Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27843 del 08/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27843 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da;
D’ALESSIO ARCANGELO N. IL 05/08/1987
avverso l’ordinanza n. 4439/2012 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
18/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
SANTALUCIA;
101e/sentite le conclusioni del PG Dott.

5NN

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 08/04/2013

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Napoli ha sostituito la misura degli arresti domiciliari con
quella della custodia cautelare in carcere inizialmente applicata ad Arcangelo D’Alessio dal
giudice per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale con provvedimento del 18 aprile
2012, in ordine al reato di illegale detenzione, in concorso con Michele Barone, di una pistola
cal. 7,65 con più di cento proiettili, reato commesso in Lusciano nel settembre 2009.
Il Tribunale, quanto agli elementi di gravità indiziaria, ha fatto riferimento alle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Michele Barone, che riferì di aver venduto al

a forma di penna, che spara un colpo alla volta, in cambio della somma di C 550,00.
Il Tribunale ha quindi fatto richiamo, quale elemento di riscontro individualizzante, alle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Laiso, il quale raccontò che il suo ex
cognato Michele Barone, affiliato al clan camorristico di Francesco Diana, si era appropriato,
dopo il pentimento del Diana, di alcun beni di quest’ultimo, tra cui una pistola cal. 7,65, che
aveva venduto ad Arcangelo D’Alessio e che era stata a questi consegnata materialmente da
tale Alessandro Abbamundo. Aggiunse che aveva avvicinato il D’Alessio con l’intenzione di
acquistare la pistola che lui aveva ricevuto dal Barone, ma che l’affare poi non si era concluso.
Il Tribunale ha poi precisato che l’affidabilità ed attendibilità intrinseca del contributo dei
menzionati collaboratori di giustizia sono state già sperimentate in altri procedimenti, in cui le
loro dichiarazioni hanno trovato conferma.
Per quel che attiene alle esigenze cautelar’, il Tribunale del riesame ha messo in
evidenza il pericolo di reiterazione criminosa, desumibile dalle concrete modalità del fatto e
dalla prossimità all’ambiente criminale, di camorra, cui apparteneva il Barone.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso Arcangelo D’Alessio, deducendo:
violazione di legge e difetto di motivazione. Il Tribunale del riesame, così come
anche il giudice per le indagini preliminari, ha errato nel valutare in termini di
gravità indiziaria le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Michele Barone e
Salvatore Laiso. Costoro, infatti, hanno reso dichiarazioni generiche e non
spontanee e, in aggiunta, non sostenute da riscontri individualizzanti. Esse
peraltro divergono in ordine ad alcuni aspetti della vicenda, e specificamente in
ordine al (presunto) prezzo pagato per l’acquisto, alle modalità di consegna, e
al numero (presunto) di armi acquistate.
Difetto di motivazione in ordine al giudizio di sussistenza delle esigenze
cautelari, specie alla luce del fatto che il ricorrente è persona incensurata e
senza alcuna pendenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati per le ragioni di seguito esposte.
Quanto al giudizio di gravità indiziaria il Tribunale ha posto in evidenza che le
dichiarazioni di Michele Barone hanno concretizzato una chiamata in correità, e sono quindi
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ricorrente, nel settembre del 2009, una pistola cal. 7,65 con più di cento proiettili e una pistola

ragionevolmente ritenute di maggiore affidabilità, appunto perché il dichiarante ha al contempo
ammesso le sue penali responsabilità per il fatto narrato. Le divergenze tra il racconto del
Barone e quello del Laiso non attengono al nucleo centrale della vicenda e afferiscono a profili
marginali nell’indicazione del fatto attribuito al ricorrente. Le due dichiarazioni, al di là del
generale giudizio di affidabilità intrinseca fondato sull’osservazione che in altri processi è stata
utilmente sperimentata, sono in relazione di reciproco riscontro, non compromesso, per le
ragioni già dette, dalle marginali diversità.

delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura applicata (fl. 2).
L’assenza di carenze motivazionali, o di manifeste illogicità, rende il ricorso inammissibile, con
conseguente condanna del ricorrente alle spese e a una somma, che si reputa equa nella
misura di C 1000,00, in favore della Cassa delle ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di
carenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità secondo l’orientamento
espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’8 aprile 2013.

L’ordinanza impugnata, inoltre, ha dato adeguata motivazione al giudizio di sussistenza

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