore della società, con esclusione delle prospettate responsabilità distrattive.
infatti molto chiaramente il Tribunale ha rilevato che la somma di 106.000 euro, prelevata come
detto dai fondi della SIT, sarebbe stata dal PICCHIO utilizzata per l’anticipo sull’acquisto della

SIRIO, operazione che non poteva avere alcun positivo effetto per la SIT, posto che la società in
questione non aveva alcuna consistenza economica e veniva finanziata da SIT per far fronte ai
suoi impegni del contratto di leasing e quindi si era trattato del consolidamento della distrazione
della somma in questione a danno della società fallita.
Il ricorrente ripropone argomenti già valutati da entrambi i giudici del merito sulle potenzialità
dell’operazione di sale and lease back che i giudici del merito hanno dimostrato priva di concreti
risultati a favore di SIT, posto che il mancato pagamento delle rate del leasing non avrebbe potuto consolidare la proprietà dell’immobile in SIRIO e, con la sua acquisizione, in SIT, come invece prospettato dal ricorrente.
Il ricorrente si riferisce sempre ai progetti del PICCHIO, senza confrontarsi, nel valutare la natura di depauperamento del patrimonio della SIT di quelle operazioni, con le specifiche condizioni
in cui agiva la società che aveva già perso l’intero capitale sociale senza che fossero stati adottati
i necessari provvedimenti. Corretto è il rilievo dei giudici del merito laddove considerano che
l’intenzione del PICCHIO, non certo volta ad arricchimento personale, si scontrava con
l’oggettiva situazione che rendeva evidente come la diminuzione patrimoniale conseguente a
quei prelievi era tale da apparire certa e dannosa per la garanzia patrimoniale che al prevenuto
incombeva tutelare mentre i rientri sotto le varie forme prospettate non avevano neppure potenzialmente effetti positivi sulle condizioni della società.
Hanno correttamente rilevato sia il Tribunale che la Corte di merito come si fossero dimostrati
privi di concreta giustificazione i prelievi per circa 200.000 di euro diretti ai conti personali del
prevenuto il quale avrebbe sostenuto di averli utilizzati per costituire linee di credito a favore
della società fallita.
I giudici del merito hanno del tutto logicamente osservato che ben differente è la ricostituzione
con i fondi prelevati indebitamente di disponibilità liquide a favore della società, in sostanziale
restituzione del prelievo indebito, rispetto all’assunzione di impegni per il futuro connessi a nuovo indebitamento.
Del tutto congrua è la motivazione delle sentenze dei giudici del merito in ordine al capo B) di
imputazione laddove viene rilevato come all’esponenziale incremento del debito verso l’erario di
una società che aveva perduto il capitale sociale fin dal 31 dicembre 2001, faceva da contraltare
una politica di acquisizioni societarie di realtà industriali, potenzialmente valide ma in concreto
rappresentali ulteriori fonti di grave indebitamento. Gli ulteriori impegni finanziari immediati
(mentre i vantaggi per la società rimanevano nel novero delle potenzialità future) derivanti da
quelle acquisizioni sono stati correttamente considerati dai giudici del merito come rappresentanti, per una società in stato di decozione, che si finanziava con il mancato pagamento del debito
tributario, rinnovate cause di aggravamento del dissesto e prodromi dell’inevitabile epilogo verso
il fallimento.
Altrettanto correttamente è stato valutato l’elemento soggettivo delle ipotesi fraudolente riscontrate dai giudici del merito laddove bene è stato rilevato come la complessiva situazione della società, ben nota al prevenuto che operava in vista di ipotetici futuri vantaggi, portasse a ritenere
che le singole operazioni fossero frutto di decisioni prese nella piena consapevolezza che le condizioni della società l’avrebbero potuta portare verso l’irrimediabile insolvenza.
Ben è stata rilevata l’inconferenza della inesistenza di accertati arricchimenti personali e del personale impegno di fondi del PICCHIO nella gestione della società (valutati in tema di trattamento sanzionatorio), laddove le operazioni in concreto ascritte al medesimo avevano una evidente
connotazione di immediata e manifesta pericolosità per gli assetti patrimoniali e finanziari della
società e le sue possibilità di far fronte alle obbligazioni già assunte.
Inammissibile perché risolventesi in censure su valutazioni di merito, insuscettibili, come tali, di
aver seguito nel presente giudizio di legittimità, è infine il secondo motivo, concernente la misura della pena giacché la motivazione della impugnata sentenza, pure su tali punti conforme a
quella del primo giudice, si sottrae ad ogni sindacato per avere adeguatamente richiamato, oltre
ai precedenti, peraltro correttamente valutati, la gravità dei fatti ascritti all’imputato, quali emersi
‘dal procedimento, elementi sicuramente rilevanti ex art. 133 C.P.

Invero come ritiene consolidata giurisprudenza, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno
(o più) dei criteri indicati nell’art. 133 C.P., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella sua discrezionalità e non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto. (Sez. II, 19/3/2008, n. 12749, Rv. 239754,
conf. Sez. IV, 16/11/1988, n. 56/89, Rv. 180075; Sez. V, 11/6/1982, n. 8116, Rv. 155144).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 9 febbraio 2016.

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