Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27874 del 27/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 27874 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAPICANO PASQUALE N. IL 25/01/1972
avverso la sentenza n. 6581/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
22/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 27/01/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Areno ROSSI, ha concluso chiedendo
la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22 novembre 2013 la Corte di Appello di Roma ha confermato la
pronunzia di primo grado emessa dal Tribunale della stessa città, con la quale Pasquale
RAPICANO era stato condannato per i reati di cui agli artt. 337 cod. pen. e 110 – 455 cod.
pen., commessi in Roma il 3 ottobre 2006.
2.

Con atto sottoscritto personalmente ha proposto ricorso per cassazione l’imputato,

motivazione.
2.1. Con il primo dei motivi il ricorrente censura la sentenza d’appello per aver disatteso
l’eccezione di nullità di quella di primo grado, essendo stata rigettata all’udienza del 15
gennaio 2008 l’istanza di rinvio del processo per impedimento del difensore di fiducia
dell’imputato.
2.2. Si duole poi il ricorrente della motivazione della Corte territoriale sulla
configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale, rappresentando la sussistenza dei
presupposti per l’applicabilità della condizione di non punibilità, anche nella sua variante c.d.
putativa, della legittima reazione ad atti arbitrari di un pubblico ufficiale (artt. 59 e 393 bis
cod. pen.) ovvero della causa scriminante della legittima difesa.
2.3. Lamenta ancora vizi di motivazione in ordine alla riferibilità all’imputato del reato di
cui all’art. 455 cod. pen.
2.4. Denunzia poi vizi di motivazione e violazione di legge in ordine alla qualificazione
giuridica del fatto di spendita della banconota falsa, sostenendo la configurabilità della
fattispecie di cui all’art. 457 cod. pen., giacché le banconote sarebbero state spese in buona
fede.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della
attenuante del danno di speciale tenuità e il mancato accoglimento della richiesta di minimo
aumento di pena ex art. 81, comma secondo, cod. pen.
2.6. Chiede, infine, l’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Manifestamente infondato è il primo motivo.
La Corte territoriale, rispondendo all’analogo motivo proposto con l’atto di appello, ha
esaustivamente spiegato le ragioni per cui ha ritenuto adeguatamente motivata l’ordinanza con
la quale il giudice di primo grado aveva rigettato l’istanza di differimento del difensore,
rilevando altresì che nessuna lesione del diritto di difesa si era verificato, giacché si era data
successivamente la possibilità di controesaminare i testi escussi nell’udienza in relazione alla
quale era stata presentata la richiesta di rinvio (pagg. 1 e 2 della sentenza).
2. Inammissibili sono anche il secondo e il terzo dei motivi proposti con il ricorso.
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deducendo i seguenti motivi, nei quali vengono denunziati violazioni di legge e vizi di

Essi, infatti, oltre ad essere reiterativi di analoghe censure mosse con l’atto di appello, sono
finalizzatO ad una diversa ricostruzione dei fatti come operata dai giudici di merito e ad una
correlata rivalutazione del materiale probatorio.
Peraltro, dalla motivazione della sentenza impugnata non è dato evincere vizi di illogicità del
percorso valutativo ovvero travisamento della prova.
La Corte di Appello, rispondendo alle argomentazioni difensive proposte in quella sede e
richiamando anche la motivazione della sentenza di primo grado, ha specificamente indicato le
risultanze processuali dalle quali è stato possibile delineare il ruolo dell’imputato nella vicenda

3. Analoga declaratoria di inammissibilità merita il motivo con il quale si censura la sentenza
nella parte in cui ha escluso la configurabilità della meno grave fattispecie di cui all’art. 457
cod. pen., giacché la banconota sarebbe stata spesa in buona fede.
Infatti, anche con tale motivo in effetti si è richiesta una rivalutazione del compendio
probatorio, inammissibile in questa sede, avendo questa Corte chiarito già da tempo che esula
dai suoi poteri una “rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio
di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali” (Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, Misiano; Sez. Un.
n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, Clarke, Rv.
203428).
Non può quindi ravvisarsi nella sentenza impugnata un’errata applicazione dell’art. 192,
comma 2, cod. proc. pen, né una mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod.
proc. pen.; né, a maggior ragione, può ravvisarsi una violazione dell’art. 125, comma 2, cod.
proc. pen., perché la sentenza impugnata ha motivatamente valutato le censure
dell’appellante, confutandone le prospettazioni anche sul piano probatorio proprio in relazione
alla configurabilità del meno grave reato di cui all’art. 457 cod. pen.
4.

Manifestamente infondato è il motivo con il quale il ricorrente lamenta il mancato

riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità.
Il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale, riaffermato anche recentemente da
questa Sezione (Sez. 5, n. 36790 del 22/06/2015, Palermo, Rv. 264745; Sez. 5, n. 44829 del
12/06/2014, Fabbri e altro, Rv. 262193; Sez. 5, n. 26807 del 19/03/2013, Ngom, Rv. 257545;
contra Sez. 5, n. 23812 del 15/05/2013, Artoni, Rv. 255522; Sez. 5, n. 4967 del 21/10/2009,
Khaddy, Rv. 245824) secondo cui, a seguito della modifica recata all’art. 62, comma 1, n. 4
dalla legge 7 febbraio 1990 n. 19, la circostanza attenuante del danno economico di speciale
tenuità è applicabile ad ogni tipo di delitto, indipendentemente dalla natura giuridica del bene
oggetto di tutela, purché il fatto risulti commesso per un motivo di lucro e cioè per acquisire,
quale risultato dell’azione delittuosa, un vantaggio patrimoniale, e purché la speciale tenuità
riguardi sia il lucro (prefigurato o conseguito) sia l’evento dannoso o pericoloso (Sez. 5, n.
43342 del 19/10/2005, Sorbo, Rv. 232851; Sez. 1, n. 36299 del 12/09/2001, Giambo, Rv.
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in esame (pagg. 2 – 7 della sentenza).

219898). L’espressione “evento dannoso o pericoloso”, secondo questa tesi, deve ritenersi
riferita alla nozione di evento in senso giuridico ed è idonea a comprendere qualsiasi offesa
penalmente rilevante purché essa sia, sia in astratto (in relazione alla natura del bene giuridico
oggetto di tutela) sia in concreto (come contestata), di tale particolare modestia da risultare
“proporzionata” alla tenuità del vantaggio patrimoniale che l’autore del fatto si proponeva di
conseguire o ha in effetti conseguito.
Sicché l’attenuante risulta inapplicabile soltanto ai delitti che producono un danno o una
situazione di pericolo di una qualche gravità e consistenza, nonché, ovviamente, a quelli la cui

genericamente definisce “contrassegnati da maggiore disvalore sociale”).
Tuttavia, nel caso in esame il valore della banconota contraffatta (euro 100) di per sè non
consente l’applicazione della menzionata attenuante, la quale implica un danno patrimoniale
subito dalla parte offesa come conseguenza diretta e immediata del reato di valore economico
pressoché irrilevante (Sez. 2, n. 15576 del 20/12/2012, Mbaye, Rv. 255791); ciò induce il
Collegio a non rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod.proc.pen., poiché
la soluzione del contrasto giurisprudenziale è da ritenersi ininfluente ai fini della soluzione del
caso concreto.
5. Non può essere accolta la richiesta formulata con l’ultimo motivo.
Invero, l’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza dei
motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la
possibilità di rilevare e dichiarare l’esclusione della punibilità, prevista dall’art. 131-bis cod.
pen., pur trattandosi di “ius superveniens” più favorevole al ricorrente. (Sez. F, n. 40152 del
18/08/2015, Vece, Rv. 264573; in tal senso si veda anche la recente sentenza delle Sezioni
Unite, n. 13682/16, del 25 febbraio 2016, ric. Coccimiglio).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2016
Il consigliere estensore

Il presidente

previsione è posta a tutela di beni fondamentali o diritti inviolabili (quelli che la dottrina più

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