Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27841 del 30/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27841 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ndiaye Fallou, nato in Mali il 15/06/1987,

avverso la sentenza del 16/09/2015 del Giudice per l’udienza preliminare del
Tribunale di Genova;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Luigi Birritteri, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 16/09/2015 resa ai sensi degli artt. 444 e segg., cod.
proc. pen., il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Genova ha
applicato, nei confronti del sig. Ndiaye Fallou, la pena concordata di tre anni e
otto mesi di reclusione e 14.000,00 euro di multa per il reato continuato di
acquisto, a fine di cessione a terzi, di 50 grammi di sostanza stupefacente del

Data Udienza: 30/03/2016

tipo cocaina e resistenza a pubblico ufficiale di cui agli artt. 81, cpv., 337, cod.
pen., 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso in Genova il
17/04/2015.

2.Propone ricorso per cassazione l’imputato chiedendo l’annullamento della
sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 129, cod. proc. pen. e vizio
di motivazione in ordine alla sua ritenuta responsabilità e alla confisca della

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.11 ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.

4. Ricorda la Suprema Corte che, secondo un ormai consolidato principio,
«facendo richiesta di applicazione della pena, l’imputato rinuncia ad avvalersi
della facoltà di contestare l’accusa, o, in altri termini, non nega la sua
responsabilità ed esonera l’accusa dall’onere della prova; la sentenza che
accoglie la detta richiesta contiene, quindi, un accertamento ed un’affermazione
impliciti della responsabilità dell’imputato, e pertanto l’accertamento della
responsabilità non va espressamente motivato, così come l’affermazione di
responsabilità non va espressamente dichiarata» (Sez. U, n. 5777 del
27/03/1992, Di Benedetto). Di conseguenza, «la motivazione della sentenza
che applica la pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 comma secondo
cod. proc. pen. si esaurisce in una delibazione ad un tempo positiva e negativa.
Positiva a quanto all’accertamento: 1) della sussistenza dell’accordo delle parti
sull’applicazione di una determinata pena; 2) della correttezza della
qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione
delle eventuali circostanze; 3) della congruità della pena patteggiata, ai fini e nei
limiti di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.; 4) della concedibilità della
sospensione condizionale della pena, qualora l’efficacia della richiesta sia stata
subordinata alla concessione del beneficio. Negativa quanto alla esclusione della
sussistenza di cause di non punibilità o di non procedibilità o di estinzione del
reato. Le delibazioni positive debbono essere necessariamente sorrette dalla
concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di diritto, mentre, per quanto
riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna delle ipotesi previste
dall’art. 129 cod. proc. pen., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per
la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle
dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla non ricorrenza
delle suindicate ipotesi. In caso contrario, è sufficiente la semplice enunciazione,
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somma di C 2.500,00 reperita nella propria abitazione.

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anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica richiesta dalla
legge e cioè che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen..» (Sez. U, Di Benedetto, cit.)
4.1.Unico dovere indeclinabile del giudice resta perciò quello di
«esaminare, prima della verifica dell’osservanza dei limiti di legittimità della
proposta di pena concordata, gli atti del procedimento al fine di riscontrare
l’eventuale esistenza di una qualsiasi causa di non punibilità, la cui operatività,
giustificando il proscioglimento dell’imputato e creando un impedimento assoluto

delle parti. Tale operazione preliminare consiste in una ricognizione allo stato
degli atti, che può condurre a una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art.
129 cod. proc. pen. soltanto se le risultanze disponibili rendano palese l’obiettiva
esistenza di una causa di non punibilità, indipendentemente dalla valutazione
compiuta dalle parti e senza la necessità di alcun approfondimento probatorio e
di ulteriori acquisizioni» (Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, Messina).
4.2.Nel caso di specie, il ricorrente si limita ad affermare assai
genericamente che il Giudice non ha valutato la possibilità di proscioglierlo ai
sensi dell’art. 129, cod. proc. pen., ma nel far ciò omette del tutto di indicare
quali, tra gli atti di indagine che il G.u.p. ha espressamente indicato ed
analiticamente illustrato nel loro contenuto e nella loro valenza probatoria della
positiva affermazione della responsabilità dell’imputato, dimostrino in modo
palese l’innocenza di questi o quali ulteriori specifici indicatori dell’evidenza di
tale innocenza siano stati negletti.
4.3.La natura “negoziale” dell’accordo, una volta correttamente ratificato dal
giudice nei termini sopra indicati, inibisce alla parte di proporre ricorso per motivi
concernenti la misura della pena, a meno che si versi in ipotesi di pena illegale
(Sez. 3, n. 18735, del 27/03/2001, Ciliberti; m. 219852; Sez. 3, n. 10286 del
13/02/2013, Matteliano), ipotesi certamente da escludere nel caso in esame.

5.E’ generica ed infondata anche la censura relativa alla confisca della
somma di danaro, correttamente disposta in applicazione dell’art. 12-sexies,
comma 1, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 1992, n. 352.
5.1.11 Giudice, infatti, ha dato ampiamente conto dei presupposti di
applicabilità della confisca (il reato per il quale all’imputato è stata applicata la
pena, il lavoro di venditore ambulante da lui svolto, la sproporzione della somma
detenuta rispetto all’attività predetta) la cui sussistenza materiale non è affatto
messa in discussione dal ricorrente che si limita, invece, ad eccepire in modo del
tutto generico, quanto infondato, la mancanza di motivazione sul punto e ad
opporre vaghe considerazioni sulla possibile lecita provenienza della somma.
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all’applicazione della sanzione, è necessariamente sottratta ai poteri dispositivi

5.2.Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte,
infatti, l’accertata sproporzione tra guadagni (desumibili dal reddito dichiarato ai
fini delle imposte e/o dall’attività lecitamente svolta) e patrimonio genera una
presunzione (iuris tantum) di illecita accumulazione patrimoniale, che può essere
superata dall’interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle
quali si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto
acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e,
quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (Sez. 2, n.

Marzio, Rv. 253816; Sez. 1, n. 25728 del 05/06/2008, Rv. 240471).
5.3.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che
si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 30/03/2016.

29554 del 17/06/2015, Fedele, Rv. 264147; Sez. 6, n. 45700 del 20/11/2012, Di

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