Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2784 del 04/12/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 2784 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: BLAIOTTA ROCCO MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) CRIVELLO ALESSANDRO N. IL 03/07/1984
2) CRIVELLO BENEDETTO N. IL 06/09/1951
3) MURATORE GRAZIA TERESA N. IL 06/07/1959
avverso la sentenza n. 400/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
15/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA
Udito il Procuratore Generale in_persona del Dott.
che ha concluso per i-e 22, et; 44′ 2″° 24i. •

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditoidifensor Avv. /Ce/e/141; ma I
o_24″ 1;

Data Udienza: 04/12/2012

6 crivello +2

Motivi della decisione
1. A seguito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Palermo ha affermato la
responsabilità di Crivello Lorenzo e Muratore Grazia in ordine al reato di cui all’art. 73
del d.P.R. n. 309 del 1990, con l’attenuante di cui al quinto comma dello stesso art.
di Crivello Alessandro e Crivello Benedetto.
A seguito di appelli dell’accusa pubblica e delle difese, la Corte d’appello di
Palermo ha dichiarato la nullità della sentenza limitatamente all’omessa pronunzia in
ordine al reato di coltivazione di stupefacenti; ha escluso per Muratore l’attenuante e,
concesse attenuanti generiche, ha rideterminato la pena; ha affermato la
responsabilità di Crivello Alessandro; ha per il resto confermato la sentenza del
Tribunale.
L’imputazione attiene alla detenzione di marijuana custodita in varie parti
dell’abitazione occupata dagli imputati, componenti del medesimo nucleo familiare;
nonché alla coltivazione di canapa indiana in un appartamento contiguo.
Ricorrono per cassazione gli imputati.
2. Crivello Alessandro deduce quattro motivi.
2.1 Con il primo si espone che l’omessa pronunzia sulla coltivazione non era
stata dedotta ín appello dal Procuratore generale e sul punto si era formato il
giudicato, che è stato violato dalla sentenza di annullamento.
2.2 Con il secondo motivo si assume che non vi è prova che il Tribunale non si
sia pronunziato sulla coltivazione, essendosi in presenza di condanna unitaria afferente
ad un unico capo d’imputazione.
2.3 Con il terzo motivo si deduce violazione di legge per aver acquisito, in
appello, una consulenza esperita dall’accusa pubblica e per aver escusso i tecnici
accertatori senza neppure disporre perizia al fine di assicurare il contraddittorio. Tale
atto viola la disciplina del giudizio abbreviato.
2.4 Si lamenta, infine, che la consulenza tecnica è stata acquisita non già per
esigenze decisorie, ma per corroborare l’ipotesi accusatoria.

73 nei confronti della donna; ed ha invece adottato pronunzia assolutoria nei confronti

3. Crivello Benedetto ricorre proponendo due motivi sovrapponibili ai primi due
esposti da Crivello Alessandro.
4. Muratore Grazia ricorre proponendo tre motivi. I rimi due corrispondono ai
primi due di Crivello Alessandro.
4.1 Con il terzo motivo si lamenta che l’appello del Procuratore generale non
era consentito per dolersi della pena: era solo consentito proporre ricorso per
profilo di legittimità. Tuttavia, la Corte ha errato nel ritenere l’ammissibilità
dell’impugnazione, atteso che essa proponeva questioni di fatto afferenti alla lieve
entità della pena. L’atto, tra l’altro, erra nel ritenere che sia stata provata la
detenzione di ecstasy, fatto che è stato escluso dal giudice di merito. La sentenza
d’appello ha quindi violato il divieto di reformatio in peius e trascura pure che il
Tribunale ha affermato la responsabilità solo per la droga detenuta indosso,
trasformando un’impugnazione sulla pena in un’impugnazione sulla responsabilità.
5. I ricorsi sono infondati.
5.1 La sentenza impugnata rileva che la contestazione riguarda anche la
coltivazione di canapa sulla quale il primo giudice non ha adottato alcuna statuizione.
Si tratta di condotta distinta, anche se inserita in un capo d’imputazione unitario, in
ordine alla quale non è stata irrogata alcuna sanzione. In conseguenza, la sentenza è
stata per tale parte annullata con rinvio al Tribunale di Palermo.
Tale statuizione è immune da censure. L’esame del capo d’imputazione
consente di rilevare che l’accusa riguarda il reato di cui agli artt. 99, 110 c.p. e 73 del
richiamato d.P.R. n. 309, afferente da un lato alla detenzione di hashish e marijuana
sequestrata nell’abitazione e nella disponibilità dei diversi imputati; e dall’altro alla
coltivazione di numerose piante di marijuana all’interno di serre poste in un
appartamento al terzo piano dello stesso stabile in cui si trovava l’abitazione dei
ricorrenti.
D’altra parte, la prima sentenza dà conto del fatto che nell’appartamento al
terzo piano era in atto la coltivazione in grande scala di canapa. Tuttavia, nell’esame
delle singole posizioni si considera che Crivellaro Lorenzo si è assunta la responsabilità
in ordine alla detenzione dell’intero compendio rinvenuto in casa (mg. 3.250); ha
soggiunto che non vi erano i presupposti probatori per ascrivere la detenzione
dell’intero agli altri familiari; ha conseguentemente affermato la responsabilità della
sola Muratore per il piccolo quantitativo che deteneva indosso; ha infine assolto gli
altri imputati.

cassazione. La Corte d’appello ha convertito il ricorso in appello esaminandolo sotto il

Né nella parte relativa alla ricostruzione dei fatti né in quella afferente alla
determinazione delle sanzioni si fa alcun cenno alla distinta e ben rilevante
imputazione afferente alla cospicua coltivazione di cui si è detto. Dunque,
correttamente si è tratta la conclusione che su tale parte dell’accusa sia mancata
alcuna determinazione, con il conseguente annullamento parziale, e rinvio al Tribunale
per quanto di competenza al riguardo. Invero questa Corte ha ripetutamente
enunciato il condiviso principio che, nel caso in cui il giudice di primo grado abbia
omesso di decidere su alcuni capi di imputazione, il giudice d’appello deve dichiarare la
mancata la pronunzia, e decidere nel merito sugli eventuali altri capi (Da ultimo, Cass.
II, 13 febbraio 2008, Rv. 239549). Dunque i ricorsi proposti al riguardo da tutti gli
imputati sono privi di pregio.
5.2 Quanto alle posizione della Muratore, la Corte d’appello dà atto
preliminarmente che il gravame del Procuratore generale deduce che l’intero
compendio si trovava nella detenzione concorsuale di tutti i familiari e
conseguentemente si configura la responsabilità di tutti i familiari, con conseguente
esclusione dell’attenuante di cui al quinto comma dell’art. 73 nei confronti della
Muratore.
Per ciò che attiene alla posizione della donna, la Corte considera altresì che il
ricorso per cassazione è convertito in appello ai sensi dell’art. 580 cod. proc. pen. Si
aggiunge che in tal caso i poteri della Corte di merito attengono alla legittimità e va
conseguentemente investigata l’esistenza di alcuno dei vizi di cui all’art. 606 cod. proc.
pen. Una volto risolto il giudizio rescindente, il giudice riprende la funzione propria di
giudice di merito.
Tale enunciazione in diritto è corretta. Invero, questa Corte ha affermato
ripetutamente il condiviso principio che in tema di giudizio abbreviato, quando
l’imputato propone appello contro la sentenza di condanna, l’eventuale ricorso per
cassazione proposto dal pubblico ministero si converte in appello in applicazione
dell’art. 580 cod. proc. pen., ma conserva la propria natura di impugnazione di
legittimità. Ne consegue che la Corte di appello deve sindacarne l’ammissibilità
secondo i parametri dell’art. 606 cod. proc. pen., ed i suoi poteri di cognizione sono
limitati alle censure di legittimità. Tuttavia, una volta che ritenga fondata una di dette
censure, la Corte riprende la propria funzione di giudice del merito e può adottare le
statuizioni conseguenti, senza necessariamente procedere in via formale
all’annullamento della pronuncia di primo grado. Il principio è stato affermato proprio
In una fattispecie nella quale la Corte di merito, in accoglimento del motivo di ricorso
del P.M. di erronea applicazione del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n.
309, aveva rivalutato in fatto la sussistenza dell’attenuante della fattispecie di lieve
entità, escludendola alla luce del principio di diritto adottato e dunque riformando la

A

nullità della sentenza impugnata limitatamente ai capi di imputazione sui quali è

sentenza di primo grado in senso sfavorevole all’imputato. (Cass. VI, 25 settembre
2002, Rv. 223788 e numerose altre successive). Quanto ai profili di legittimità si
assume che, come dedotto, si configura violazione di legge e travisamento della prova
del fatto, avendo il primo giudice omesso di considerare la complessiva gravità del
fatto e l’intero compendio cui esso si riferiva. Infatti, non vi è dubbio che la donna
desse un volontario, consapevole contributo, insieme al marito, nell’intera attività
delittuosa, come documentato eloquentemente dal gesto di tentare di nascondere una
annotazione con nomi e cifre che deteneva insieme ad un piccolo quantitativo di
effetto dell’esclusione dell’indicata attenuante. Pure tale apprezzamento è immune da
censure essendosi argomentatamente riesaminato il fatto, nei termini sopra indicati,
dopo aver esaurito il giudizio rescindente.
Va infine aggiunto, per completezza, che, contrariamente a quanto dedotto, i
giudici di merito non hanno mai fatto riferimento ad illeciti afferenti alla detenzione di
ecstasy.
5.3 Infine, quanto a Crivello Alessandro si argomenta che sotto il suo letto è
stato rinvenuto uno zaino contenente parte della droga; che la soglia della mera
connivenza è superata alla stregua della riscontrata presenza di impronte digitali
sull’involucro interno e non su quello esterno di alcune dosi di droga. Non vi è quindi
dubbio in ordine al concorso nella manipolazione delle dosi in questione. Le prove
dattiloscopiche sono state d’altra parte acquisite ai sensi dell’art. 603 c.p.p., essendo
necessarie ai fini del decidere.
Pure tale apprezzamento è immune da censure sotto ogni riguardo. Questa
Corte (Cass. I, 26 aprile 2010, rv. 248011) ha invero affermato il condiviso principio
che, qualora, nel giudizio abbreviato, celebrato in appello a seguito di impugnazione
del P.M. avverso decisione assolutoria, il giudice, valendosi dei suoi poteri officiosi,
anche se sollecitati dalla parte pubblica, abbia disposto nuovi mezzi istruttori
potenzialmente pregiudizievoli alla posizione dell’imputato, sussiste, a suo carico,
l’obbligo di far seguire l’ammissione anche delle eventuali

prove contrarie, che

possono non essere assunte solo ove si rivelino superflue o irrilevanti. Nella specie, in
cui si era dato ingresso in appello &luna prova dichiarativa ritenuta inutilizzabile dal
giudice di primo grado e costituente l’unico elemento posto a fondamento della
condanna, la Corte ha ritenuto illegittimo il rigetto della richiesta dell’imputato di
prova contraria, genericamente motivato con l’argomento che le prove raccolte
sarebbero state ampiamente sufficienti all’adozione della decisione. Se ne desume che
la prova è in ogni caso ammissibile, dovendosi solo eventualmente dare ingresso alla
prova contraria. Nel giudizio in esame non consta che l’imputato si sia avvalso di tale
facoltà producendo, ad esempio, una propria contraria consulenza sulle impronte

stupefacente. In conseguenza la pena è stata rideterminata in misura più severa per

rilevate. La perizia, d’altra parte, costituisce atto neutro in tutto governato
dall’iniziativa officiosa del giudice, non riconducibile all’ambito della “prova contraria”.
I ricorsi vanno conseguentemente rigettati. Segue per legge la condanna al
pagamento delle spese processuali.

P qm

Roma 4 dicembre 2012

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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