Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27845 del 12/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27845 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALBERGHINA MARCELLO N. IL 16/01/1970
avverso l’ordinanza n. 802/2012 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
14/06/2012
sent’ a la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCC I;
e/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 12/04/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Catania, con ordinanza del 14/6/2012,
rigettava la richiesta di riesame proposta da Alberghina Marcello avverso
l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. dello
stesso Tribunale in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990.
L’ordinanza ripercorreva l’andamento delle indagini, giungendo alla
conclusione della creazione di un consesso organizzato stabilmente dedito al

consolidata esperienza nel traffico di stupefacenti maturata da Alberghina
Marcello e Nocita Graziano.
Il Tribunale riteneva inverosimile la versione addotta a discolpa da
Alberghina e copioso il materiale probatorio a suo carico, così da ritenere che
egli, insieme ad Nocita Graziano, avesse promosso e diretto l’associazione,
organizzando e sovraintendendo alle periodiche operazioni di
approvvigionamento di stupefacente, gestendo i rapporti con i fornitori e
provvedendo alla cura e all’occultamento delle armi in disponibilità del gruppo.
Il Tribunale respingeva l’eccezione di ne bis in idem sollevata con riferimento
alla sentenza del G.I.P. Siracusa riguardante alcuni episodi, atteso che essi non
comprendevano la condotta associativa; riteneva infondata l’eccezione fondata
sul disposto dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., sostenendo l’impossibilità di
sollevarla davanti al Tribunale del riesame; osservava, comunque, che non era
possibile verificare se, al momento della richiesta di rinvio a giudizio per i reati
oggetto della prima ordinanza, fossero già presenti negli atti gli elementi per
emettere l’ordinanza cautelare oggetto del presente procedimento.
Con riferimento alla sproporzione della misura rispetto alle esigenze
cautelari, la estrema gravità del fatto e le modalità professionali della gestione
delle sostanze stupefacenti e i precedenti penali riportati anche specifici
dimostravano una spiccata capacità a delinquere, una significativa pericolosità
per l’ordine pubblico e un’inaffidabilità rispetto a regime cautelare meno gravoso.

2. Ricorrono per cassazione i difensori di Alberghina Marcello, deducendo la
violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. in relazione all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990
per l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine all’esistenza della
contestata associazione criminosa e alla partecipazione ad essa del ricorrente.
In realtà l’ordinanza cautelare e quella del Tribunale avevano accomunato
condotte di spaccio autonome e distinte al solo fine di ritenere l’esistenza di
un’associazione. In particolare Alberghina Marcello e Alberghina Vincenzo non
avevano mai collaborato nell’attività di commercio di sostanze stupefacente;

commercio di sostanze stupefacenti, avente disponibilità di armi, sorto dalla

inoltre l’arresto di Pastore Giuseppe ad Arezzo non poteva essere addebitato a
Alberghina e compreso nell’attività dell’associazione: Nocita e Pastore solo
casualmente avevano preso lo stesso aereo e, atterrati a Milano, ciascuno aveva
preso la sua strada.

In un secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 297, comma 3, cod.
proc. pen. e la mancanza di motivazione.
La seconda ordinanza era fondata sui medesimi fatti e, al momento della

di Procura, come dava atto lo stesso G.I.P. nella sua ordinanza. Gli elementi
erano, comunque, a disposizione al momento della presentazione della richiesta
di rinvio a giudizio e, al momento dell’emissione dell’ordinanza, i termini di
custodia cautelare erano già ampiamente decorsi.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata o,
comunque, per la declaratoria di inefficacia della misura cautelare.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato e si risolve, sostanzialmente, in una
censura in fatto.
Il Tribunale, con ordinanza ampia e niente affatto illogica, collega i vari
episodi di trasporto e commercio di sostanze stupefacenti e di detenzione di armi
per giungere a ritenere che Nocita Graziano e Alberghina Marcello, oltre a
svolgere professionalmente attività di commercio di sostanze stupefacenti,
avevano coinvolto anche altre persone, tra cui Alberghina Vincenzo, fratello di
Marcello, e Pastore Giuseppe, così da creare una vera e propria associazione per
delinquere dedita all’illecito traffico.
Le obiezioni a questa ricostruzione sono, appunto, in fatto e, comunque non
sembrano avere particolare forza: il ricorrente sostiene che i due fratelli
Alberghina gestivano separatamente i propri traffici di droga, senza fare cenno ai
colloqui in cui Vincenzo commenta la vicenda delle armi di cui si è occupato il
fratello o si preoccupa per l’arresto di Pastore Giuseppe, che sarebbe stato
inviato a Milano per approvvigionarsi di droga da Marcello; afferma, poi, che del
tutto casualmente Nocita e Pastore avevano viaggiato insieme sul volo aereo
Catania – Milano Linate del 24/9/2008, tralasciando l’osservazione presente
nell’ordinanza secondo cui, prima di tale viaggio, tra il ricorrente, Pastore e
Nocita vi era stata una serie di contatti telefonici.

2. Il tema della retrodatazione della misura cautelare ai sensi dell’art. 297,

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emissione della prima tutti gli elementi di accusa erano a disposizione dell’Ufficio

comma 3, cod. proc. pen. deve, invece, essere rivisto, risultando la motivazione
sostanzialmente mancante su punti essenziale della questione.

In primo luogo, la questione della proponibilità davanti al Tribunale del
riesame, della questione relativa all’applicabilità della retrodatazione di cui all’art.
297, comma 3, cod. proc. pen., oggetto di pronunce opposte di questa Corte, è
stata definitivamente risolta in senso affermativo dalle Sezioni Unite di questa
Corte che hanno affermato il principio secondo cui la questione può essere

seguenti condizioni: a) termine interamente scaduto, per effetto della
retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b)
desumibilità dall’ordinanza applicativa della misura coercitiva di tutti gli elementi
idonei a giustificare l’ordinanza successiva. (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012 dep. 20/11/2012, P.M. in proc. Polcino, Rv. 253549)
Il Tribunale del riesame, quindi, per fondare il rigetto della eccezione
sollevata dalla difesa del ricorrente, avrebbe dovuto verificare – e, in sede di
rinvio, dovrà verificare – se entrambe le condizioni sussistono, analizzando e
confrontando le due ordinanze cautelari.

Ciò premesso, il tema della retrodatazione deve essere ulteriormente
approfondito.
Come è noto, in conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n.
408 del 1995, la regola della retrodatazione disposta dall’art. 297, comma 3,
cod. proc. pen. opera anche per fatti diversi non connessi, quando risulti che gli
elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al
momento della emissione della precedente ordinanza; con riferimento ai fatti
diversi, la regola vale anche se l’imputato è stato condannato con sentenza
passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura (sent. Corte
Costituzionale n. 233 del 2011).

Nel caso in oggetto, il Tribunale dà atto che il reato oggetto della seconda
ordinanza (associazione per delinquere ex art. 74 T.U. stup.) è anteriore a quelli
oggetto della prima, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Siracusa, non essendo
stata ipotizzata la permanenza del reato associativo successivamente agli
arresti; inoltre, il Tribunale non sembra negare che i fatti descritti dalla seconda
ordinanza e posti a base del giudizio di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza
fossero già desumibili al momento della prima ordinanza: del resto l’intera
esposizione degli indizi contenuta nell’ordinanza oggi impugnata sembra derivare
dall’indagine della Procura di Siracusa (le dichiarazioni dei collaboratori di

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dedotta anche nel procedimento di riesame se ricorrono congiuntamente le

giustizia raccolte successivamente dalla D.D.A. di Catania paiono non avere per
oggetto il reato associativo, ma le condotte precedenti o successive alla sua
consumazione).

Si potrebbe sostenere che i reati afferiscono a procedimenti istruiti da
diversi uffici requirenti e approdati a uffici giudiziari diversi, ritenendo, quindi,
mancante il basilare requisito della pendenza dei due procedimenti davanti alla
stessa Autorità Giudiziaria.

assai rilevante: si è infatti affermato che non è applicabile la retrodatazione della
decorrenza dei termini di custodia cautelare, ex art. 297, comma 3, cod. proc.
pen., nel caso di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari disposte in
procedimenti diversi, pendenti davanti ad Autorità giudiziarie diverse, per fatti
differenti, tra i quali non sussista connessione qualificata, ex art. 12 comma 1,
lett. b) e c), cod. proc. pen., ove si tratti di procedimenti originati da distinte e
autonome notizie di reato, la cui separazione, pertanto, non consegua ad una
scelta strategica del P.M., e non sia configurabile il vincolo della continuazione
tra i singoli fatti sia pure omogenei (Sez. 2, n. 44381 del 25/11/2010 – dep.
16/12/2010, Noci, Rv. 248895); la rilevanza, per escludere la retrodatazione,
dell’origine da diverse notizie di reato pervenute al pubblico ministero a distanza
di tempo è sottolineata anche da Sez. 6, n. 17943 del 16/01/2007 – dep.
10/05/2007, P.M. in proc. Tomaselli, Rv. 236418.

Anche l’insegnamento delle Sezioni Unite contiene una riserva specifica: si è
infatti stabilito che, in tema di “contestazione a catena”, quando nei confronti di
un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze cautelari per fatti
diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione
prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli
atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima
ordinanza. Nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi
riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli
elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento
della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal
giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, solo se i due procedimenti
sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può
essere frutto di una scelta del pubblico ministero. (Sez. U, n. 14535 del
19/12/2006 – dep. 10/04/2007, Librato, Rv. 235909)
La necessità di una rigorosa motivazione sul punto è sottolineata da Sez. 5,
n. 39931 del 18/09/2009 – dep. 13/10/2009, Froncillo, Rv. 245380, che ha

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Effettivamente questa Corte ha stabilito il principio, ma con una precisazione

sottolineato la necessità di non frustrare le finalità dell’istituto preordinate ad
evitare contestazioni a catena atte a prolungare artificiosamente i termini di
custodia cautelare.

Il caso in esame coinvolge la questione del rapporto tra il reato associativo e
i reati fine posti in essere dall’associazione; ma – anche senza entrare nel tema
del legame giuridico tra le fattispecie – il tema della pendenza dei procedimenti
davanti a Uffici diversi merita di essere approfondito.

ordinanza applicativa di misura cautelare per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309
del 1990, trattandosi di reato di competenza distrettuale ai sensi dell’art. 51,
comma 3 bis, cod. proc. pen.. Ben potrebbe essere accaduto, quindi, che l’intero
fascicolo delle indagini preliminari pendente presso la Procura di Siracusa sia
stato trasmesso alla D.D.A. di Catania dopo l’emissione della prima ordinanza,
così permettendo l’emissione della seconda. Una traccia di tale passaggio
successivo è costituita dal numero del registro delle notizie di reato della D.D.A.
della Procura di Catania, che indica che l’iscrizione del reato è stata operata nel
2009.
La scelta della Procura di Siracusa avrebbe potuto essere differente: il
fascicolo delle indagini preliminari avrebbe potuto essere trasmesso alla D.D.A.
di Catania, ravvisandosi gli indizi del reato associativo, e quest’ultimo Ufficio
avrebbe potuto chiedere la misura cautelare sia per il reato associativo che per i
reati fine.

In ogni caso, nel caso i passaggi fossero quelli appena ipotizzati, se le
indagini compiute dalla D.D.A. di Catania prima di chiedere la misura cautelare al
proprio G.I.P. non avessero apportato elementi ulteriori significativi di
conoscenza in ordine all’esistenza dell’associazione diversi da quelli già contenuti
nel fascicolo delle indagini inviato dalla Procura di Siracusa, si dovrebbe negare
l’origine dei due procedimenti da “distinte e autonome notizie di reato”; di fatto,
l’apertura di una nuova indagine preliminare sarebbe pur sempre conseguenza di
una scelta del P.M. che, seppure non certo diretta a nuocere all’imputato,
risulterebbe oggettivamente dannosa per l’interesse dell’indagato al rispetto di
un unico termine di custodia cautelare.

L’ordinanza deve, quindi, essere annullata con rinvio al Tribunale di Catania,
che verificherà tempi, modi e contenuti della notizia di reato, l’esistenza di
eventuali nuove sopravvenienze probatorie ovvero la medesimezza dei dati presi
In esame nelle due sedi, applicando la retrodatazione di cui all’art. 297, comma

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La Procura e il G.I.P. di Siracusa non potevano chiedere ed emettere

3, cod. proc. pen. dopo tale analisi.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
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Catania.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.

Così deciso il 12 aprile 2013

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