Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27878 del 09/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 27878 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PARROTTA FRANCESCO N. IL 15/02/1984
avverso la sentenza n. 2948/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
28/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI
Udito il Procuratore Ferale in persona I Dott. 6 .
che ha concluso per i
(

pt

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 09/02/2016

RITENUTO IN FATTO
1 – Con sentenza del 28 ottobre 2014, la Corte di appello di Milano
confermava la sentenza del locale Tribunale, del 25 febbraio 2014, che aveva
ritenuto Francesco Parrotta colpevole del delitto previsto dall’art. 624 bis, cod.
pen, così qualificato il fatto originariamente ascrittogli ai sensi degli artt. 624,
625 numero 4 e 61 n. 5 cod. pen., e, escluse le aggravanti contestate,
riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava, con la
diminuente del rito, alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 160 di multa.

cartoni di scarpe Nike da un’autorimessa di una società che le deteneva quale
custode giudiziario.
L’imputato aveva ammesso l’addebito prima alla responsabile della filiale
della società che li aveva in deposito, tale Locatellli, e poi agli inquirenti.
La Corte territoriale, nel rigettare i motivi di appello, affermava che si era
acquisita la prova che i box della società non erano destinati all’uso pubblico ma
solo allo svolgimento dell’attività lavorativa da parte dei suoi stessi dipendenti e
che, in essi, si svolgevano attività tipiche della vita privata.
Non concedeva la richiesta sospensione condizionale della pena perché, di
tale beneficio, l’imputato aveva già usufruito in occasione di due precedenti
condanne e perché non era possibile formulare un giudizio prognostico
favorevole.
2 – Francesco Parrotta propone personalmente ricorso, articolando le sue
doglianze in tre motivi.
2 – 1 – Con il primo deduce violazione di legge, ed in particolare dell’art.
624 bis cod. pen., e difetto di motivazione in ordine alla qualificazione della
condotta consumata dall’imputato.
Il box dal quale l’imputato aveva prelevato i beni non era affatto una privata
dimora, in quanto non era un luogo destinato al riposo, all’alimentazione, alle
occupazioni professionali e di svago private. Era solo un magazzino ove veniva
lasciata in deposito della merce.
Qualora la condotta dovesse essere riqualificata ai sensi dell’art. 624 cod.
pen., eccepiva l’assenza di potere, in capo alla responsabile di filiale, Paola
Locatelli, a proporre querela.
2 – 2 – Con il secondo deduce l’inutilizzabilità delle sommarie informazioni
rese dall’imputato alla Guardia di finanza il 5 novembre 2010 non essendo stato
assistito da un difensore.
2 – 3 – Con il terzo censura la mancata concessione della sospensione
condizionale della pena, posto che l’imputato ne aveva beneficiato per fatti

1

Il Parrotta era accusato di avere sottratto, in Milano il 12 maggio 2010, tre

risalenti nel tempo ed in relazione a pene che non superavano la soglia
complessiva prevista dalla legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso promosso dall’imputato è infondato e va pertanto rigettato.
1 – Con il primo motivo si deduce che il luogo dal quale le scarpe Nike erano
stata sottratte non aveva le caratteristiche della dimora privata così come
identificate dalla giurisprudenza di questa Corte, che, in caso simile, ha, però,
ricordato che la previsione dell’art. 624 bis tutela i luoghi in cui si svolgono atti

della sua operatività è, pertanto, necessario e sufficiente che, nel luogo di
commissione del furto, possa essere concretamente prefigurata la presenza di
qualcuno intento, anche in via occasionale, alle predette attività (Sez. 5, n.
18211 del 10/03/2015, Rv. 263458, imp. Hadovic; Sez. 5, n. 7293 del
17/12/2014, Rv. 262659, imp. Lattanzio) e, ancora, che integra il delitto di furto
in abitazione, previsto dall’art. 624 bis cod.pen., la condotta di impossessamento
di cose mobili altrui, commessa all’interno dello stabilimento di un’azienda, in
quanto tale luogo rappresenta uno degli snodi fondamentali in cui si svolge la
“vita privata” dell’imprenditore, atteso che i beni prodotti devono essere
necessariamente depositati al suo interno al fine di organizzare l’attività
d’impresa (Sez. 5, n. 21863 del 25/02/2014, Rv. 260725, imp. Cattaneo).
In concreto i giudici del merito avevano rilevato e spiegato che la zona dei
depositi era anche quella dove si svolgeva la vita lavorativa dei dipendenti della
ditta che custodiva la merce sottratta dall’imputato (che non era anch’egli un
dipendente della società, come ipotizzato nell’originaria imputazione, ma vi
accedeva perché la madre aveva la disponibilità di uno dei box, concessogli dalla
società) e vi erano pertanto anche spazi dedicati alla loro vita privata, tanto che
l’accesso all’intera struttura non solo non era pubblico ma era, anzi, strettamente
controllato e monitorato, posto che era possibile soltanto con l’utilizzazione di
appositi codici di accesso.
Non vi sono quindi elementi di contraddittorietà e di manifesta illogicità nella
motivazione dei giudici di merito che hanno ritenuto di qualificare la condotta ai
sensi dell’art. 624 bis cod. pen. piuttosto che ai sensi del’art. 624 cod. pen.
(escluse, comunque, le aggravanti originariamente contestate) e, del resto, la
difesa, non ha sottoposto alla Corte elementi di fatto, ricavati dal compendio
probatorio, che si ponessero in evidente contrasto con tale ricostruzione.
Il motivo è pertanto infondato.
2 – Il secondo motivo è inammissibile perché, fermo restando il fatto che le
dichiarazioni dell’imputato raccolte dagli inquirenti come sommarie informazioni
testimoniali non sono utilizzabili neppure in un processo a rito semplificato (per
2

afferenti alla vita privata – ivi compresa quella lavorativa – delle persone; ai fini

kil difetto genetico di tale prova) come l’attuale, nel ricorso non si affronta la
questione della decisività di tale elemento, in considerazione del fatto che i
giudici del merito non ne avevano tenuto conto (se non citando il mero
accadimento storico) a fronte degli altri elementi di prova certamente utilizzabili,
come la confessione dell’imputato alla Locatelli, la responsabile della ditta alla
quale la merce era stata sottratta, ed il ritrovamento di parte della refurtiva nel
box a disposizione della madre dell’imputato.
3 – Manifestamente infondato è anche il terzo motivo, avendo l’imputato

precedenti condanne, non essendo consentita, dalla legge, la concessione del
beneficio su una terza condanna. A prescindere, ovviamente, dal fatto che le due
condanne, in relazione alle quali era stato riconosciuto, fossero o non fossero per
fatti risalenti nel tempo.
4 – Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 09/02/2016.

beneficiato della sospensione condizionale della pena già in occasione di due

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