Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2788 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2788 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :sul ricorso proposto da :
MARINELLI GIUSEPPE N. IL 24.06.1974,
Avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI in data 22.10.2010;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
udite le conclusioni del PG in persona del dott. Vincenzo Geraci che ha chiesto il rigetto del
ricorso e per l’imputato l’avvocato Pierluigi Spadafora che ha chiesto l’annullamento della
sentenza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 22 ottobre 2010 la Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza
del GIP presso il TRIBUNALE DI TORRE ANNUNZIATA in data 29 ottobre 2009, appellata da
Marinelli Giuseppe, tratto a giudizio e condannato alla pena di giustizia per il reato di cui agli
artt. 73 e 80 D.P.R. n. 309 del 1990 per aver illecitamente detenuto una ingente quantità di
sostanza stupefacente del tipo cocaina
2. Avverso tale decisione
ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del proprio difensore
deducendo la insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80 (ingente quantità) e la carenza ed
illogicità della motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche e
lamentando infine la mancata irrogazione della pena nel minimo edittale
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il motivo di ricorso concernente l’insussistenza della ritenuta aggravante di cui all’art. 80
d.P.R. n. 309/1990 è fondato. Va in primo luogo precisato a riguardo che la sostanza
stupefacente in sequestro (cocaina) era pari ad un peso complessivo di gr. 1033,1 lordi con un
principio attivo pari a gr. 990,16. L’art. 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 al comma 2 dispone
che “se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope, le pene sono
aumentate dalla metà a due terzi”. In ordine alla individuazione dei presupposti di fatto per la
configurazione della aggravante in questione si era registrato un conflitto interpretativo tra le
sezioni semplici di questa Corte, con la conseguente remissione della questione da parte di
questa stessa sezione alle SS.UU. Il tema era in realtà già stato oggetto di una pronuncia delle
S.S.U.U., (n. 17 del 21 giugno 2000, Primavera, RV 216663). Nella giurisprudenza precedente
a tale intervento si era affermato l’utilizzo del concetto di “saturazione del mercato”. La
quantità veniva cioè rapportata “all’area di mercato considerata in un determinato momento
storico e al periodo di tempo necessario per quel mercato di assorbire od esaurire la quantità
destinata allo spaccio”. Era considerata ‘ingente’ quella idonea “a saturare una vasta area di
mercato per un apprezzabile periodo di tempo” (Cass., sez. VI, 24 settembre 1998, n. 10722,

Data Udienza: 12/12/2012

Stomaci, RV 211742). Le SS.UU. con l’intervento del 2000 hanno affermato doversi
“abbandonare la incerta nozione di ‘mercato”, elemento “non richiesto e spurio rispetto alla
ratio della disposizione, (…) di impossibile accertamento con gli ordinari strumenti di
indagine”, e quindi “del tutto immaginario”. Il richiamo ad un “fantomatico mercato”, ed alla
capacità di assorbimento di una “indefinibile massa di ipotetici consumatori” cadrebbe infatti
necessariamente nell'”enunciazione di nozioni del tutto generiche e sottratte ad ogni riscontro
fattuale”. Ciò premesso, le SS.UU., hanno enunciato un principio teso a dare maggior rilevanza
al numero di consumatori che la sostanza è in grado, potenzialmente, di raggiungere.
L’aggravante in questione sarebbe infatti integrata “tutte le volte in cui il quantitativo di
stupefacente, “pur non raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di
agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili, secondo
l’apprezzamento del giudice di merito che vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale
nel quale opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di tale
circostanza”. La giurisprudenza successiva a questa pronuncia si è tendenzialmente
conformata al principio enunciato dalle SS.UU. individuato tre elementi la cui sussistenza deve
essere accertata dal giudice di merito per ritenere sussistente l’aggravante: in primo luogo
“l’oggettiva eccezionalità del quantitativo sotto il profilo ponderale”; in secondo luogo “il grave
pericolo per la salute pubblica che lo smercio di tale quantitativo comporta”, ed infine “la
possibilità di soddisfare richieste di numerosissimi consumatori per l’elevatissimo numero di
dosi ricavabili” Così, Cass., sez. IV, 12 luglio 2011, n. 33314 e Cass., sez. IV, 1 febbraio 2011,
n. 9927; cfr. inoltre C.ass., sez. IV, 24 settembre 2003, n. 44518. Nel contempo, tuttavia,
alcune sentenze della VI sezione, a partire dalla n. 20119 del 2010, hanno elaborato un
diverso criterio affermando che “la nozione di ‘quantità ingente’ esprime semanticamente un
significato oggettivo”, da rinvenirsi nel valore ponderale ed in particolare nel numero di dosi
aventi effetto stupefacente. Nonostante la valutazione del giudice di merito debba essere di
volta in volta raffrontata alla “corrente realtà del mercato”, la Corte ha ritenuto opportuno
individuare dei limiti ponderali al di sotto dei quali la quantità di stupefacente non possa, di
regola, dirsi ‘ingente’. Ciò per “meglio definire l’ambito di apprezzamento rimesso al giudice di
merito”, ai fini di un’applicazione che “non presti il fianco a critiche di opinabilità di valutazioni,
se non di casuale arbitrarietà”.E’ stato così precisato che “non possono di regola definirsi
‘ingenti” quantitativi di droghe ‘pesanti’ – in particolare eroina e cocaina inferiori ai due
chilogrammi; e quantitativi di droghe ‘leggere’ – in particolare, hashish e marijuana – inferiori
ai cinquanta chilogrammi”, con riferimento a valori di purezza medi (Cass., sez. VI, 2 marzo
2010, n. 20119, Castrogiovanni, RV 247374) Il criterio ponderale, non è stato condiviso da
questa sezione che ha ritenuto sussistente l’aggravante anche per quantitativi inferiori ai
parametri come sopra individuati, osservando che la fissazione di indici quantitativi ha valenza
sostanzialmente normativa ed è, pertanto, prerogativa del legislatore. E’ stata inoltre
evidenziata la problematicità del riferimento a valori ‘medi’ di purezza della sostanza,
trattandosi di un riferimento inadeguato, dato che “le percentuali di principio attivo variano da
valori irrisori (anche inferiori all’i%) a valori superiori al 90%”, aggiungendo che, “nella logica
introdotta dalle decisioni della sesta sezione (…) (condivisibile nelle sue finalità) andrebbe
individuata, per coerenza sistematica, una soglia per l’aggravante anche per le altre sostanze
stupefacenti, in particolare per quelle maggiormente diffuse Conseguentemente si è ritenuto
che la norma di cui all’art. 80 del T.U. Stupefacenti non fosse eccessivamente generica, e che il
suo contenuto potesse essere adeguatamente precisato grazie ai parametri elaborati dalla
giurisprudenza successiva alle SS.UU. del 2000.
Alla luce di tali contrasti giurisprudenziali questa sezione con ordinanza n. 38748/2011
Investiva le SS.UU che hanno affermato a riguardo con la recentissima decisione in data
24 maggio 2012 (n. 36258, imp. P.G. e Biondi, RV 253150) che non è ravvisabile
l’aggravante quando la quantità sia inferiore a duemila volte il valore massimo in
milligrammi (valore-soglia) determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m.
11 aprile 2006, valore che nella specie non è stato superato. La gravata sentenza va
pertanto in relazione a tale aspetto annullata senza rinvio ex lettera I) art. 620 c.p.p.,
essendo infatti possibile rideterminare la pena inflitta, atteso che trattasi di ipotesi che
non involge valutazioni di merito, dovendosi soltanto escludere l’aumento di pena
applicato in virtù della suddetta ritenuta aggravante, alla luce della motivazione sul punto
della sentenza di I grado (integralmente confermata dalla impugnata sentenza) che ha
determinato la pena base per Il reato contestato aumentandolo di 1/3 e successivamente

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

riducendola per il rito. Conseguentemente la pena va rideterminata in anni cinque e mesi
quattro di reclusione ed C 20.000,00 di ammenda
4. Non merita invece accoglimento il secondo motivo di ricorso concernente il diniego delle
circostanze attenuanti generiche e la mancata irrogazione della pena commisurata al minimo
edittale. Ed invero, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti
generiche, e’ sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati
dall’articolo 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la
concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da
una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice
circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del
reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, a fortiori,
anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive
dell’appellante, non è tenuto ad un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o
sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è
sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o
del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di
stretta contestazione (v., tra le tante, Sezione III, 8 ottobre 2009, Esposito): il giudice si è
attenuto a tale principio valorizzando negativamente, tra i criteri valutativi tratteggiati
dall’articolo 133 c.p., quello dei precedenti e della gravità del fatto, considerato, in modo qui
incensurabile come assorbente ai fini del diniego. Del resto, non va dimenticato che, secondo
principio condivisibile, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere
della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso
più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e
non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso
responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data
per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di
escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è
la suindicata meritevolezza che necessita, essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di
apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti
a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione
risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di
specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle
plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la
stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta
stessa si fonda. In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati nell’articolo 133
c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla entità del reato ed alle modalità di
esecuzione di esso, può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche,
derivandone così che, esemplificando, queste ben possono essere negate anche soltanto in
base ai precedenti penali dell’imputato (cfr. Sezione II, 22 febbraio 2007, Bianchi ed altri).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di
cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, che elimina e ridetermina la pena da
infliggere al Marinelli in anni cinque e mesi quattro di reclusione ed C 20.000,00 di
ammenda; rigetta nel resto il ricorso
Così deciso nella camera di consiglio del 12 dicembre 2012

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