Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27870 del 17/05/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27870 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
ZANETTIN FLAVIO, nato a Castagnero (VI) il 9/10/1963

avverso la ordinanza in data 20/11/2014 della Corte di Appello di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo Policastro, che
ha concluso per il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 17/05/2016

RITENUTO IN FATTO

Con l’ordinanza resa in data 20/11/2014 la Corte di Appello di Venezia, in sede di giudizio di
rinvio, ha rigettato la richiesta, presentata da ZANETTIN FLAVIO, di riparazione per ingiusta
detenzione sofferta dal 9/7/1996 a! 13/2/1997 in esecuzione di ordinanza di custodia
cautelare, da ultimo in regime di arresti domiciliari, perché indagato per il reato di cui all’art.
73 D.P.R. n. 309 del 1990, contestazione dalla quale è stato poi assolto con sentenza in data
24/2/2009 del G.U.P. presso il Tribunale di Padova.

dell’indennizzo, la condotta dello ZANETTIN, all’epoca dei fatti in servizio quale agente della
Polizia Penitenziaria presso la Casa Circondariale di Padova, in quanto, pur essendo il predetto
in possesso di informazioni che avrebbero portato ad una rivalutazione del quadro indiziario a
suo carico, che se palesate avrebbero reso necessaria una verifica dell’esistenza o meno delle
dedotte intenzioni ritorsive di chi lo aveva accusato della commissione del reato, siffatte
circostanze aveva chiarito soltanto in occasione dell’interrogatorio del 9/6/2007, mediante il
deposito di una memoria, circostanze attraverso le quali si era pervenuti all’assoluzione
dell’imputato per insufficienza di prove.
Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione, tramite del difensore di fiducia, lo ZANETTIN
che deduce:
1) violazione di legge, in relazione agli artt. 628, comma 2 e 627, comma 3, c.p.p., manifesta
illogicità della motivazione, perché la Corte di appello non si sarebbe uniformata alla sentenza
n. 4073/2014 di questa Corte, che ha annullato l’impugnata ordinanza del 29/4/2011, con
rinvio per nuovo esame, essendo rimasto tutt’altro che accertato il fatto che nel 1996, e cioè
al momento dell’arresto,

lo ZANETTIN avesse effettivamente consapevolezza che il

GIACOMELLI, chiamante in correità, nutriva acrimonia nei suoi confronti. Evidenzia la difesa
che il ricorrente, nel corso dell’interrogatorio del 9/6/2007, non aveva declinato al riguardo
alcuna informazione specifica, essendosi limitato a collocare il predetto detenuto come
compagno di cella dello SCREMIN, senza nulla aggiungere circa il suo coinvolgimento nel piano
di evasione progettato da altri detenuti, essendo il rapporto fatto dall’agente di custodia al
superiore MUNGIOLI riferibile solamente allo SCREMIN ed al GEMINIAN e non anche al
GIACOMELLI;
2) manifesta illogicità della motivazione e travisamento del fatto, per avere la Corte di appello
eluso la questione concernente la prova della conoscenza, da parte dello ZANETTIN, sin dal
momento del suo arresto, delle ragioni della chiamata in correità del GIACOMELLI,

con

riferimento al tentativo di evasione, essendo le dichiarazioni del chiamante evincibili soltanto
dalla consultazione del fascicolo delle indagini preliminari sicché il Giudice della riparazione
avrebbe finito per confondere la conoscenza con la mera conoscibilità della predetta
circostanza;

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Il Giudice della riparazione ha ritenuto gravemente colpevole, ed ostativa al riconoscimento

3) inosservanza di norma processuale (art. 627, comma 3, c.p.p.), manifesta illogicità della
motivazione, per non avere la Corte di Appello spiegato in maniera convincente come la
tempestiva verifica dell’esistenza e del contenuto del rapporto fatto dallo ZANETTIN al suo
superiore avrebbe provocato la caducazione degli elementi indiziari a carico dell’allora indagato
e della misura cautelare nei confronti del medesimo adottata, mettendo a nudo l’intrinseca
debolezza della chiamata in correità del GIACOMELLI, atteso che con l’interrogatorio reso il
9/6/2007 il ricorrente aveva riferito e meglio argomentato quanto già noto al G.I.P. sin
dall’anno 1996;

Corte di Appello come il silenzio serbato dallo ZANETTIN, circoscritto al solo tema della
tentata evasione dei due detenuti,
impositiva,

neppure citati per nome nell’ordinanza restrittiva

fosse da porre in concorrenza causale con il mantenimento della., misura

cautelare, e neppure spiegato come l’eventuale confronto tra l’indagato ed il PASTORELLO,
deceduto nel 2002 e mai sentito dagli inquirenti nel corso delle indagini, avrebbe eliso la
gravità dei plurimi indizi a suo carico esposti nell’ordinanza cautelare;
5) violazione di norma processuale (art. 627, comma 3, c.p.p.), erronea applicazione dell’art.
314 c.p.p., manifesta illogicità della motivazione,

per non avere

la Corte di Appello

argomentato in ordine alla natura macroscopica dell’ eventuale negligenza dello ZANETTIN,
tale da incidere sul mantenimento della custodia in carcere, avendo inopinatamente introdotto
nella motivazione del provvedimento impugnato un chiaro elemento doloso nelle tardive
rivelazioni del ricorrente .
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con memoria depositata il 30/4/2016, resiste alla
impugnazione.
Anche il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta, conclude per il
rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
L’oggetto dell’accertamento demandato

ai giudici della riparazione dalla sentenza n.

4073/2014 della Sezione Quarta di questa Corte, in sede di annullamento della precedente
ordinanza in data 29/4/2011 con cui era stata respinta la richiesta, avanzata dallo ZANETTIN,
di riparazione dell’ingiusta detenzione dallo stesso sofferta dal 9/7/1996 al 12/2/1997, può
sinteticamente riassumersi nei termini di seguito riportati:
a) se allo ZANETTIN era noto, fin dal momento del suo arresto, che GIACOMELLI nutriva verso
di lui ragioni di malanimo in quanto a conoscenza del rapporto, concernente un tentativo di
evasione, che l’agente aveva trasmesso ai suoi superiori, ed in che termini detto rapporto
riguardava il GIACOMELLI;

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4) assoluta carenza di motivazione o sua manifesta illogicità, per non avere dimostrato la

b)

se lo ZANETTIN era, nello stesso periodo, a conoscenza delle accuse rivoltegli dal

GIACOMELLI circa un suo presunto coinvolgimento in un tentativo di evasione, anche alla luce
di quanto sul punto sostenuto nell’ordinanza impugnata, e cioè, che a tale proposito lo
ZANETTIN aveva riferito solo di avere avuto notizia di una perquisizione diretta a rinvenire dei
seghetti nascosti nel carcere, non anche di essere stato indicato dal Giacornelli come persona
coinvolta in detto tentativo;
c) se le circostanze indicate dallo ZANETTIN nell’interrogatorio reso nel 2007 erano solo a lui

essere in un contesto investigativo che vedeva un agente della polizia penitenziaria accusato di
esser coinvolto in traffici di droga da un detenuto (GIACOMELLI) ristretto nell’istituto ove lo
stesso svolgeva il proprio servizio;
d) Perché ed in che termini le circostanze “rivelate” dallo ZANETTIN sono state ritenute
dirimenti (“risolutamente favorevoli”) rispetto alle accuse contestate, nel senso che, ove
conosciute dagli inquirenti, esse avrebbero annullato il valore indiziante degli elementi acquisiti
in sede investigativa, sui quali il Gip ha fondato il provvedimento restrittivo;
e) perché ed in che termini la condotta silente dell’indagato si è posta in posizione sinergica
rispetto all’adozione del provvedimento restrittivo e al mantenimento dello stesso, ove si
consideri che, secondo quanto emerge dall’ordinanza impugnata, gli elementi di accusa a
carico dello ZANETTIN sono stati tratti, in primis, dalle dichiarazioni rese da PASTORE
Giuseppe e da MANIERO Antonio, poi riscontrate da quelle rese dal GIACOMELLI.
Orbene, la Corte di Appello di Venezia, nell’impugnata ordinanza, ha evidenziato (punto a) che
il GIACOMELLI, compagno di cella dello SCREMIN, aveva ragioni di malanimo nei confronti
dello ZANETTIN in quanto, come riportato nell’interrogatorio reso dall’odierno ricorrente il
9/6/2007, a seguito del rapporto che l’agente di custodia aveva fatto al proprio superiore in
merito ad un piano di evasione dalla Casa Circondariale di Padova ad opera di GEMIAN e
SCREMIN, del quale doveva avvantaggiarsi anche il GIACOMELLI, il primo era stato trasferito
in altra struttura ed il secondo ed il GIACOMELLI avevano cercato di “fargliela pagare”.
Dell’evasione, che avrebbe dovuto avere luogo nell’agosto 1994, lo ZANETTIN aveva riferito al
superiore con immediatezza, ma la perquisizione operata alla ricerca di seghetti nella sezione
femminile dell’istituto carcerario aveva dato esito negativo, ed era del tutto plausibile ritenere
che tanto il GIACOMELLI, che il compagno di cella SCREMIN, avessero avuto notizia
dell’intervento della guardia carceraria e che per questo intendessero “farla pagare allo
ZANETTIN”. Di tutto ciò, per sua stessa ammissione, l’odierno ricorrente era consapevole ben
prima dell’emissione nel 1996 dell’ordinanza di custodia cautelare, ancorché riferito all’autorità
giudiziaria soltanto nel 2007. Lo stesso ricorrente ricorrente riferisce di aver conosciuto lo
SCREMIN il quale prestava l’attività di aiutante in mensa agenti, che il predetto, insieme ad
altro detenuto, lo aveva accusato della tentata cessione di droga e questo perché, per usare le
parole dello ZANETTIN, “hanno cercato di farmela pagare in più occasioni”.

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note e non anche agli inquirenti ed allo stesso GIP della cautela, come pur avrebbe dovuto

Ha altresì osservato (punto b) che nella relazione datata 25/5/1995 del Sovrintendente di
Polizia DI CORATO, di cui il Sostituto Procuratore Antimafia di Padova, Pavone aveva ordinato
estrarsi copia nel procedimento a carico dello ZANETTIN, si parla del tentativo di evasione
progettato dallo GIACOMELLI, “che vedeva coinvolto un appartenente alla Polizia
Penitenziaria”, documento allegato agli atti dell’ordinanza cautelare emessa nei confronti del
medesimo ZANETTIN 1’1/7/1996 ed eseguita il 9/7/1996. L’odierno ricorrente poteva
agevolmente riscontrare che il predetto detenuto aveva dichiarato “di aver organizzato un
tentativo di evasione, colla collaborazione di un agente della Polizia Penitenziaria” , identificato

GIACOMELLI, che aveva pure parlato e non solo questo ma anche “di un traffico di
stupefacenti”. Ciò nonostante lo ZANETTIN non aveva, nell’interrogatorio di garanzia, riferito
alcunché in ordine al possibile movente delle accuse che gli venivano rivolte dai detenuti, né
tantonneno di ciò si era successivamente occupato il suo difensore tecnico.
Ha poi chiarito (punto c), che al momento dell’emissione dell’ordinanza cautelare da parte del
GIP di Venezia “l’autorità emittente non era a conoscenza del fatto che ZANETTIN avesse fatto
rapporto al suo superiore dell’esistenza di un tentativo di evasione da parte di GIACOMELLI”.
Il MUNGIOLI, peraltro, aveva dichiarato di non ricordare di aver ricevuto un “rapporto” dallo
ZANETTIN avente ad oggetto un tentativo di evasione dal carcere padovano organizzato nel
1994 e di aver soltanto ricevuto dal proprio personale “confidenze” la cui veridicità di volta in
volta veniva verificata. Di un rapporto scritto, comunque, non v’è alcuna traccia in atti. E
quando la D.D.A. di Venezia trasse le sue conclusioni nei confronti dello ZANETTIN, indagato
insieme a molte altre persone (più di cento), il GIP di Padova non aveva ancora emesso il
decreto di archiviazione dell’ 8/1/1996, nel procedimento (n. 1558/95 R.G.N.R.), a carico dello
ZANETTIN ed altri, riguardante l’accusa concernente il tentativo di evasione. Difetta inoltre la
prova di qualsivoglia comunicazione investigativa tra le autorità procedenti, fatta eccezione per
singoli e specifici atti tra la Procura di Padova, che aveva indagato su detto fatto, e la D.D.A. di
Venezia, che infatti tace sul decreto di archiviazione, nella richiesta d’emissione della misura
carceraria nei confronti del ricorrente per per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990.
Ad avviso della Corte lagunare (punto d), ove le circostanze rivelate dallo ZANETTIN fossero
state conosciute al momento dell’emissione dell’ordinanza o comunque subito dopo, innanzi al
Tribunale del Riesame, avrebbero imposto “una rivalutazione del quadro indiziario”, una
verifica che avrebbe investito necessariamente il “rapporto fatto dallo ZANETTIN al suo
superiore”, mentre la linea difensiva adottata dall’indagato si era limitata alla negazione della
veridicità del fatto sotto il profilo della dedotta “contraddittorietà intrinseca” delle dichiarazioni
accusatorie che “si fondano essenzialmente su una chiamata in correità di un detenuto nei
confronti di una guardia carceraria” e provengono da soggetti (di PASTORE, GIACOMELLI e
MANIERO) non riferenti “di aver visto con i propri occhi lo ZANETTIN introdurre sostanza
stupefacente in carcere”.

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dagli inquirenti nello ZANETTIN sulla base proprio dell’interrogatorio reso il 2/6/1995 dallo

La Corte territoriale ha infine precisato (punto e), che ove lo ZANETTIN “avesse già in sede di
interrogatorio di garanzia, o nel corso dell’udienza avanti al Tribunale del Riesame, palesato
tutti quegli elementi che ora pone a fondamento della domanda di risarcimento per ingiusta
detenzione, i fatti da lui esposti avrebbero costituto una chiave di lettura critica degli elementi
raccolti dagli inquirenti portando il GIP o il Tribunale del Riesame da una diversa
determinazione” atteso che era stato proprio il GIACOMELLI a riconoscere in fotografia l’agente
di custodia ed a indicarlo come la persona che portava in carcere lo stupefacente per il tramite
di PASTORELLO (deceduto il 10/10/2002), “scopino in portineria”, proprio dove lo ZANETTIN

Tutta quanto esposto consente di evidenziare in maniera chiara la corretta osservanza da parte
dei giudici della riparazione dei principi giurisprudenziali più volte affermati in materia di
riparazione per l’ingiusta detenzione e, peraltro, anno dato adeguata risposta alle censure
svolte da questa Corte nella richiamata sentenza di annullamento n. 4073/2014.
Va qui ricordato che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, nel
procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente
l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della
sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del
giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale,
deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire
non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come
fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento
“detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di
valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare
la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che
negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla
riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203638).
Deve, quindi, muoversi dal dato, indiscusso, per cui il giudizio per la riparazione dell’ingiusta
detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di
indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso
materiale probatorio acquisito agli atti ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di
parametri di valutazione differenti (Sez. 4, n. 39500 del 18/06/2013 – dep. 24/09/2013,
Trombetta, Rv. 256764).
Muovendo proprio da tali elementi, è evidente che i giudici di appello hanno provveduto a
esaminare il medesimo materiale probatorio, per giungere nuovamente alla conclusione che “il
comportamento silente di ZANETTIN integri gli estremi della colpa grave ostativa al
risarcimento per ingiusta detenzione”, questa volta però sulla scorta di un percorso
argonnentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di
legittimità, per cui non risulta affatto violato l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto che
vincola giudice di rinvio (Sez. 4, n. 20044, del 17/3/2015, S. e altri, Rv. 263864).
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prestava servizio, detenuto che non è mai stato posto a confronto dell’odierno ricorrente.

Infondate sono le prime tre censure proposte dal ricorrente – che possono essere scrutinate
congiuntamente – atteso che la Corte territoriale, dopo aver ripercorso – diacronicamente – le
fasi delle indagini svolte nei confronti dello ZANETTIN (e di altri), ha opportunamente
segnalato sia gli elementi indiziari via via raccolti a suo carico in relazione all’accusa di spaccio
di stupefacenti nel carcere padovano, che lo ha portato a subire la misura restrittiva emessa
dal GIP presso il Tribunale di Venezia 1’1/7/1996, sia quelli attinenti alla diversa indagine
svolta nei confronti dell’agente di custodia, in relazione all’accusa di aver svolto una qualche
partecipazione nella progettata evasione dal carcere di alcuni detenuti e conclusasi con il

L’assenza di momenti di intersecazione tra le attività investigative, condotte da magistrati dei
diversi uffici giudiziari, aveva lasciato all’oscuro l’autorità emittente la misura cautelare, e
prima ancora di essa la D.D.A. di Venezia che l’aveva richiesta, dell’esistenza del “rapporto”
dello ZANETTIN al suo superiore gerarchico MUNGIOLI, concernente la notizia del tentativo di
evasione, circostanza che aveva determinato alcuni dei detenuti interessati al piano di fuga (il
GIACOMELLI e lo SCREMIN) a “fargliela pagare”.
Ha osservato, inoltre, la Corte lagunare che l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP
nei confronti dell’odierno ricorrente, ed i relativi atti d’indagine allegati, indicavano
chiaramente tra le fonti d’accusa le dichiarazioni del GIACOMELLI, rafforzali dal fatto che
aveva dimostrato di conoscere l’incolpato, per averlo “riconosciuto senza alcun dubbio … in una
foto esibitagli” durante l’interrogatorio. L’odierno ricorrente veniva così indentificato per
l’agente di custodia che “consentiva l’ingresso in carcere della droga” tramite il PASTORELLO,
detenuto che svolgeva compiti di pulizia nella portineria ove lo ZANETTIN prestava servizio, e
che solo l’odierno ricorrente avrebbe potuto indicare agli inquirenti le ragioni del malanimo di
chi lo stava accusando – falsamente – così da “indebolire” la forza indiziante della chiamata in
correità del GIACOMELLI.
Lo ZANETTIN, invece, aveva adottato una linea difensiva differente, incentrata piuttosto sulla
dedotta “genericità” ed intrinseca “contraddittorietà”, definita “insanabile”, delle dichiarazioni
dei soggetti che lo accusavano, che non faceva emergere alcun elemento “a discarico” in un
quadro probatorio sfavorevole.
Alla luce di quanto sopra, e passando ad esaminare la quarta e la quinta censura, anche le
dichiarazioni rese dallo ZANETTIN dopo la esecuzione della misura cautelare, non solo non
hanno fornito una spiegazione alternativa all’interpretazione data in quel momento dall’autorità
giudiziaria del materiale indiziario raccolto, ma hanno corroborato i sospetti e gli indizi circa la
sussistenza del reato contestato, privando l’autorità giudiziaria di elementi utili a valutare
l’attendibilità della fonte accusante fornendo le ragioni di un eventuale intento calunniatorio.
Ricordano i giudici veneziani che è ben vero che l’imputato ha diritto di difendersi anche
mentendo o tacendo, ma detto comportamento può costituire quella “colpa grave” che esclude
il diritto al risarcimento per un’ingiusta detenzione, così mostrando di far buongoverno dei
principi giurisprudenziali che regolano la materia.
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decreto di archiviazione emesso dal GIP presso il Tribunale di Padova 1’8/1/1996.

Questa Corte, infatti, ha reiteratamente affermato, in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, che il silenzio, la reticenza e il mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio, pur
costituendo esercizio del diritto di difesa, possono rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa
grave nel caso in cui egli sia in grado di indicare specifiche circostanze, non note all’organo
inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di escludere o caducare il valore
indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa, che determinarono l’emissione del
provvedimento cautelare (Sez. 4, n. 4159 del 09/12/2008 – dep. 28/01/2009, Lafranceschina,
Rv. 242760; Sez. 3, n. 29967 del 02/04/2014 – dep. 09/07/2014, Bertuccini, Rv. 259941).

all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa all’instaurazione
della custodia cautelare per colpa grave, consistita nell’aver tenuto comportamenti improntati
a macroscopica leggerezza e imprudenza, idonei ad essere interpretati, nella fase iniziale delle
indagini, non come semplice connivenza, ma come concorso nel reato (Sez. 4, n. 37567 del
02/04/2004 – dep. 23/09/2004, Barison, Rv. 229142).
Deve quindi condividersi l’approdo della Corte d’Appello di Venezia secondo cui, diversamente
da quanto sostenuto nella domanda di riparazione e ribadito pedissequamente in ricorso senza
apprezzabili elementi di novità (sì da apparire il relativo motivo come generico), la condotta
dello ZANETTIN è stata gravemente colpevole per avere lo stesso “taciuto fatti che erano solo
di sua esclusiva conoscenza e che, una volta palesati, nel 2007, hanno avuto l’effetto di
determinare l’assoluzione dell’imputato dal reato ascrittogli”, silenzio protrattosi ben oltre la
durata della misura cautelare e rotto soltanto “dopo la morte di PASTORELLO”.
Parimenti ineccepibile sotto il profilo motivazionale, oltre che coerente con le emergenze
processuali ed immune da vizi logico-giuridici, è l’ ultimo punto del percorso argomentativo
dell’ordinanza impugnata concernente il nesso eziologico tra l’avvio e la protrazione della
custodia cautelare ed il comportamento gravemente colposo addebitato allo ZANETTIN.
I giudici della riparazione, che si sono presi carico dell’obbligo accertativo imposto, in sede di
annullamento con rinvio, dalla Sezione Quarta di questa Corte, puntualizzano come sia
evidente il rilievo eziologico che tale condotta ha avuto nell’avvio e nella protrazione della
custodia cautelare, atteso che le chiamate di correo dei tre detenuti e, in particolare, quella
del GIACOMELLI, che aveva riconosciuto l’accusato attraverso una foto, hanno costituito in
buona sostanza gli unici elementi determinanti l’emissione della custodia cautelare a carico
dello ZANETTIN, mentre le dichiarazioni rese dall’indagato negli interrogatori, a causa della
loro genericità, hanno determinato tutti i giudici interessati al caso a protrarre la custodia
cautelare, respingendo l’ istanza di remissione in libertà.
Al cospetto di tale apparato argonnentativo, dunque, non può non condividersi quanto
evidenziato dal Procuratore Generale presso questa Corte nella sua requisitoria: gli elementi
indiziari, infatti, erano / sia singolarmente che nel loro insieme, sufficienti a giustificare la
carcerazione e la condotta complessiva del ricorrente poteva ampiamente sostenere la
decisione del mantenimento dello stato di detenzione, sicché la colpa dell’istante,
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Trova applicazione, nel caso di specie, il principio secondo cui costituisce causa impeditiva

macroscopica, si è concretizzata nella mancata indicazione di elementi di fatto che, in quella
fase, ben potevano orientare diversamente l’attività d’indagine e far venire meno le
giustificazioni della sua detenzione, proprio in ragione della centralità delle dichiarazioni
accusatorie del GIACOMELLI, l’unico dei dichiaranti ad aver identificato lo ZANETTIN, della cui
genuinità si sarebbe potuto sin da subito dubitare, applicando i criteri valutativi di cui all’art.
192, comma 3, c.p.p. e le massime di comune esperienza che presidiano la chiamata in
correità.
In conclusione, la condotta allora tenuta dal ricorrente, con riferimento al procedimento

dell’evento (la detenzione) per avere lo ZANETTINI per colpa grave sottratto alla cognizione
degli inquirenti un dato incidente sulla formazione della prova del fatto in accusa, così
inducendo l’intervento di rigore da parte dell’autorità giudiziaria.
Segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna al pagamento della spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione
in favore del Ministero Economia e Finanze delle spese che liquida in complessivi euro
ottocento.
Così deciso in Roma il 17 maggio 2016.

penale nel corso del quale la libertà fu perduta, integra una situazione sinergica alla causazione

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