Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27866 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27866 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Praz Enzo, nato a Aosta il 16/06/1960,

avverso l’ordinanza del 19/12/2015 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Aosta;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Massimo Galli, che ha concluso chiedendo che il ricorso
venga convertito in opposizione ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen..

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. Enzo Praz ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 19/12/2015
del G.i.p. del Tribunale di Aosta che, all’esito di udienza camerale, ha respinto
l’opposizione proposta avverso il decreto del 26/11/2015 del Procuratore della
Repubblica presso quel Tribunale con cui era stata autorizzata la distruzione,
previo prelevamento di campioni, di 194 forme formaggio sequestrate, a fini

Data Udienza: 10/05/2016

probatori, e custodite presso il magazzino della Cooperativa CPLF di proprietà del
Praz..
1.1.Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc.
pen., violazione ed erronea applicazione dell’art. 260, cod. proc. pen..
Lamenta, in particolare, che la decisione di procedere alla distruzione delle
forme è stata adottata sulla base di accertamenti condotti dalla polizia giudiziaria
senza alcun contraddittorio con la difesa, senza alcun accertamento tecnico
irripetibile, senza una campionatura o comunque un’analisi.

ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., avendo il Giudice deciso – afferma
– senza una approfondita disamina logica e giuridica dei fatti e con motivazione
“apparente”, non idonea a far comprendere i passaggi logici della decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è infondato.

3.0ccorre preliminarmente affrontare e risolvere la questione, posta dal
Procuratore generale, relativa alla ricorribilità per cassazione dell’ordinanza
impugnata.
3.1.Va a tal fine evidenziato che, secondo un primo indirizzo, l’unico rimedio
esperibile contro il provvedimento di cui all’art. 260, comma 3, cod. proc. pen. è
l’incidente di esecuzione, trattandosi di questione concernente la fase esecutiva
del sequestro, e pertanto la competenza a decidere è demandata allo stesso
giudice che ha emesso il provvedimento con le forme proprie della procedura
camerale previste dall’art. 666 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 19918 del 25/03/2003,
Scalvini, Rv. 224569).
3.2.Un diverso indirizzo sostiene, invece, che avverso il provvedimento di cui
all’art. 260, comma 3, cod. proc. pen., non è esperibile l’appello di cui all’art.
322 bis. c.p.p., in quanto quest’ultimo, siccome costituente un mezzo di
gravame, soggiace al principio generale di tassatività. Tenuto conto del
collegamento funzionale tra siffatta ordinanza ed il provvedimento di sequestro,
alla quale inerisce, è esperibile invece, avverso di essa – ex art. 263, comma 5,
cod. proc. pen. – da parte dei soggetti interessati, l’opposizione al G.I.P. in
camera di consiglio, nelle forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen. (Sez. 3, n.
1552 del 10/04/2000, Carugati, Rv. 216984).
3.3.Ritiene il Collegio che i provvedimenti che hanno ad oggetto la
destinazione dei beni già sottoposti a sequestro, che dunque presuppongono un
“titolo” già esistente e si giustificano proprio a causa di esso, hanno natura
esecutiva poiché disciplinano le vicende successive all’apposizione del vincolo,
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1.2.Con il secondo motivo eccepisce, sotto altro profilo, vizio di motivazione

sicché avverso di essi è esperibile esclusivamente il rimedio dell’incidente di
esecuzione di cui all’art. 666, cod. proc. pen., senza la necessità di ricorrere ad
analogiche applicazioni dell’art. 263, cod. proc. pen., norma quest’ultima che,
letta in sistematica coordinazione con l’art. 262 che la precede, disciplina i casi in
cui si controverte sulla sussistenza delle ragioni probatorie del vincolo.
3.4.Tuttavia la questione ha scarsa rilevanza pratica perché nel caso di
specie il G.i.p. ha deciso l’opposizione avverso il provvedimento del pubblico
ministero sentendo le parti in camera di consiglio, decidendo con ordinanza,

proc. pen. ed operando quale giudice dell’esecuzione. Non rileva il fatto che in
questo caso il giudice conosca dell’esecuzione di un provvedimento da lui non
adottato poiché nella fase delle indagini preliminari il G.i.p. è funzionalmente
competente a conoscere delle richieste del pubblico ministero ma anche delle
parti private (art. 328, comma 1, cod. proc. pen.; cfr. altresì gli artt. 82, u.c. e
83, disp. att. c.p.p. circa le competenze della cancelleria del giudice in ordine agli
adempimenti relativi alla vendita o distruzione delle cose sequestrate) che
contestino l’esecuzione dei provvedimenti adottati dal pubblico ministero.
3.5.0rbene, la decisione è stata correttamente adottata, sul piano
procedurale, con ordinanza resa ai sensi dell’art. 666, cod. proc. pen. e ricorribile
per cassazione.

4.Nel merito delle questioni poste dal ricorrente, osserva la Corte che
l’alienazione o la distruzione di beni sottoposti a sequestro probatorio penale
costituisce forma anticipata di ablazione dei beni stessi adottata in assenza di un
accertamento di responsabilità del loro titolare. Sicché, quando sorga
controversia sui presupposti applicativi della norma essi devono essere valutati
in maniera rigorosa, senza sconfinare in anticipazioni sul giudizio di
responsabilità e salvaguardando il più possibile il diritto dell’indagato/imputato
alla conservazione del bene e dunque il suo diritto di proprietà.
4.1.Non a caso l’art. 260, comma 3-bis, cod. proc. pen., limita la possibilità
di procedere alla distruzione delle merci di cui sono comunque vietati la
fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione alle seguenti
ipotesi ben delimitate e alternative tra loro: a) la difficile o particolarmente
onerosa custodia; b) la custodia pericolosa per la sicurezza, la salute o l’igiene
pubblica; c) l’evidente violazione dei divieti di fabbricazione, possesso,
detenzione e commercializzazione.
4.2.Nel caso in esame, il G.i.p. ha autorizzato la distruzione delle forme di
formaggio sul rilievo che «sono state prodotte in carenza delle prescritte
autorizzazioni sanitarie, comunque in assenza dei ‘minimi’ requisiti sanitari e in
condizioni igieniche ‘inesistenti’ (…) inoltre è stato riscontrato veleno topicida

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seguendo, cioè, le medesime scansioni procedurali previste dall’art. 666. cod.

sulle assi di stagionatura dei formaggi presenti all’interno del locale adibito a
deposito>>.
4.3.11 Giudice dunque ha ritenuto sussistente il presupposto della violazione
evidente dei divieti di possesso, detenzione e commercializzazione degli alimenti
che giustifica da sola la possibilità di distruggerli. Al riguardo va ricordato che
secondo l’autorevole insegnamento di questa Corte, ai fini della configurabilità
della contravvenzione prevista dall’art. 5, lett. b, della legge 30 aprile 1962 n.
283, che vieta l’impiego nella produzione di alimenti, la vendita, la detenzione

di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non è necessario che
quest’ultimo si riferisca alle caratteristiche intrinseche di dette sostanze, ma è
sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, le quali
devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso
contrario, a regole di comune esperienza (Sez. U, n. 443 del 19/12/2001, dep. il
09/01/2002, Butti, Rv. 220716). In questo senso anche la custodia in locali
sporchi e quindi igienicamente inidonei alla conservazione determina la
violazione del divieto di commercializzazione del prodotto (Sez. 3, n. 9477 del
21/01/2005, Ciccariello).
4.4.Non era dunque necessario alcun accertamento sulle caratteristiche
intrinseche degli alimenti, essendo sufficiente l’esame visivo dei luoghi in cui essi
erano conservati, la cui descrizione non è oggetto di critica da parte del
ricorrente che non ne eccepisce il travisamento.
4.5.Questi, infatti, si lamenta che l’accertamento non è stato compiuto in
contraddittorio ma è agevole osservare che l’art. 260, comma 3-bis, cod. proc.
pen., prevede tale modalità solo come eventuale.
4.6.E’ infondata, alla luce delle considerazioni che precedono, l’eccezione
relativa alla mancata motivazione avendo il Giudice indicato in modo più che
adeguato i fatti che giustificano la distruzione degli alimenti.
4.7.Ne consegue che il ricorso deve essere respinto con condanna del Praz
alle spese.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 10/05/2016

per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo,

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