Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27815 del 22/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27815 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI SANREMO
nei confronti di:
SHAKARKIL WAHED N. IL 01/01/1989
avverso la sentenza n. 56/2011 GIUDICE DI PACE di VENTIMIGLIA,
del 14/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO B NITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. “1-tt.

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Data Udienza: 22/05/2013

5-13–Czat5TA

1. Con sentenza pronunciata il 14 febbraio 2012 il Giudice di pace
di Ventimiglia assolveva Shakarkil Wahed, imputato del reato di
cui all’art. 10/bis d. lgs. 286/1998, con la formula “perché il fatto
non sussiste”, sul rilievo che non risulterebbe provato nel processo
che l’imputato sia entrato nel territorio dello Stato in epoca
prossima e comunque entro gli otto giorni previsti dalla legge per
presentarsi in Questura al fine di domandare il rilascio del permesso
di soggiorno, circostanze queste che escluderebbero la ricorrenza in
concreto della condotta sanzionata.
2. Avverso la sentenza detta ricorre per cassazione il Procuratore
della repubblica di Sanremo denunciandone l’illegittimità per
violazione della norma incriminatrice.
Deduce in particolare il procuratore ricorrente che la possibilità di
richiedere il rilascio di permesso di soggiorno nel termine di otto
giorni dall’ingresso nel territorio nazionale è riconosciuto dalla
legge in favore dello straniero soltanto se ricorrente la condizione,
insussistente nel caso in esame, del suo regolare ingresso in Italia ai
sensi del combinato disposto degli artt. 5 co. 2 e 4 D. Lgs.
286/1998.
3. 11 ricorso è fondato.
Appare utile rammentare che la norma incriminatrice delle condotte
di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello Stato — art. 10bis d.lgs. n. 286 del 1998 — ha di recente superato il vaglio di
compatibilità costituzionale (cfr. C. Cost., n. 250 del 2010) e che in
tale occasione il Giudice delle leggi ha avuto modo di precisato che
essa non punisce una «condizione personale e sociale» — quella,
cioè, di straniero «clandestino» (o, più propriamente, «irregolare»)
— e non criminalizza un «modo di essere» della persona. Essa,
viceversa, punisce uno specifico comportamento, costituito dal
«fare ingresso» e dal «trattenersi» nel territorio dello Stato, in
violazione delle disposizioni di legge. Si è quindi di fronte, secondo
l’insegnamento della Corte Costituzionale al quale il Collegio dà
piena adesione, rispettivamente, ad una condotta attiva istantanea (il
varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere
permanente di natura omissiva, consistente nel non lasciare il
territorio nazionale.

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

P. Q. M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al
Giudice di pace di Ventimiglia.
Così deciso in Roma, addì 22 maggio 2013.

Tanto premesso, fondata si appalesa la censura del rappresentante
della pubblica accusa avverso la sentenza assolutoria del giudice di
prime cure e, per converso, illogica e contra legem la motivazione
impugnata.
Come sottolineato in recenti arresti di questa Corte (ex pluribus
Sez. 1 1.12.2010 , n. 57 , PG/Benjannet) gli artt. 4 e 5 d.lgs.
286/1998 prevedono un termine per la richiesta di permesso di
soggiorno, collegato però alla situazione in cui l’ingresso sia
regolarmente avvenuto, attraverso i valichi di frontiera
appositamente istituiti, mediante esibizione di passaporto o
documento equipollente valido in base a regolare visto di
soggiorno, salvi i casi di esenzione per i cittadini dell’area
Schengen.
Ora, un ingresso clandestino e senza visto da paesi terzi non
legittima una permanenza avente caratteristiche di volontarietà ed
apprezzabile continuità sul territorio dello Stato (caratteristiche
ricavabili dal concetto del “trattenersi sul territorio” usato dal
legislatore), neppure per il periodo limitato di otto giorni di cui
all’art. 5 del decreto citato, dato quest’ultimo viceversa utilizzato
nella sentenza assolutoria come errato presupposto del sillogismo
decisorio.
La sentenza impugnata va quindi annullata con rinvio per nuovo
giudizio al Giudice di pace di Ventimiglia.

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