Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27837 del 08/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27837 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NASONE GIOIA VIRGILIA GRAZIA N. IL 03/01/1944
avverso l’ordinanza n. 606/2012 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 20/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
SANTALUCIA;
lotte/se tite le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 08/04/2013

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza del 27 giugno
2012 con cui il giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale ha applicato a Gioia
Virgilia Grazia Nasone la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art.
416-bis c.p., per aver fatto parte dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta e in
particolare della cosca “Nasone-Gaietti” operante in Scilla (RC), con il ruolo di assicurare le
comunicazioni tra gli associati, di inviare messaggi anche a soggetti detenuti, di partecipare
alle riunioni ed eseguire le direttive dei vertici dell’associazione impartite anche dal carcere.
Gaietti” e della sua operatività, tratti anche da sentenze di condanna irrevocabili, il Tribunale
ha preso in considerazione la posizione di Gioia Virgilia Grazia Nasone e ha richiamato il
contenuto del provvedimento di fermo del 29 maggio 2012, in particolare nella parte in cui in
esso sono stati analizzati i colloqui carcerari intrattenuti da Giuseppe Fulco, esponente di
spicco della cosca e detenuto per un fatto estorsivo, con i familiari e, per quel che ora più
interessa, con la madre, e cioè con l’odierna ricorrente. Da tali colloqui sono emersi gli
elementi di gravità indiziaria nei confronti della ricorrente, che all’interno del gruppo criminale
gode di personale prestigio per essere la sorella di Giuseppe Nasone cl. 38, precedente vertice
storico della cosca, tanto da poter convocare Francesco Nasone, soggetto attualmente in
posizione apicale all’interno del sodalizio, per ricordargli di adempiere i suoi doveri.
In seguito all’arresto del figlio, ella si è occupata sia dei collegamenti informativi con il
gruppo criminale, ed in particolare si è fatta latrice di importanti e delicati messaggi agli adepti
del gruppo; sia della riscossione e della gestione dei soldi dati da vari soggetti, a titolo
estorsivo, al figlio, avendo cura di prendere nota dettagliata dei nominativi ma in modo tale da
eludere eventuali controlli delle Forse dell’ordine. Nel corso dei colloqui la ricorrente ha
mostrato di essere a conoscenza dei rapporti interni al gruppo criminale, delle attività illecite
poste in essere e di essere in grado di discutere con il figlio delle scelte operative volte alla
prosecuzione delle attività criminose e al mantenimento del gruppo. A giudizio del Tribunale
del riesame gli elementi indiziari delineano a carico di Gioia Virgilia Grazia Nasone una
partecipazione associativa o, comunque, una contribuzione di concorso eventuale nel fatto
associativo
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to Ciccone, Gioia
Virgilia Nasone, deducendo:
difetto di motivazione. Il Tribunale, nel valutare i risultati delle intercettazioni
dei colloqui della ricorrente con il figlio detenuto è incorso in gravi
contraddizioni. Ha desunto il carisma criminale della ricorrente dal fatto che
fu nelle condizioni di convocare Francesco Nasone, posto al vertice della
cosca, ma ha contestualmente affermato che il detto prestigio trova
fondamento nel rapporto di parentela della ricorrente con il medesimo
Francesco Nasone. Il Tribunale, ancora, ha desunto illogicamente la gravità
2

Dopo aver indicato gli elementi a dimostrazione dell’esistenza della cosca “Nasone-

indiziaria della partecipazione associativa della ricorrente da altri passi dei
colloqui, da cui si trae soltanto la preoccupazione di una madre per lo stato
detentivo del figlio in assenza di una qualsivoglia consapevolezza circa
eventuali ruoli ricoperti dal figlio stesso all’interno della ipotizzata compagine
criminale. Ancora, il Tribunale ha illogicamente valorizzato brani dei colloqui
in cui la ricorrente ha scambiato con il figlio nulla più che pettegolezzi aventi
ad oggetto i presunti responsabili di fatti di danneggiamento e di incendi
dolosi avvenuti nel territorio di Scilla. Illogicamente il Tribunale ha concluso

persone in favore di Giuseppe Fulco e ricevute dalla di lui madre, appunto la
ricorrente, perché invero si è trattato di modeste quantità di denaro,
consegnate con intento di solidarietà amicale per consentire al Fulco di
superare il grave momento di difficoltà segnato dallo stato di detenzione. Ma,
se anche si fosse trattato di consegne estorsive, il Tribunale avrebbe dovuto
spiegare perché mai il ricevere, per conto del figlio, tali somme divenga
elemento indiziante della partecipazione associativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
r

Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
La motivazione del provvedimento impugnato è adeguata e giustifica logicamente la
decisione di conferma del provvedimento applicativo della misura cautelare carceraria.
Non v’è alcuna contraddizione logica nell’affermare che la ricorrente avesse una
posizione di preminenza in ordine alla contestata associazione criminale sia per i rapporti di
parentela con Francesco Nasone, posto al vertice del gruppo associativo, che per il fatto,
assolutamente coerente sul piano logico, che fu in grado di convocare lo stesso Francesco
Nasone, capo e al contempo parente della ricorrente, alla quale, all’evidenza, consente una
buona dose di confidenza di rapporti.
Non è poi necessario, sul piano della consequenzialità logica dell’argomentare, revocare
in dubbio che la ricorrente, nel corso dei colloqui intercettati, si mostrasse sinceramente
preoccupata per lo stato di detenzione del figlio. L’esistenza di un rapporto parentale ed
affettivo, come quello tra madre e figlio, non impedisce però di scorgere, ove sussistenti,
ulteriori ragioni di cointeressenza, nel caso di specie di natura criminale, e che sono rinvenibili
nel fatto che la ricorrente si premurò di recare al figlio detenuto messaggi e informazioni su
quanto accadeva sul territorio di operatività del gruppo criminale di asserita appartenenza, e
soprattutto nel fatto che ella si occupò di riscuotere e gestire il denaro che alcune persone
versarono in favore di suo figlio detenuto. L’ipotesi prospettata dalla difesa, che si trattasse di
piccole donazioni espressive di solidarietà disinteressata in favore del Fulco, oltre che poco
plausibile, non è sostenuta da alcun dato di fatto, ed è invece assai più coerente con il
complessivo tessuto motivazionale, leggere tale dato come segno inequivoco della posizione
3

per il carattere estorsivo delle occasioni elargizioni di denaro fatte da alcune

•,

criminale associativa ricoperta dal Fulco e dalla ricorrente che, in assenza del figlio, lo sostituì
nell’importante ruolo della riscossione, peraltro avendo cura di redigere un’accurata contabilità,
ulteriore segno della scarsa plausibilità dell’ipotesi delle donazioni di solidarietà. È pur vero che
il mero dato della riscossione di somme di denaro, con ogni probabilità consegnate a titolo
estorsivo, non è di per sé elemento significativo dell’appartenenza al gruppo criminale; ma il
dato, già dotato di una sua intrinseca significatività, non è isolato ma concorre con altri, come
sopra esposto, a delineare un apparato di gravità indiziaria.
pagamento delle spese processuali. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art.
94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p.

Così deciso 1’8 aprile 2013.

Il ricorso deve allora essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al

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