Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27862 del 19/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27862 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Brusco Giovanni, nato a Marano di Napoli il 09/02/1933

avverso l’ordinanza del 13/10/2015 della Corte d’appello di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del
ricorso, pagamento spese processuali e versamento di una somma di denaro alla
Cassa delle Ammende;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 13 ottobre 2015, la Corte d’appello di Napoli, in funzione di
giudice dell’esecuzione, ha sospeso l’esecuzione dell’ordine di demolizione del
manufatto abusivo oggetto della sentenza di condanna della Corte d’appello di
Napoli in data 5 giugno 1998, irrevocabile il 28/12/1996, nei confronti di Brusco
Giovanni ed ha respinto la richiesta di revoca del predetto ordine di demolizione.

Data Udienza: 19/04/2016

2. Avverso l’ordinanza Brusco Giovanni ha proposto, a mezzo del difensore,
ricorso per cassazione, deducendo, con un unico motivo, la violazione di cui
all’art. 606 comma 1 lett b) ed e) cod.proc.pen., per avere la Corte d’appello
rigettato l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione per travisamento del fatto.
La Corte d’appello, nel rigettare la richiesta di revoca, avrebbe erroneamente
ritenuto l’assenza dell’autorizzazione paesaggistica posto che dalla stessa
sentenza di condanna di primo grado, emergerebbe che le opere abusive non
sarebbero state realizzate in area sottoposta a detto vincolo, sicchè l’ordinanza

revoca dell’ordine di demolizione, anche con motivazione illogica, pur in presenza
di concessioni edilizie in sanatoria n. 681 del 16/06/1998 e n. 1180 del
16/10/2001.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. – Il ricorso è inammissibile attesa la manifesta infondatezza dei motivi dedotti.
E’ affermazione costante nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il
principio che, in tema di reati edilizi, ai fini della revoca o sospensione dell’ordine
di demolizione delle opere abusive (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31,
comma 9) in presenza di un’istanza di condono o di sanatoria successiva al
passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il giudice dell’esecuzione
investito della questione è tenuto a un’attenta disamina dei possibili esiti e dei
tempi di definizione della procedura ed, in particolare: a) ad accertare il possibile
risultato dell’istanza e se esistono cause ostative al suo accoglimento; b) nel
caso di insussistenza di tali cause, a valutare i tempi di definizione del
procedimento amministrativo e sospendere l’esecuzione solo in prospettiva di un
rapido esaurimento dello stesso (ex plurimis, Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014,
Russo, Rv. 261212; Sez. 3, n. 11149 del 7 dicembre 2011; Sez. 4, 11 ottobre
2011, n. 44035; Sez. 3, 7 luglio 2011, n. 36992; Sez. 3, 21 giugno 2011, n.
29638). In particolare, il giudice dell’esecuzione ha l’obbligo di revocare l’ordine
di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna o di
patteggíamento, ove sopravvengano atti amministrativi con esso del tutto
incompatibili, ed ha, invece, la facoltà di disporne la sospensione quando sia
concretamente prevedibile in base ad elementi concreti e specifici, che tali
provvedimenti saranno adottati in breve tempo, non potendo la tutela del
territorio essere rinviata indefinitamente. (Sez. 3, ord. n. 25212 del 18/01/2012
Rv. 253050; Sez. 3, n. 24273 del 24/03/2010, P.G. in proc. Petrone, Rv.
247791).
In tale contesto, il Giudice della esecuzione è tenuto ad una attenta disamina sui
possibili esiti e sui tempi di definizione della procedura amministrativa relativa

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impugnata, in assenza del vincolo, avrebbe erroneamente respinto la richiesta di

all’ingiunzione di demolizione alla base della richiesta in sede penale mirata ad
ottenere la revoca o la sospensione dell’ordine.
Quanto al caso di specie, è sufficiente rilevare che il ricorrente propone una
censura in fatto in ordine al profilo della sussistenza o meno del vincolo
paesaggistico sul luogo ove sono state realizzate le opere abusive, insindacabile
in sede di legittimità. Oltre tutto, deve rilevarsi che il titolo esecutivo è costituito
dalla sentenza della Corte d’appello che ha attestato, in modo irrevocabile, la
sussistenza del vincolo (il ricorrente richiama a tal proposito la sentenza di primo

secondo cui, nel caso di interventi in zone sottoposte a vincolo paesaggistico,
l’autorizzazione de quo non può essere desunta dall’intervenuto rilascio di
concessione in sanatoria ex art. 36 e 44 d.P.R. 380 del 2001, non solo per
l’autonomia strutturale dei due provvedimenti, ma anche perchè l’interesse
paesaggistico è funzionalmente differenziato da quello urbanistico (Sez. n, 3, n.
47331 del 16/11/2007, Minaudo, Rv. 238531).
Tale motivazione è adeguata e corretta alla luce dei principi giurisprudenziali
richiamati e, con riguardo alla censura in fatto, è insindacabile in sede di
legittimità.

5. L’impugnazione deve perciò essere dichiarata inammissibile. Tenuto conto
della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello
del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in Euro 1.500,00 ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 19/04/2016

grado). E’ poi corretta, anche, l’affermazione del provvedimento impugnato

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