Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 278 del 05/12/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 278 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO

SENTENZA

” POSiTATA
T OE.

sui ricorsi proposti da
Montefiori Giada, nata a Civitanova Marche il 02/04/1981
Morricone Gabriele, nato a Atri il 25/04/1977

avverso l’ordinanza del 12/05/2017 del Tribunale di Macerata

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Simone
Perelli, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.

;11

Data Udienza: 05/12/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12 maggio 2017, il Tribunale di Macerata ha disatteso
la richiesta di riesame proposta da Giada Montefiori e Gabriele Morricone avverso
il decreto adottato dal pubblico ministero alle ore 14.36 del 31 marzo 2017 di
convalida delle operazioni di perquisizione locale e sequestro probatorio
effettuate dalla polizia giudiziaria con verbale del 30 marzo 2017, ore 7.20,
depositato nella segreteria della Procura della Repubblica il giorno successivo alle

tardivamente depositato in data 3 aprile 2017, il tribunale ha ritenuto, in
motivazione, inammissibile la richiesta di riesame confermando poi il sequestro,
in base al principio di diritto secondo cui nel caso di richiesta di riesame di
sequestro probatorio eseguito dalla polizia giudiziaria nel corso di una
perquisizione delegata che abbia genericamente ordinato di sequestrare cose
pertinenti al reato senza che si sia poi provveduto alla convalida, l’interessato
deve richiedere la restituzione delle cose al pubblico ministero con facoltà di
proporre opposizione avanti al g.i.p. in caso di diniego. Ha poi ulteriormente
osservato il Tribunale che, nel caso di specie, la convalida della perquisizione e
del sequestro non sarebbe risultata necessaria perché le operazioni erano
avvenute in forza di un decreto di perquisizione e sequestro adottato dallo stesso
pubblico ministero in data 24 marzo 2017 nel quale erano sufficientemente
individuati i beni da sottoporre a vincolo e che non potevano prendersi in
considerazione in sede di riesame eventuali vizi afferenti al luogo dove la
perquisizione fu effettuata, trattandosi di censure che non potrebbero formare
oggetto di un giudizio di riesame.

2. Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame propongono ricorso, a
mezzo del difensore, Giada Montefiori e Gabriele Morricone, lamentando
innanzitutto violazione di legge per aver il tribunale – con richiamo ad una
giurisprudenza non conferente al caso di specie – ritenuto inammissibile l’istanza
di riesame pur riconoscendo la lamentata illegittimità, per vizio procedurale, del
decreto di convalida del sequestro impugnato.
Ci si duole, altresì, del fatto che il tribunale abbia ritenuto non necessaria,
nel caso di specie, la convalida del sequestro, così invadendo le prerogative del
magistrato requirente, il quale a ragion veduta avrebbe ritenuto di agire in tal
modo posto che una parte dei sequestri di fatto compiuti dalla polizia giudiziaria
sarebbe avvenuta travalicando i confini dell’originario decreto. In particolare, ciò
sarebbe accaduto per le cose sequestrate alla ricorrente Montefiori presso il suo
domicilio di Roma, via Del Corso n. 42, posto che il pubblico ministero aveva nei

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i/ i

ore 12.30. Osservando incidentalmente che il decreto impugnato era stato

suoi confronti disposto la perquisizione soltanto presso l’abitazione di Atri, fr.
Fontanelle, Via Giuseppe Verdi n. 2. Ed invero – si osserva in ricorso – benché il
decreto emesso dal pubblico ministero estendesse la perquisizione ad “ogni altro
luogo” che fosse risultato, “nel corso delle operazioni, nella disponibilità, anche
fattuale” dei destinatari del provvedimento, l’indirizzo di Roma sopra citato non
sarebbe stato individuato dalla polizia nel corso delle operazioni, essendo ad essa
noto sin dalla pregressa fase delle indagini, come emergerebbe dall’informativa
di p.g. del 5 dicembre 2016, con cui era stato richiesto al pubblico ministero

il magistrato inquirente inserito tale luogo tra quelli da perquisire, quella
richiesta – si nota in ricorso – sarebbe stata implicitamente rigettata, ciò che
ulteriormente dimostrerebbe la necessità di una convalida della perquisizione e
del conseguente sequestro, non legittimati dall’originario provvedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Secondo una consolidata giurisprudenza che deve qui essere ribadita,
la disposizione di cui all’art. 355, comma 2, cod. proc. pen. dev’essere
interpretata nel senso che l’omessa convalida da parte del pubblico ministero del
sequestro eseguito ad iniziativa della polizia giudiziaria, nel termine perentorio

ivi indicato, ne determina l’inefficacia, con conseguente obbligo di provvedere
alla restituzione delle cose sequestrate (Sez. 3, n. 9858 del 21/01/2016, Yun,
Rv. 266465; Sez. 3, n. 8433 del 03/02/2011, Matarrese, Rv. 249395).
Il termine, secondo altro consolidato orientamento, non va verificato con
riferimento alla data (e all’ora) che risulta sul decreto, bensì, se diversa, da
quella apposta sullo stesso provvedimento dal segretario che ne certifica il
deposito, con il quale soltanto l’atto acquisisce giuridica esistenza (cfr. Sez. 2, n.
19309 del 15/04/2015, Paregiani, Rv. 263535; v. anche Sez. 5, n. 17108 del
21/10/2014, Bosio, Rv. 264067).
Detto termine, poi, decorre non già dallo spirare delle 48 dall’esecuzione
del sequestro – di talché sarebbe sufficiente che la convalida intervenga entro 96
dalla stessa (ciò che nel caso di specie, salva la valutazione dell’ora, potrebbe
essersi verificato) – bensì dalla trasmissione del relativo verbale al pubblico
ministero, sempre che lo stesso sia stato a sua volta tempestivamente
trasmesso nelle 48 ore successive all’esecuzione. Non può darsi continuità, di
fatti, all’orientamento affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui
detto termine di quarantotto ore, non decorrerebbe dal ricevimento del verbale
di sequestro che la polizia giudiziaria deve trasmettere entro quarantotto ore
dalla esecuzione del sequestro a norma dell’art 355, 1° comma, cod. proc. pen.,

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l’emissione di un decreto di perquisizione anche di quella abitazione. Non avendo

poiché, per l’emissione del provvedimento di convalida, i termini previsti dalle
citate disposizioni dovrebbero sommarsi (cfr. Sez. 5, n. 9258 del 13/01/2009,
Zhang, Rv. 242999; Sez. 3, n. 3420 del 11/10/1995, Corsaro, Rv. 203305).
Ed invero, la conseguenza secondo cui la violazione dei termini previsti
dall’art. 355 cod. proc. pen. determina l’inefficacia del sequestro, benché non
espressamente prevista dalla disposizione, è l’unica interpretazione
costituzionalmente conforme, come ha affermato la Corte costituzionale nella
sent. 1 aprile 1993, n. 151, che ha ricondotto la fattispecie alla previsione di

conseguenti a perquisizione domiciliare (qual è, peraltro, il caso di specie). Nella
suddetta decisione – va rilevato – la Corte ha interpretato la norma procedurale
di garanzia costituzionale nel senso che il termine di 48 ore per la convalida
decorra dal ricevimento del verbale di sequestro da parte della polizia. Si tratta,
del resto, di interpretazione che trova espressa conferma in altre disposizioni del
codice di rito che hanno tradotto in norme processuali le medesime garanzie
costituzionali (v. art. 391, comma 7, ult. parte, cod. proc. pen per la convalida
dell’arresto e del fermo; art. 321, commi

3-bis e 3-ter, c.p.p. in materia di

sequestro preventivo). Non v’è ragione, dunque, di non dare all’art. 355 cod.
proc. pen. la stessa interpretazione costituzionalmente orientata.

2. Appurato, dunque, che nel caso di specie il decreto di convalida di
sequestro emesso dal pubblico ministero è da ritenersi inefficace perché
intervenuto oltre 48 dopo la trasmissione del verbale di sequestro da parte della
polizia giudiziaria – come, peraltro, ha ritenuto lo stesso Tribunale del riesamecorrettamente, a pag. 3 del provvedimento impugnato, se ne fa discendere
l’inammissibilità della richiesta di riesame, sia pur con il richiamo ad una
giurisprudenza di legittimità non del tutto pertinente al caso di specie, essendo
state indicate decisioni relative al caso di mancata convalida del sequestro
eseguito d’iniziativa della polizia giudiziaria. Alla medesima conclusione – reputa
il Collegio – deve tuttavia giungersi laddove il sequestro sia divenuto inefficace
per convalida tardiva.
Come si è sopra argomentato, di fatti, l’inefficacia del sequestro eseguito ad
iniziativa della polizia giudiziaria che sia stato tardivamente convalidato discende
dalla legge e non necessita, pertanto, di pronuncia costitutiva di annullamento
da parte del tribunale del riesame, ben potendo l’interessato dedurne l’inefficacia
in sede di richiesta di restituzione dei beni rivolta allo stesso pubblico ministero
ai sensi dell’art. 263, comma 4, cod. proc. pen., con possibilità, in caso di rigetto
dell’istanza, di ottenere tutela avanti al g.i.p. a norma dell’art. 263, comma 5,
cod. proc. pen.

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garanzia di cui all’art. 13 Cost., richiamata dall’art. 14 Cost. per i sequestri

Deve al proposito rilevarsi che il procedimento di riesame di cui all’art. 324 come peraltro espressamente attestato dall’intitolazione del Capo III, del
secondo titolo del quarto libro del codice di rito – costituisce un mezzo
d’impugnazione, sicché, in quanto applicabili, valgono le norme generali al
proposito previste dal nono libro dello stesso codice, tra cui quella a mente della
quale «per proporre impugnazione è necessario avervi interesse» (art. 568,
comma 4, cod. proc. pen.), interesse che, secondo un consolidato orientamento,
dev’essere connotato da concretezza ed attualità (cfr.,

ex multis, Sez. 3, n.

Habour, Rv. 269875). Laddove, dunque, l’ordinamento preveda altro rimedio per
soddisfare la pretesa che si intende azionare – vale a dire la semplice richiesta di
restituzione dei beni – il riesame (avverso un decreto di convalida inefficace) è
inammissibile per difetto d’interesse ed è del pari inammissibile, per la medesima
ragione, oltre che per manifesta infondatezza sul punto, il ricorso per cassazione
proposto avverso il provvedimento negativo reso dal tribunale del riesame.
La decisione in rito esclude ogni esame di questioni di merito, che il
Tribunale ha nel caso di specie effettuato

ad abundantiam

(“per mera

completezza argonnentativa”, si legge nel provvedimento) senza che fosse
necessario e senza che dalle stesse possa sorgere alcun effetto preclusivo,
trattandosi di questioni che dovranno essere vagliate nell’eventuale
procedimento da promuoversi ai sensi dell’art. 263 cod. proc. pen.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza
Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non
sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del
procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende
della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C. 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 05/12/2017.

37450 del 11/04/2017, Macchi, Rv. 270542; Sez. 6, n. 16535 del 26/01/2017,

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