Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27848 del 31/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27848 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Vitiello Giuseppe, nato a Torre Annunziata il 19 luglio 1956
avverso l’ordinanza del Tribunale di Brindisi del 12 ottobre 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
lette le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale Paola Filippi, nel senso del rigetto del ricorso.

Data Udienza: 31/03/2016

,
..

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 12 ottobre 2015, il Tribunale di Brindisi ha rigettato la
richiesta di riesame proposta dall’indagato avverso il decreto di sequestro preventivo
emesso dal Gip dello stesso Tribunale il 17 settembre 2015, avente ad oggetto un
impianto di cogenerazione elettrotermica alimentato da fonti rinnovabili, nonché opere
edilizie, in relazione ai reati di cui agli artt. 256, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 152
del 2006, 44, comma 1, lettera b) , del d.P.R. n. 380 del 2001, 181 del d.lgs. n. 42 del

2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, denunciando, in primo luogo, l’erronea applicazione dell’art. 256, comma
1, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006. Si contesta l’affermazione del Tribunale
secondo cui l’autorizzazione unica ambientale in base alla quale la società
dell’imputato aveva provveduto al recupero dei rifiuti non pericolosi non era efficace,
perché mai era stato adottato il provvedimento definitivo da parte dello sportello unico
delle attività produttive. Non si sarebbe considerato che la società dell’imputato aveva
manifestato la volontà di agire in regime di comunicazione, ai sensi dell’art. 216 del
d.lgs. n. 152 del 2006, regime che non richiede un provvedimento espresso da parte
dello sportello unico delle attività produttive a chiusura del procedimento. Troverebbe,
dunque, applicazione l’art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 59 del 2013, in forza del quale i
gestori degli impianti possono non richiedere l’autorizzazione unica ambientale quando
si tratti di attività soggette solo a comunicazione.
Con un secondo motivo di doglianza, si rileva l’erronea applicazione degli artt.
44 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 del d.lgs. n. 42 del 2004. Non si sarebbe
considerato che il vincolo paesaggistico risultante dal certificato di destinazione
urbanistica riguardava una minima parte del terreno e non la totalità dello stesso; con
la conseguenza che questo non interessava le costruzioni assentite con il permesso di
costruire e con la successiva denuncia di inizio attività n. 42985 del 2010, che sarebbe
stata resa efficace dal Comune in data 13 marzo 2013. Inoltre, il vincolo paesaggistico
sarebbe entrato in vigore solo con la delibera della Giunta regionale n. 176 del 16
febbraio 2015.
Si lamenta, in terzo luogo, che il Tribunale avrebbe considerato come non
precedentemente esistente una serra che si trova già sul luogo. Si contesta, inoltre
l’affermazione secondo cui il permesso a costruire n. 273 del 12 ottobre 2009 sarebbe
decaduto, in quanto la società non avrebbe mai chiesto una proroga. Tale circostanza
sarebbe smentita dalla richiesta di proroga depositata presso il Comune il 3 ottobre

2004.

2013. Si contesta, infine, l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata secondo
cui lo spostamento del cogeneratore sarebbe una variazione essenziale non assentitile
con d.i.a. Ad avviso della difesa, tale spostamento non incideva sui parametri
urbanistici e sulle volumetrie e non comportava modifica alla destinazione d’uso o alla
categoria edilizia, così da dover essere intesa come modifica non sostanziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché proposto al di fuori dei limiti fissati

della loro intestazione formale – non sono sostanzialmente riferite a violazioni di
legge, ma a pretesi vizi della motivazione circa la ricostruzione dei fatti. Le censure
sono, inoltre, del tutto generiche, perché basate su mere indimostrate asserzioni, del
tutto sganciate da puntuali riferimenti al tenore del provvedimento impugnato e agli
atti di causa.
Quanto alla prima doglianza del ricorrente, relativa alla mancata considerazione
del fatto che la sua società avrebbe operato in regime di comunicazione, ai sensi
dell’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2006 – regime che non richiede un provvedimento
espresso da parte dello sportello unico delle attività produttive a chiusura del
procedimento – è sufficiente qui rilevare che la difesa non ha neanche prospettato la
sussistenza in concreto dei presupposti per l’applicazione di tale regime, quale, in
particolare, il rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche di cui al
precedente art. 214, commi 1, 2 e 3, per l’esercizio delle operazioni di recupero dei
rifiuti (comma 1 del richiamato art. 216). Ed è lo stesso ricorrente ad ammettere di
aver esercitato l’attività di recupero di rifiuti in mancanza di autorizzazione, come
accertato nel provvedimento impugnato (pagg. 3-4, laddove si osserva che
l’autorizzazione unica ambientale non ha mai avuto efficacia).
Del pari generica – oltre che riferita a dati puramente fattuali, insindacabili in
questa sede – è la censura relativa alla pretesa insussistenza del vincolo
paesaggistico. La difesa non prospetta elementi idonei a smentire l’assunto del
Tribunale secondo cui, dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato il 12 ottobre
2011, l’area risultava sottoposta a vincolo paesaggistico fin dal 2000 e, dunque, prima
della realizzazione delle opere oggetto dell’imputazione. Ciò trova conferma, del resto,
nel fatto che nel permesso di costruire n. 273 del 2009 si dava atto del nullaosta da
parte del Ministero e della sovraintendenza ai fini del vincolo paesaggistico; nullaosta
che non avrebbe avuto ragione di essere, in mancanza di un tale vincolo.

dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Esso è infatti basato su censure che – al di là

Analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo di doglianza, nella parte in
cui esso si riferisce alla pretesa proroga dell’efficacia del termine di fine lavori indicato
nei permessi di costruire rilasciati, pur in mancanza di qualsivoglia comunicazione in
tal senso da parte del soggetto interessato al Comune. Quanto, infine, al titolo edilizio
che avrebbe dovuto consentire l’installazione dell’impianto di gestione dei rifiuti, la
difesa sostanzialmente non contesta l’affermazione del Tribunale secondo cui l’ultima
d.i.a. valida, quella del 13 ottobre 2010 era scaduta al momento dell’ultimazione delle

Tale difformità emerge dai rilievi fotografici, che evidenziano la mancanza delle serre
previste dal permesso di costruire del 2009 e di altre piantagioni alle quali avrebbe
dovuto essere finalizzato lo sfruttamento dell’energia prodotta dalla gestione dei
rifiuti.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 31 marzo 2016.

opere e in ogni caso si riferiva ad opere diverse da quelle effettivamente realizzate.

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