Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27877 del 27/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 27877 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARACCIOLO LUCIANO N. IL 05/09/1957
avverso la sentenza n. 1562/2009 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 26/03/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 27/01/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. tali° ROSSI, ha concluso chiedendo
la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Per la parte civile Curatela del fallimento della “Tuttornare s.r.l.”, l’avv. Nicola SANTOSTEFANO
deposita conclusioni scritte e nota spese.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26 marzo 2015 la Corte di Appello di Reggio Calabria ha confermato la
pronunzia del Tribunale della stessa città, con la quale Luciano CARACCIOLO era stato
condannato per i delitti di bancarotta fraudolenta e documentale relativi al fallimento della

Il CARACCIOLO era stato ritenuto responsabile dei suddetti reati quale amministratore della
società fallita.
2. Propone ricorso l’imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, deducendo violazione di
legge e vizi di motivazione.
2.1. Riguardo l’affermazione di responsabilità, il ricorrente deduce che la Corte
territoriale non avrebbe “colto nel segno le censure” sollevate con i motivi di appello.
Precisa quindi che la tenuta della contabilità della ditta era gestita da un professionista
abilitato, il quale non avrebbe mai evidenziato anomalie o incompletezza nei dati depositati
dalla ditta. Deduce altresì che vi sarebbe vizio di contraddittorietà della motivazione nella parte
in cui si è ritenuta la fondatezza degli addebiti sulla base delle dichiarazioni del curatore del
fallimento, in quanto se questi ha potuto verificare e ricostruire le anomalie nella gestione della
società, consultando quindi le scritture contabili, non vi sarebbero i presupposti per
l’affermazione della responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Il ricorrente censura altresì la sentenza impugnata perché ha ritenuto di rifarsi alle
argomentazioni del primo giudice senza nulla aggiungere, arrivando ad affermare che il reato
sussiste non solo quando la ricostruzione del patrimonio è impossibile, ma anche quando gli
accertamenti siano stati resi possibili usando particolare diligenza.
2.2. Con altra doglianza il ricorrente censura la motivazione della sentenza che non ha
tenuto conto che il reato sarebbe estinto, asserendo che il termine prescrizionale sarebbe
quello di dieci anni.
2.3. L’ultimo motivo è riferito al trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente contesta le argomentazioni con le quali la sentenza ha quantificato la pena.
Si duole altresì del giudizio di comparazione in termini di sola equivalenza tra le attenuanti
generiche e le aggravanti contestate.
3. In data 22 gennaio 2016 è stata presentata una memoria a firma dell’imputato, il quale ha
sostenuto di non aver commesso il reato ascrittogli, perché si sarebbe limitato a sottoscrivere il
“bilancio” redatto dal suo commercialista senza comprendere che lo stesso contenesse degli
errori contabili.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
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TUTTOFARE s.r.l. (fallimento dichiarato con sentenza del 13 giugno 2003).

1. Manifestamente infondato è il primo motivo, basato su elementi di fatto e finalizzato ad una
rilettura della ricostruzione delle vicende.
1.1. A questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti
neppure alla luce del nuovo testo dell’art. 606, lettera e), cod. proc. pen.; la modifica
normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia infatti inalterata la natura del
controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può
estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla
motivazione, la cui mancanza, illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal

indicati; è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza
allorché si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo
oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Solo
attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel
giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione (Sez. 3, n. 44901 del
17/10/2012, F., Rv. 253567).
Giova, peraltro, ricordare che il travisamento della prova, se ritenuto commesso dal giudice di
primo grado, deve essere dedotto dinanzi al giudice dell’appello, pena la sua preclusione nel
giudizio di legittimità, non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione il vizio di
motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era
stato rappresentato. (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438)
1.2. Tanto premesso, occorre rilevare che il ricorrente si è limitato a censurare la
sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe ritenuto, sulla base di erronea o omessa
valutazione delle risultanze processuali, sussistente la sua responsabilità per i fatti di
bancarotta fraudolenta contestati, soprattutto con riguardo a quelli di bancarotta documentale.
Le censure, però, non hanno alcun collegamento specifico con le argomentazioni delle sentenze
dei giudici di merito e, in sostanza, reiterano le stesse doglianze avanzate con l’atto di appello,
alle quali la Corte territoriale ha dato esaustiva risposta.
1.3. L’esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la motivazione
sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza, proprio con riferimento alla
valutazione delle risultanze processuali, dalle quali emerge la responsabilità dell’imputato, e
della conseguente infondatezza delle deduzioni difensive.
La Corte di Appello ha assolto compiutamente all’obbligo di motivazione, in quanto non si è
limitata al mero richiamo delle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado, ma -come
si è già detto- ha specificamente valutato le doglianze contenute nell’atto di appello, in
particolare in ordine alla valutazione delle prove e alla conseguente ricostruzione dei fatti (si
vedano anche Sez. 6, n. 9752 del 29/01/2014, Ferrante, rv. 259111; Sez. 1, n. 43464 del
01/10/2004, Perazzolo, rv. 231022).
La Corte territoriale, infatti, ha puntualmente riportato gli esiti dell’istruttoria dibattimentale di
primo grado, dando atto in particolare, da una parte, della sussistenza della condotta
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testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente

distrattiva e, dall’altra, dell’irregolare tenuta delle scritture contabili.
Con specifico riferimento a tale ultima condotta i giudici di merito hanno evidenziato come
l’istruttoria dibattimentale abbia consentito di verificare il ritardo nel deposito delle scritture
contabili obbligatorie, peraltro incomplete e parziali. Il curatore, pertanto, al fine di ricostruire
il patrimonio, il movimento degli affari e la vita societaria ha utilizzato i dati estrapolabili dal
libro giornale, attesa la rilevata incompletezza delle scritture contabili, nonché il mancato
deposito delle fatture e dei bilanci di esercizio da parte dell’imputato.
Nessun rilievo può avere il fatto che comunque sia stata possibile la ricostruzione della

216 comma primo n. 2 Legge Fall., il reato si perfeziona indipendentemente dall’impossibilità
di ricostruire la contabilità dell’impresa, in quanto l’evento della non ricostruibilità non è riferito
a dette ipotesi (sottrazione, distruzione o falsificazione) ma soltanto alla quarta che concerne
l’omessa o irregolare tenuta dei libri contabili (Sez. 6, n. 4038 del 13/01/1994, D’Episcopo ed
altri, Rv. 198453).
E’ peraltro evidente, sulla base della ricostruzione della vicenda fatta dai giudici di merito, che
nel caso di specie la condotta dell’imputato sia stata caratterizzata da dolo, mentre deve
escludersi una connotazione di colpa.
La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel senso che, “per le ipotesi di
sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili, per espresso dettato della
legge (art. 216, comma 1, n. 2), è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di
procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori” (Sez. 5, 13
ottobre 1993, Rv. 195896), mentre per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità,
caratterizzate dalla tenuta delle scritture “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio o del movimento degli affari”, è richiesto il dolo intenzionale, perché la finalità
dell’agente è riferita a un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva, l’impossibilità
di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa, anziché a un elemento ulteriore, non
necessario per la consumazione del reato, qual è il pregiudizio per i creditori (Sez. 5, n. 21872
del 25/03/2010, Rv. 247444; Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, Rv. 242550; Sez. 5, 18 febbraio
1992, De Simone, Rv. 189813).
Appare utile aver presente, peraltro, che -diversamente dalla distinzione tra dolo intenzionale e
dolo diretto o eventuale- la distinzione tra dolo generico e dolo specifico non attiene
all’intensità, ma alla struttura del dolo; e, come rileva la giurisprudenza di questa Corte,
l’intenzione di rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio o del
movimento degli affari dell’impresa fallita “cela, di per sé, sul piano pratico lo scopo di
danneggiare i creditori o di procurarsi un vantaggio” (Sez. 5, 24 marzo 1981, Rv. 148926; Sez.
5, 8 novembre 1971, Rv 119792).
Quindi, nella prospettiva dell’accertamento, alle diverse configurazioni del dolo nelle due
ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una sostanziale diversificazione
nell’onere probatorio per l’accusa, perché è pur sempre necessario escludere in entrambi i casi
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contabilità, giacché in tema di bancarotta fraudolenta, nelle prime tre ipotesi previste dall’art.

la rilevanza di un atteggiamento psicologico di mera superficialità dell’imprenditore fallito (Sez.
5, 6 dicembre 1999, Rv. 216267). Infatti, un atteggiamento di superficialità è proprio della
bancarotta documentale semplice, che può essere caratterizzata dal dolo o indifferentemente
dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, rispettivamente, con coscienza e
volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture (Sez. 5, n. 48523 del 06/10/2011, Rv.
251709; Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009, Rv. 244823; Sez. 5, 18 ottobre 2005, Rv. 233997).
La locuzione “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento
degli affari” connota infatti la condotta e non la volontà dell’agente, sicché è da escludere che

4. Manifestamente infondato è anche il motivo attinente la dedotta prescrizione del reato.
Tenuto conto dei periodi di sospensione, il termine prescrizionale è quello del 12 febbraio 2016.
5. Inammissibile è infine il motivo con il quale vengono denunziati violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
La Corte territoriale ha sufficientemente e logicamente motivato sul trattamento sanzionatorio,
dovendo in proposito essere ribadito il principio secondo cui la graduazione della pena, anche
in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed
attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per
fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne
discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova
valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del
30/09/2013, Ferrario, rv. 259142; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, Waychey e altri, Rv.
258410).
6. La memoria depositata dall’imputato solo in data 23 gennaio 2016 è tardiva.
7. In ragione dei suesposti motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente
va condannato al pagamento delle spese processuali, nonché della somma di euro 1000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
Va inoltre accolta la richiesta di condanna alle spese sostenute dalla parte civile, che ha
rassegnato le conclusioni in udienza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle
spese della parte civile, che liquida in euro 2000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2016
Il presidente

essa configuri il dolo specifico.

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