Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27782 del 03/02/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 27782 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: RICCARDI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da
El Boussidi Salah, nato a Ouled Ayad (Marocco) il 01/01/1970

avverso la sentenza del 15/05/2015 della Corte di Appello di Lecce

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Riccardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, Avv. Francesca Fera, in sostituzione dell’Avv. Alessandro
Stomeo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6 novembre 2013, il Tribunale di Brindisi ha ritenuto
l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 517 c.p., per avere posto in
vendita, o comunque messo in circolazione, 22 giocattoli, privi del marchio o con
il marchio CE contraffatto; in Brindisi, il 08/08/2008.

Data Udienza: 03/02/2016

Con sentenza del 15 maggio 2015, la Corte d’appello di Lecce ha confermato
la sentenza di primo grado.

2. Avverso tale ultima sentenza l’imputato ha proposto, tramite il proprio
difensore, Avv. Alessandro Stomeo, ricorso per cassazione, chiedendone
l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge sostanziale e
processuale in relazione agli artt. 459 e ss. c.p.p.: lamenta la nullità del decreto

condanna non sarebbe mai stato notificato, e dunque opposto; espone, al
riguardo, che il decreto penale che ha originato l’emissione del decreto di
giudizio immediato si riferisce al proc. pen. n. 4015/10 R.g.n.r., mentre il
decreto penale notificato all’imputato, ed oggetto di opposizione, si riferisce al
proc. pen. n. 5681/08 R.g.n.r.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si rileva l’illogicità della
motivazione e l’erronea applicazione dell’art. 517 c.p., per la mancanza di tipicità
della condotta, in ragione della funzione di puro marchio amministrativo della
marcatura Ce, e della sua inidoneità a fungere da marchio di qualità o di origine.
2.3. Con un terzo motivo si deduce il vizio di motivazione e la violazione di
legge, osservando che la fattispecie penale presuppone l’apposizione sui prodotti
destinati alla vendita di indicazioni ingannevoli o comunque non corrispondenti
alle reali caratteristiche qualitative e di provenienza dei beni. Sui giocattoli in
questione era apposto il contrassegno CE (China Export), marchio regolarmente
riconosciuto e utilizzato dalle aziende produttrici cinesi, con la specifica funzione
di certificare la provenienza dei prodotti da quel determinato territorio. Tale
marchio non era accompagnato da indicazioni fuorvianti circa l’eventuale
conformità delle merci ai canoni comunitari, laddove, al contrario, il marchio CE
(Comunità Europea) deve essere corredato di una serie di informazioni relative
alle principali fasi dell’iter produttivo. Il marchio China Export – contrariamente a
quanto ritenuto dai giudici di secondo grado – non sarebbe idoneo a trarre in
inganno gli eventuali acquirenti sulla qualità e provenienza dei beni; sarebbero,
infatti, note le differenze fra tale marchio e il marchio CE (Comunità Europea),
perché in quest’ultimo le lettere che lo compongono sono notevolmente
distanziate. Mancherebbe, comunque, la prova dell’effettiva difformità dei
prodotti in questione rispetto ai canoni comunitari, requisito necessario per la
sussistenza del reato, diretto a punire la non corrispondenza tra il dichiarato e il
contenuto.
La fattispecie, dunque, rientrerebbe nell’illecito amministrativo previsto
dall’art. 31 d.lgs. 11 aprile 2011 n. 54.

2

di giudizio immediato notificato all’imputato, in quanto il decreto penale di

2.4. Con un quarto motivo si deduce l’assenza di motivazione in ordine alla
tipicità del reato di cui all’art. 515 c.p., in mancanza di prova della consegna
all’acquirente di un prodotto diverso da quello pattuito o dichiarato.
2.5. In quinto luogo, si deduce l’eccessività della pena irrogata, il vizio di
motivazione e la violazione di legge, lamentando anche la mancata concessione
della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., e la mancata
considerazione delle modalità del fatto, delle condizioni economiche e sociali
dell’imputato, della scarsa lesività della condotta.
2.6. Con un ultimo motivo ha lamentato la mancata applicazione della causa

offensività.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo, che, peraltro, costituisce mera riproposizione di identica
censura

proposta

in

appello,

e

pertanto

generica

(ex

multis,

Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608), è manifestamente
infondato: come già compiutamente esposto nella sentenza impugnata,
l’imputato ha proposto opposizione avverso il decreto penale presente nel
fascicolo, avente ad oggetto proprio i reati contestati nel presente procedimento.
Va aggiunto che proprio il ricorrente deduce di avere ricevuto la notifica del
decreto penale, e di avere proposto opposizione, nell’ambito del proc. pen. n.
5681/08 R.g.n.r., che è il medesimo procedimento indicato nell’intestazione della
sentenza impugnata.

3. Il secondo ed il terzo motivo di doglíanza possono essere trattati
congiuntamente perché attengono al carattere ingannevole del marchio CE
(China Export)

apposto sui giocattoli oggetto dell’imputazione in luogo del

marchio CE (Comunità europea) ai fini della configurabilità del reato di cui all’art.
517 c.p..
Quanto all’apposizione della marcatura CE contraffatta, questa Corte, con
specifico riferimento ad ipotesi di frode in commercio, ha già avuto modo di
riconoscere che tale condotta assume astrattamente rilievo penale (Sez. 3, n.
9310 del 14/02/2013; Sez. 3, n. 27704 del 16/07/2010).
Giova rammentare che la funzione della marcatura CE è la tutela degli
interessi pubblici della salute e sicurezza degli utilizzatori dei prodotti mediante
la attestazione della rispondenza alle disposizioni comunitarie che ne prevedono

3

/„4

di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., in considerazione degli esigui indici di

l’utilizzo; la stessa, pur non fungendo da marchio di qualità o di origine,
costituisce comunque un marchio amministrativo, che evidenzia la possibilità di
libera circolazione del prodotto nel mercato comunitario (Sez. 2, n. 36228 del
18/09/2009). La marcatura CE attesta la conformità del prodotto a standard
minimi di qualità e costituisce, pertanto, una garanzia della qualità e della
sicurezza della merce che si acquista (Sez. 3, n. 23819 del 09/06/2009,
concernente proprio un’ipotesi di tentativo di frode in commercio posto in essere
anche attraverso la commercializzazione di prodotti recanti il marchio CE
contraffatto, indicativo della locuzione “China Export”).

esame è quello dello Stato e del consumatore al leale esercizio del commercio,
ed il reato in essa previsto è integrato dalla semplice messa in vendita di un
bene difforme da quello dichiarato, è evidente che la consegna o la messa in
circolazione di merce recante una marcatura contraffatta, attestante la
rispondenza a specifiche costruttive che assicurano la sussistenza dei requisiti di
sicurezza e qualità richiesti dalla normativa comunitaria, determina senz’altro
quella divergenza qualitativa che si ritiene necessaria per configurare l’illecito
penale.
E tali considerazioni rendono irrilevante il rilievo difensivo secondo cui la
fattispecie di cui all’art. 517 c.p. non sarebbe configurabiie, nel caso di specie,
per la mancanza di false indicazioni circa la presenza dei requisiti richiesti dalla
normativa vigente per l’apposizione della marcatura CE (Comunità europea).
Infatti, la decettività della marcatura CE

(China Export), che si distingue da

quella europea per la sola, impercettibile, diversa distanza tra le due lettere, è
da sola sufficiente ad ingenerare nel consumatore la convinzione che la merce
abbia le caratteristiche e gli standard europei. Nè può darsi, neanche in astratto,
l’ipotesi di merci prive della marcatura CE (Comunità europea) che siano
comunque dotate di tutti tali requisiti, perché l’apposizione del marchio CE da
parte del produttore ha la funzione di certificare la conformità del prodotto con i
requisiti essenziali richiesti dal mercato europeo; e tale certificazione costituisce
in sè un essenziale elemento qualitativo del prodotto.
Va, pertanto, ribadito il principio di diritto secondo il quale integra il reato di
vendita di prodotti industriali con segni mendaci la messa in vendita o comunque
in circolazione di merce (neila specie, giocattoli) recante la marcatura CE
(indicativa della locuzione

“China Export”)

apposta con caratteri tali da

ingenerare nel consumatore la erronea convinzione che i prodotti rechino,
invece, il marchio CE (Comunità Europea), polche l’apposizione di quest’ultimo
ha la funzione di certificare la conformità del prodotto ai requisiti essenziali di
sicurezza e qualità previsti per la circolazione dei beni nel mercato europeo (con

4.

Invero, se, come si è già affermato, l’interesse tutelato dalla disposizione in

riferimento ad un’ipotesi di frode in commercio, Sez. 3, n. 45916 del
18/09/2014, Tebai, Rv. 260914)
3.1. Il profilo di doglianza relativo all’applicabilità, nel caso di specie, delle
sanzioni amministrative previste dal d.lgs. 11 aprile 2011 n. 54, attuativo della
Direttiva UE sulla sicurezza dei giocattoli, è infondato.
Dal 12/05/2011 è infatti in vigore il d.lgs. 11 aprile 2011, n. 54, recante
“Attuazione della direttiva 2009/48/CE sulla sicurezza dei giocattoli”, che, all’art.
33, ha disposto l’abrogazione del d.lgs. 27 settembre 1991, n. 313, ad eccezione

2011 (mentre per l’art. 2, comma 1 e l’allegato 2, parte 2, punto 3,
l’abrogazione è disposta a decorrere dal 20 luglio 2013).
Le nuove disposizioni non prevedono alcuna sanzione penale per le condotte
precedentemente contemplate dal d.lgs. n. 313 del 1991, art. 11, disponendo il
D.Lgs. n. 54 del 2011, art. 31 la sanzione amministrativa, salvo che il fatto
costituisca reato, per il fabbricante o l’importatore che immettano sul mercato un
giocattolo privo della marcatura CE (comma 4) e per il distributore che mette a
disposizione sul mercato un giocattolo privo di marcatura CE o delle avvertenze
di cui all’art. 10 (comma 7). In particolare, l’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 54
del 2011, dispone:

“Salvo che il fatto costituisca reato, il fabbricante o

l’importatore che immette sul mercato un giocattolo privo della marcatura CE e’
soggetto alla sanzione amministrativa da 2.500 a 30.000 euro”;

mentre il

comma 7 della medesima disposizione dispone: “Salvo che il fatto costituisca
reato, il distributore che mette a disposizione sul mercato un giocattolo privo
di marcatura CE o delle avvertenze di cui all’articolo 10 e’ soggetto alla
sanzione amministrativa da 1.500 a 10.000 euro”.
Ebbene, va in primo luogo osservato, con riferimento alle richiamate
disposizioni, che le stesse riguardano fattispecie diverse dalla contraffazione del
marchio, prendendo in considerazione la mera mancanza del marchio medesimo.
Deve poi rilevarsi che le suddette violazioni amministrative sono applicabili,
per espressa disposizione legislativa, salvo che il fatto costituisca reato.
Tali rilievi appaiono sufficienti ad escludere la sussistenza di un rapporto di
specialità tra la violazione amministrativa e quella penale e, segnatamente,
l’applicabilità dell’art. 9 I. 24 novembre 1981, n. 689.
Giova richiamare, a tale proposito, quanto recentemente affermato in tema
dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., n. 22225 del 08/06/2012, non
massimata sul punto), anche con richiami a precedenti pronunce, che ha chiarito
che il rapporto di specialità deve essere verificato nel confronto strutturale tra le
fattispecie astratte, e che l’art. 9 citato “diretto a privilegiare la specialità (e
quindi l’apparenza del concorso) costituisce un’importante chiave di lettura in

5

dell’art. 2, comma 1, e dell’allegato 2, parte 2, punto 3, a decorrere dal 20 luglio

tutti i casi in cui, ad una condotta penalmente sanzionata, si aggiunga
(soprattutto se ciò avvenga in tempi successivi rispetto all’entrata in vigore della
prima norma) una disciplina normativa che la preveda anche come violazione di
natura amministrativa” (Sez. U, n. 1963 del 21/01/2011), aggiungendo come in
altra occasione si sia invitato ad “una applicazione del principio di specialità,
secondo un approccio strutturale, che non trascuri l’utilizzo dei normali criteri di
interpretazione concernenti la ratio delle norme, le loro finalità e il loro
inserimento sistematico, al fine di ottenere che il risultato interpretativo sia
conforme ad una ragionevole prevedibilità, come intesa dalla giurisprudenza

Nel caso in esame, la condotta posta in essere dall’imputato non è
riconducibile a nessuna delle fattispecie punite in via amministrativa dal
richiamato art. 31, in quanto il marchio era stato apposto, sebbene fosse
‘ideologicamente’ contraffatto, e dunque dotato di idoneità ingannatoria.
In tale condotta vi è, dunque, un quid pluris rispetto alle fattispecie di illecito
amministrativo, rappresentato dall’apposizione sui giocattoli dell’indicazione CE
(China Export), la cui attitudine ingannatoria integra la più grave fattispecie di
cui all’art. 517 c.p., perché – come evidenziato – si concretizza nella dichiarazione
di origine, provenienza, qualità diverse da quelle effettive; con la conseguenza
che non risulta leso solo l’interesse alla sicurezza dei consumatori tutelato dal
d.lgs. n. 54 del 2011, ma anche l’interesse al corretto esercizio dell’industria e
del commercio, tutelato dal capo II del titolo VIII del libro II c.p. .

4. Anche il profilo di doglianza, dedotto in particolare con il quarto motivo,
relativo all’omessa integrazione della tipicità del reato di frode in commercio, per
l’insussistenza di un atto di vendita, è manifestamente infondato.
Invero, va innanzitutto rilevato che il reato accertato, in ordine al quale è
stata affermata la responsabilità penale, è quello di vendita di prodotti industriali
con segni mendaci di cui all’art. 517 c.p., e non già quello di frode in commercio,
di cui all’art. 515 c.p..
Nel caso in esame, a differenza dell’art. 515 c.p. che punisce la “consegna”,
la norma individua la condotta punibile nella messa in vendita o altrimenti in
circolazione, in tal senso escludendo la necessità di un concreto ed accertato
contratto di compravendita, essendo sufficiente, ai fini dell’integrazione della
tipicità, la semplice offerta in vendita al pubblico.

5. Il quinto motivo di doglianza – relativo al trattamento sanzionatorio e al
mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. – è
inammissibile per genericità, in quanto ripropone le medesime censure rivolte

della Corte EDU” (Sez. U, n. 1235 del 19/01/2011).

con

l’atto

di

appello

e

motivatamente

respinte

(ex

multis,

Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608).
Il ricorrente non prende, infatti, in considerazione, neanche per criticarla, la
motivazione della sentenza impugnata sul punto, che esclude il riconoscimento
dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. per la pluralità di beni contraffatti
detenuti per la vendita, ritenendo congruo il trattamento sanzionatorio, in
quanto, anche in considerazione del precedente penale recente, è stato
determinato in misura prossima al minimo edittale (mesi due di reclusione ed €

Trattandosi di valutazioni essenzialmente di merito, peraltro, sono
insuscettibili, in assenza di vizi di logicità, di sindacato in sede di legittimità.

6. Il sesto motivo di ricorso – relativo alla mancata applicazione dell’art. 131
bis c.p. – è manifestamente infondato.
Al riguardo, è stato condivisibilmente chiarito che l’istituto della non
punibilità per particolare tenuità del fatto, previsto dall’art. 131-bis cod. pen., è
applicabile anche in sede di giudizio di legittimità sulla base di un apprezzamento
limitato alla astratta compatibilità dei tratti della fattispecie, come risultanti dalla
sentenza impugnata e dagli atti processuali, con gli indici-criteri e gli indicirequisiti indicati dal legislatore, cui segue in caso di valutazione positiva,
sentenza di annullamento con rinvio al giudice di merito (Sez. 3, n. 38380 del
15/07/2015, Ferraiuolo, Rv. 264795, che, in motivazione, ha sottolineato come
ciò consenta di contemperare l’obbligo di rilevazione d’ufficio, discendente dal
disposto dell’art.129 cod. proc. pen., con la fisiologia del giudizio di legittimità,
che preclude valutazioni in fatto), e che ai fini della rilevabilità della causa di
esclusione della punibilità per particolari tenuità del fatto nel giudizio di
legittimità, costituiscono elementi significativi sia le specifiche valutazioni
espresse in sentenza dal giudice di merito circa l’offensività della condotta, sia
l’applicazione della pena in misura pari al minimo edittale (Sez. 4, n. 33821 del
01/07/2015, Pasolini, Rv. 264357); pertanto, l’esclusione della punibilità per
particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. non può essere
dichiarata in presenza di una sentenza di condanna che abbia ritenuto
pienamente giustificati, specificamente motivando, la determinazione della pena
in misura superiore al minimo edittale ed il mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, configurandosi, in tal caso, l’esclusione di ogni
possibile valutazione successiva in termini di particolare tenuità del fatto. (Sez.
5, n. 39806 del 24/06/2015, Lembo, Rv. 265317).
Tanto premesso, gli indici di disvalore evidenziati in relazione al trattamento
sanzionatorio, con il diniego dell’attenuante del danno di speciale tenuità e con la

7

200,00 di multa).

determinazione di una pena non coincidente con il minimo edittale, escludono
l’applicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, che,
del resto, non risulta neppure essere stata richiesta.

7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese
processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma il 03/02/2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA