Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27789 del 23/03/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27789 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Colombo Giovanni Piero, nato a Civenna il 1/1/1941
avverso la sentenza del 10/10/2014 della Corte d’appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Corasaniti, che ha concluso chiedendo respingersi il ricorso.

RITENUTO IN FATUI)

1. Con sentenza del 10 dicembre 2014 la Corte d’appello dì Milano ha
respinto l’impugnazione proposta da Giovanni Piero Colombo nei confronti della
sentenza del Tribunale di Milano del 6 dicembre 2013, con cui era stato
condannato alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di cui all’art. 10 ter
d.lgs. 74/2000 (per avere omesso, quale amministratore della St. Barth House &
Pleasure S.r.1, di versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla
dichiarazione annuale dell’anno 2007, per euro 418.894).
La Corte d’appello, nel disattendere l’impugnazione dell’imputato, ha
ritenuto irrilevante la crisi di liquidità della società prospettata dal Colombo,
evidenziando che l’imputato avrebbe dovuto versare quanto corrispostogli per
i.v.a. dai destinatari dei servizi e delle prestazioni della società, non impiegando
diversamente tali somme.

Data Udienza: 23/03/2016

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, mediante il suo
difensore, affidato ad un unico articolato motivo, mediante il quale ha
prospettato violazione di legge penale, in relazione agli artt. 10 bis d.lgs.
74/2000 e 42 cod. pen., e ribadendo che l’omesso versamento dell’imposta era
da ricondurre ad una crisi aziendale repentina e imprevedibile, dovuta alla
improvvisa cessazione dei rapporti commerciali con la società Metro, con la quale
la società amministra dal ricorrente realizzava circa il 70% del proprio fatturato.
Ha inoltre prospettato l’erroneità della affermazione contenuta nella

avrebbe l’onere dì accantonare le somme via via ricevute dai propri clienti onde
costituire la necessaria provvista per provvedere ai versamento dell’imposta
entro la scadenza del termine annuale, in quanto tale affermazione ometteva di
considerare l’usuale funzionamento dei flussi di cassa e dei flussi finanziari nelle
imprese commerciali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

A., Il ricorso è infondato.

2„

Giova ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. U, n. 37424 del

28/03/2013, Romano, Rv. 255757) hanno ribadito che il reato di cui all’art. 10
ter d.lgs. 74/2000 è punibile a titolo di dolo generico. Mentre molte delle
condotte penalmente sanzionate dal d.lgs. 74/2000 richiedono che il
comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte,
questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal
testo della disposizione citata. Per la commissione del reato è sufficiente,
dunque, la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel
periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia dì
rilevanza (attualmente pari a euro 250.000), che è un elemento costitutivo del
fatto, contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo è insita in genere

sentenza impugnata secondo cui il soggetto obbligato ai versamenti i.v.a.

nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è
dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere collegato o almeno
contenuto non oltre la soglia di rilevanza, entro il termine lungo previsto.

3,

Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento

delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali
operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e
deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili
in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. L’introduzione della
norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria
applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala
annuale (così Sez. 3, Sentenza n. 2614 del 06/11/2013, Saibene, Rv. 258595).
2

A

ét;

Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di
liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo.
Ciò non esclude ovviamente che, in astratto, siano possibili casi, il cui
apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come tale insindacabile in sede
di legittimità se congruamente motivato, nei quali possa invocarsi l’assenza del
dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria.
È tuttavia necessario che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto
attiene alla crisi di liquidità, dovranno investire non solo l’aspetto circa la non

avrebbe investito l’azienda, ma anche che detta crisi non possa essere stata
adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad
idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato
altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli
il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo
posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio
personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa
crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza
esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili
(così Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055; conf. Sez. 3, n.
20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014,
Schirosi, Rv. 263128).

4.

Ora, nel caso di specie, la deduzione riguardante la crisi economica è

generica ed in fatto e non reca, in particolare, indicazioni specifiche ne’ concrete
atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole all’adempimento, in quanto è
stato solo genericamente affermato che la società amministrata dal ricorrente
dipendeva economicamente dalla società Metro, con la quale realizzava il 70%
del suo fatturato, e che quest’ultima, nell’autunno-inverno 2007, aveva risolto
repentinamente i rapporti con ì propri dienti, compresa la S.r.l. St. Barth House
& Pleasure amministrata dal ricorrente, determinandone il dissesto.
Tale deduzione risulta, dunque, generica, in quanto disgiunta dalla
illustrazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società, e comunque
insufficiente a dimostrare il ricordato stato di assoluta ed incolpevole
impossibilità di adempiere alla obbligazione tributaria, avendo comunque la
società altri clienti, con i quali realizzava la restante parte del suo fatturato, e
non essendo state indicate neppure le iniziative intraprese o tentate per reperire
fondi per fronteggiare la crisi di liquidità e provvedere al pagamento del debito
nei confronti dell’Erario.

sr.

Risulta, in conclusione, infondata la censura di violazione di legge e vizio di

motivazione formulata dal ricorrente, essendo stata correttamente esclusa dalla
Corte d’appello l’assenza di dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere alla

3

imputabilità al sostituto di imposta della crisi economica, che improvvisamente

obbligazione tributaria, con la conseguenza che il ricorso, che su tale
prospettazione si fonda, deve essere respinto ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 23/3/2016

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