Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27869 del 12/05/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27869 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

ROSANO NICOLA, nato a Catania il 2/04/1986

avverso l’ordinanza del 11/12/2014 della Corte di appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale dott. Vito
D’Ambrogio che ha concluso chiedendo annullamento con rinvio.

Data Udienza: 12/05/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Rosano Nicola, per il tramite del difensore di fiducia, ha proposto ricorso
avverso l’ordinanza con cui la Corte d’Appello di Catania, quale giudice di rinvio a
seguito di sentenza di annullamento di questa Corte emessa in data 12/12/2013,
ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione.
Lamenta con un unico motivo la violazione dell’art. 314 cod. proc. pen.
relativamente alla ritenuta configurabilità di condotta gravemente colposa ostativa

Argomenta che la Corte di appello non avrebbe dato atto delle ragioni in forza
delle quali il silenzio serbato nell’immediatezza dei fatti dal Rosano avrebbe svolto
colposamente ruolo sinergico nel giustificare la misura detentiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
2. Va premesso che questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo
cui deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del
predetto comma 1 dell’art. 314 c.p.p., quella condotta che, pur tesa ad altri
risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza,
trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una
situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento
dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento
restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (in
puntuali termini, Sez. U., n. 43/96 del 13/12/1995, Sarnataro e altri, Rv. 203637;
Sez.4, n.43302 del 23/10/2008, Rv.242034).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali
sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante trascuratezza,
tenuti sia anteriormente che successivamente al momento restrittivo della libertà
personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina normativa non può non
imporre l’analisi dei comportamenti tenuti dall’interessato, anche prima dell’inizio
dell’attività investigativa e della relativa conoscenza, indipendentemente dalla
circostanza che tali comportamenti non integrino reato (ed anzi, è questo il
presupposto, scontato, dell’intervento del giudice della riparazione) (cfr., tra le
altre, Sez. 4, n. 42729 del 16/10/2007, Kishta, non massimata).
2.1. Si è quindi precisato che, in tale contesto, che nel giudizio di cui all’art.
314 c.p.p., il giudice, ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa grave ostativa
al riconoscimento del diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, può valutare

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al diritto alla riparazione.

il comportamento silenzioso o mendace, legittimamente tenuto nel procedimento
penale dall’imputato, per escludere il suo diritto all’equo indennizzo.
In particolare, la condotta dell’indagato che, in sede di interrogatorio, si
avvalga della facoltà di non rispondere, pur costituendo esercizio del diritto di
difesa, può assumere rilievo ai fini dell’accertamento della sussistenza della
condizione ostativa del dolo o della colpa grave solo qualora l’interessato non abbia
riferito circostanze, ignote agli inquirenti, utili ad attribuire un diverso significato
agli elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare (Sez.3,n.29967 del

251325).
2.2. E’ stato anche costantemente ribadito il principio secondo cui, in tema di
riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha
patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve
apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili,
con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti,
fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua,
è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, Rv.
222263).
Ove sia richiesta- come nel caso in esame- la riparazione in forza dell’art. 314
c.p.p., comma 1, al fine di ritenere sussistenti le condizioni ostative costituite dal
dolo o dalla colpa grave sinergica dell’istante, il giudice ben può prendere in
considerazione, anche in via esclusiva, gli elementi originariamente valutati in
funzione dell’emissione della misura cautelare (Sez.4, n.9212 del
13/11/2013,dep.25/02/2014, Rv.259081).
Il Giudice della riparazione, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso
materiale valutato dal giudice del processo penale deve, comunque, seguire un
“iter” logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non
se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste
come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione
dell’evento “detenzione”; ed ìn relazione a tale aspetto delta decisione egli ha piena
ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per
rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni
dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa
l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (in tal
senso, espressamente, Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996,
Sarnataro ed altri, Rv. 203638).
3. Nella specie, la Corte di appello ha evidenziato che Rosano Nicola era stato
coinvolto in una più complessa indagine che aveva messo in luce l’esistenza di una

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02/04/2014, Rv.259941; Sez. 3A, n. 44090 del 09/11/2011, Messina ed altro, Rv.

articolata organizzazione criminale dedita al traffico di sostanza stupefacente e che
gestiva una efficiente rete di vendita e distribuzione di droga procurata anche nel
territorio calabrese grazie ai viaggi intrapresi dalla Sicilia in detta regione; in
particolare, emergeva dall’indagine che uno dei corrieri era il Rasano, il quale era
in stretto contatto con il padre, gestore dei rapporti con gli altri soggetti coinvolti
nel programmato traffico di stupefacente; al Rosano veniva contestato uno
specifico trasporto di stupefacente avvenuto il 27.6.2006; il quadro indiziario
emergeva all’esito di servizi di intercettazione e di rilevazione degli apparecchi

sequestro della sostanza stupefacente.
Ha, quindi, illustrato il contenuto delle conversazioni del Rosano intercettate:
conversazione del 27.6.2006 (connessa a viaggio in Calabria degli associati
Pappalardo e Giuliano, poi condannati, durante il quale il padre del Rosano Nicola,
dopo aver parlato dei dettagli del viaggio con i predetti associati e concordato
l’incontro con altro soggetto indicato con espressioni criptiche, lo contattava
proprio per dargli indicazioni in ordine al viaggio) ed analoga conversazione in
occasione del viaggio del 5.7.2006 (relativa ad ulteriore viaggio programmato per
il trasporto dello stupefacente, affare poi sfumato a causa della presenza delle
forze dell’ordine).
Ha rimarcato che nell’interrogatorio del 21.5.2008 il Rosano non aveva
illustrato le ragioni sottese al viaggio del 27.6.2006 al fine di fornire una lettura
alternativa del quadro indiziario emergente a suo carico dalle conversazioni
telefoniche intercettate; inoltre, ha pure evidenziato che il Rosano nel successivo
interrogatorio del 24.11.2008 aveva riferito di aver effettuato il viaggio per ragioni
sentimentali senza però fornire concrete indicazioni in merito e aveva negato fatti
oggettivi e, cioè, di aver avuto colloqui telefonici con il padre durante il viaggio.
Alla luce delle suesposte circostanze, la Corte territoriale, facendo buon
governo dei principi di diritto suesposti, ha specificamente argomentato che la
condotta del ricorrente, il quale, in sede di interrogatorio, avvalendosi della facoltà
di non rispondere, non aveva fornito una concreta e chiara lettura alternativa delle
conversazioni telefoniche che davano atto proprio di un suo coinvolgimento attivo
nel trasporto dello stupefacente, si è concretata in fattore condizionante alla
produzione dell’evento “detenzione”.
La motivazione è adeguata ed esente da vizi logici e, pertanto, si sottrae al
sindacato di legittimità.
4. Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

sateltitari applicati sui veicolo utilizzati per il traffico illecito, confermati dal

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso il 12/5/2016

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