Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27817 del 12/05/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27817 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– DONADEI SILENIA, n. 24/07/1977 a Galatina

avverso la sentenza della Corte d’appello di LECCE in data 26/11/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.S. Spinaci, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite, per la ricorrente, le conclusioni dell’Avv. G. Gennaccari in sostituzione
dell’Avv. C. Solinas, che ha insistito nell’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 12/05/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 26/11/2014, depositata in data 7/07/2015, la
Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del locale tribunale del
10/10/2013, con cui DONADEI SILENIA è stata ritenuta colpevole del delitto di
cui all’art. 2, legge n. 638 del 1983, per aver omesso il versamento dei contributi

un importo complessivo di C 58.989,00, condannandola alla pena di mesi 6 di reclusione ed C 600,00 di multa, ritenuta la continuazione tra i reati ascritti.

2. Ha proposto ricorso DONADEI SILENIA a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce due motivi, di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.
att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce la ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui alla lett. b), c) ed e)
dell’art. 606 cod. proc. pen., per violazione degli artt. 81, cpv., cod. pen. e 186,
disp. att. cod. proc. pen. e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione.
In sintesi la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente, la Corte d’appello ha respinto la richiesta di riconoscere la continuazione
tra i fatti di cui al decreto penale di condanna emesso il 16/03/2011 dal GIP del
tribunale di Lecce e quelli per cui si procede, non avendo assolto la ricorrente
all’onere di allegazione della copia del predetto decreto penale, precisando che la
semplice lettura del casellario giudiziale non dava contezza della mensilità
dell’accertamento svolto nel gennaio 2007 e soprattutto se si trattasse della
stessa ditta di cui la ricorrente era amministratore unico; si tratterebbe di motivazione censurabile ed in violazione di legge, richiamando la giurisprudenza di
questa Corte che ritiene insussistente detto onere, in quanto il giudice dovrebbe
attivare il proprio potere ufficioso ex art. 186 disp. att. cod. proc. pen.; a fronte
di un motivo di appello specifico e puntuale, la Corte d’appello avrebbe illogicamente motivato, ritenendo che la ricorrente non avrebbe sostenuto la natura
comune dei fatti – reato, finalità e modalità operative che avrebbero contraddistinto e informato le condotte contra legem.

2.2. Deduce la ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui alla lett. b) ed e)
dell’art. 606 cod. proc. pen., per violazione dell’art. 2, d.l. n. 463 del 1983 conv.

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previdenziali ed assistenziali per i periodi meglio specificati nell’imputazione, per

in legge n. 638 del 1983, e correlato vizio di manifesta illogicità della motivazione.
In sintesi la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene la ricorrente, la Corte d’appello, pur avendo ritenuto assolutamente necessaria ai fini
della decisione l’acquisizione della documentazione relativa a diverso procedimento, in cui la ricorrente appariva vittima del reato di usura commesso ai suoi

sita che era finalizzata a dimostrare che il mancato versamento delle somme
all’INPS ra conseguenza della grave crisi di liquidità in cui versava la ricorrente e
la società dalla stessa amministrata, essendo la ricorrente indicata nel capo g)
dell’imputazione relativa al diverso procedimento come soggetto che si trovava
in “stato di bisogno, esercente attività imprenditoriale”; sul punto, vi sarebbe
quindi vizio motivazionale, non avendo la Corte d’appello motivato
sull’adeguatezza o inconsistenza delle risultanze documentali pur ritenute assolutamente necessarie ai fini della decisione.
La sentenza della Corte d’appello avrebbe poi erroneamente applicato l’art. 2,
legge n. 638 del 1983, sotto il profilo della sussistenza del dolo generico, in
quanto l’esistenza della crisi acuta di liquidità integra un’ipotesi di incapacità di
adempiere escludendo il dolo richiesto dalla norma; non potrebbe valorizzarsi in
senso contrario l’esistenza di un implicito obbligo di gestione delle risorse, finendosi per rimproverare un comportamento colposo inidoneo ad integrare il dolo
richiesto dalla norma per la configurabilità del reato de quo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

4. Ed invero, quanto al diniego del riconoscimento del vincolo della continuazione, ritiene il Collegio di dover dare continuità all’orientamento giurisprudenziale
più recente secondo cui davanti al giudice della cognizione la parte che invoca
l’applicazione della disciplina del reato continuato ha l’onere di produrre la copia
della decisione irrevocabile rispetto alla quale viene richiesta l’applicazione del
disposto dell’articolo 81 codice penale, ciò al fine di consentire al giudice di valutarne la idoneità dimostrativa della unicità del disegno criminoso. In particolare,
si è affermato che l’imputato che nel giudizio di cognizione chiede il riconoscimento della continuazione fra i reati oggetto del processo e reati già giudicati,
non può limitarsi ad indicare gli estremi delle sentenze rilevanti a tal fine, ma ha
l’onere di produrre copia delle stesse, non essendo applicabile in via analogica la
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danni dal 2003 al marzo 2012, non avrebbe poi motivato sulla prova così acqui-

disposizione di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen. dettata per la sola fase
esecutiva (Sez. 5, n. 9277 del 17/12/2014 – dep. 03/03/2015, Infantolino, Rv.
262817). In ogni caso non va dimenticato che in tema di reato continuato, l’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità
spazio temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la
successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei
reati ed emerga, invece, l’occasionalità di quelli compiuti successivamente rispet-

to a quello cronologicamente anteriori (Sez. 6, n. 44214 del 24/10/2012 – dep.
14/11/2012, Natali e altro, Rv. 254793).
Ne discende, pertanto, la manifesta infondatezza di tale motivo, non avendo dato prova il ricorrente dell’unicità del disegno criminoso, né fornito prova documentale della decisione irrevocabile antecedente sui cui era fondata l’istanza.

5. Quanto al residuo motivo, la questione relativa alla rilevanza della crisi di liquidità censura una violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, e,
dunque, inammissibile ai sensi dell’articolo 606, comma terzo, codice procedura
penale; sul punto, infatti, l’atto di appello si limitava a denunciare una violazione
di legge quanto alla prova del pagamento delle retribuzioni nonché alla eccessività della pena inflitta, ma non sollevava alcuna questione con riferimento al tema
della sussistenza del dolo derivante dalla presunta crisi di liquidità, questione
dunque non dedotta con i motivi di appello.
Quanto sopra, pertanto, rende del tutto irrilevante la mancanza della motivazione in ordine alle ragioni per le quali la Corte d’appello ha ritenuto inconsistente
od inadeguata la documentazione di cui era stata disposta l’acquisizione relativa
al diverso procedimento. Ed invero, non essendo stata dedotta con i motivi di
appello la doglianza relativa alla rilevanza della crisi di liquidità, la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la relativa eccezione senza svolgere alcun approfondimento istruttorio, essendo pertanto del tutto irrilevante l’acquisizione della predetta documentazione.
Trova dunque applicazione il principio secondo il quale il ricorso per cassazione è
inammissibile se proposto per motivi concernenti statuizioni del giudice di primo
grado, o mancate statuizioni dello stesso giudice, non devolute al giudice di appello con specifica impugnazione. Infatti la sentenza di primo grado, su tali statuizioni od omissioni, acquista autorità di cosa giudicata, salvo il caso in cui si
tratti di questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, non richiedenti accertamenti di fatto, di cui non sia stato provocato l’esame o il riesame
del giudice d’appello (Sez. 4, n. 10093 del 20/03/1991 – dep. 10/10/1991, Paolicelli, Rv. 188253), circostanza che non ricorre nella fattispecie sub iudice.
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6. Il ricorso dev’essere pertanto dichiarato inammissibile, non rilevando – si osserva – l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 8 del 2016; ed infatti, in relazione alle
mensilità per le quali ancora si procede, il reato supera la soglia annuale prevista
dall’art. 3, comma sesto, d. Igs. 15 gennaio 2016, n. 8, fissata in C 10.000,00
annui; come emerge dal prospetto inadempienze della denuncia INPS, per le

le mensilità relative all’anno 2008 è pari ad C 23.249,00 mentre, infine, per le
mensilità relative all’anno 2009 è pari ad C 11.387,00.

7. Il ricorso dev’essere dunque dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 1.500,00 in favore della Cassa
delle ammende. Solo per completezza, si osserva che non risulta ancora maturata la prescrizione in quanto la più breve (quella relativa all’omesso versamento
per la mensilità di febbraio 2007) maturerà alla data del 16/05/2016.
In ogni caso, si noti, l’inammissibilità del ricorso per cassazione precluderebbe la
possibilità di rilevare d’ufficio la prescrizione maturata prima della sentenza di
appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede o nei motivi di ricorso (Sez.
U, sentenza n. 12602 del 25/03/2016 – ud. 25/03/2016, in corso di massimazione).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna illeicorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 12 maggio 2016

mensilità relative all’anno 2007 l’importo non versato è pari ad C 17.295,00, per

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