Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27849 del 31/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27849 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Raso Eugenio, nato a Monte San Biagio il 20 aprile 1941
avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma del 5 ottobre 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
lette le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale Mario Pinelli, nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 31/03/2016

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 5 ottobre 2015, il Tribunale di Roma ha rigettato la
richiesta di riesame proposta dall’indagato avverso il decreto di sequestro preventivo
emesso dal Gip del Tribunale di Velletri il 10 agosto 2015, avente ad oggetto un’area
demaniale con annesse strutture, in relazione al reato di cui all’art. 1161 cod. nav.
2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, denunciando, in primo luogo, vizi della motivazione del provvedimento

soggetto che aveva richiesto regolare concessione demaniale.
Si lamenta – con un secondo motivo di doglianza – la violazione del principio del
ne bis in idem, per la mancata considerazione del fatto che l’indagato era già stato
giudicato in ordine allo stesso fatto un procedimento conclusosi con sentenza del 22
aprile 2010, relativo al reato di cui agli artt. 633 e 639 bis cod. pen.; reato dal quale
era stato assolto, perché era titolare di regolare concessione. E non sarebbe
condivisibile, sul punto, il rilievo del Tribunale secondo cui, trattandosi di un reato
permanente, la sentenza già pronunciata non coprirebbe le condotte successivamente
protrattesi.
In terzo luogo, il provvedimento impugnato è censurato quanto alla
determinazione dell’esatta estensione dell’area occupata, perché la stessa non
sarebbe stata maggiore di quella già occupata negli anni precedenti, come
risulterebbe dalla documentazione in atti.
Con memoria depositata in prossimità della camera di consiglio di fronte a
questa Corte, la difesa contesta la requisitoria scritta del procuratore generale
ribadendo che la domanda di concessione presentata dall’indagato era inclusa nel
novero di quelle dichiarate compatibili dal Comune con gli strumenti urbanistici. Con la
stessa memoria si lamenta anche l’insussistenza del periculum in mora e dell’elemento
soggettivo, ribadendo l’eccezione di violazione del principio del ne bis in idem.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché proposto al di fuori dei limiti fissati
dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Esso è infatti basato su censure che – al di là
della loro intestazione formale – non sono sostanzialmente riferite a violazioni di
legge, ma a pretesi vizi della motivazione circa la ricostruzione dei fatti. Le censure
sono, inoltre, del tutto generiche, perché basate su mere indimostrate asserzioni, del
tutto sganciate da puntuali riferimenti al tenore del provvedimento impugnato e agli
atti di causa.

impugnato, con riferimento all’elemento psicologico del reato in capo all’indagato,

Quanto alla prima doglianza del ricorrente, relativa all’elemento soggettivo del
reato, è sufficiente di rilevare che la stessa – oltre riferirsi a dati fattuali insindacabili
in questa sede – prende implicitamente le mosse dall’assunto, evidentemente erroneo
sul piano giuridico, secondo cui la mera presentazione della domanda di concessione
legittimerebbe l’istante all’occupazione del suolo demaniale.

E ciò, a prescindere

dall’ulteriore considerazione – sostanzialmente non contestata neanche con il ricorso
per cassazione – che la Regione Lazio aveva comunicato, con nota del 23 luglio 2015

contrario del Comune. Ne deriva – secondo la corretta valutazione del Tribunale – che
l’indagato, alla data del sequestro (10 agosto 2015), era perfettamente consapevole
dell’abusività della sua occupazione, avendo già ricevuto detta nota.
Del tutto generico risulta il secondo motivo di impugnazione, relativo alla
pretesa violazione del principio del ne bis in idem. La difesa non considera, infatti, che
l’odierna imputazione riguarda condotte poste in essere dopo la pronuncia della
sentenza del 22 aprile 2010, avente ad oggetto l’imputazione per il reato di cui agli
artt. 633 e 639 bis codice penale, trattandosi di un’occupazione abusiva che era in
essere al momento del sopralluogo da parte della polizia municipale e che si consuma
alla data del sequestro.
Risulta irrilevante, in tale quadro, la questione dell’estensione dell’area
occupata, oggetto del terzo motivo di doglianza, essendo pacifica la mancanza di
qualsivoglia titolo concessorio in capo all’indagato.
Parimenti inammissibili per genericità sono le considerazioni svolte da difesa
con la memoria depositata in prossimità della camera di consiglio davanti a questa
Corte. Le stesse si riferiscono, infatti, a profili che già sono stati oggetto dei motivi di
ricorso, oltre che alla pretesa insussistenza del periculum in mora, rispetto alla quale
la difesa non svolge alcuna specifica censura.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.500,00.
P.Q.M.

(k,

che l’istanza di concessione non avrebbe potuto essere accolta, preso atto del parere

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 31 marzo 2016.

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