Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27771 del 11/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27771 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ABBATE PAOLA N. IL 14/01/1985
CANNAVO’ ANTONINO N. IL 14/02/1981
TURIANO GAETANA N. IL 22/06/1979
CUNDARI ANTONINO N. IL 11/09/1962
avverso la sentenza n. 942/2013 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 11/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
Vc3

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 11/06/2015

RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza dell’Il febbraio 2014 la Corte di Appello di Reggio Calabria, decidendo
sull’annullamento con rinvio disposto dalla Corte Suprema di Cassazione con sentenza del 9
aprile 2013 nei confronti della sentenza della Corte di Appello di Messina del 2 aprile 2012
emessa – per quanto qui rileva – nei riguardi di Paola ABBATE, Antonino CANNAVO’, Gaetana
TURIANO e Antonino CUNDARI, assolveva costoro dal reato di cui al capo FF) (art. 74 D.P.R.
309/90) perché il fatto non sussiste e rideterminava la pena in riferimento ai residui reati loro,

ABBATE, in riferimento ai reati dì cui ai capi W) e X); in anni sei di reclusione ed C 30.000,00
di multa (quanto ad Antonino CANNAVO’, in riferimento al reato di cui al capo X); in anni sei e
mesi otto di reclusione ed C 32.000,00 di multa (quanto a Gaetana TURIANO in riferimento ai
reati di cui ai capi X) ed Y) in continuazione con quelli di cui alla sentenza della Corte di Appello
di Messina del 16 febbraio 2009), confermando nel resto In riferimento – per quanto qui di
interesse – ad Antonio CUNDARI in relazione al reato di cui al capo N).
1.2 Avverso la detta sentenza hanno proposto ricorso gli imputati Paola ABBATE, Antonino
CANNAVO’, Gaetana TURIANO e Antonino CUNDARI, tramite i rispettivi difensori di fiducia. In
particolare il difensore dei ricorrenti ABBATE e CANNAVO’ – in riferimento ai residui reati
rispettivamente contestati all’ABBATE (capo W) ed al CANNAVO’ (capo X) per i quali era stato
confermato il giudizio di colpevolezza dalla Corte Suprema con la menzionata sentenza del 9
aprile 2013, lamenta carenza di motivazione e sua manifesta illogicità in punto di
determinazione della pena. Il difensore della ricorrente TURIANO lamentava, con un primo
motivo, deduce difetto di motivazione per illogicità manifesta ed inosservanza della legge
penale in punto di ritenuta sussistenza della recidiva e di operato aumento della pena per tale
ragione. Con un secondo motivo lamenta vizio di motivazione per carenza e manifesta illogicità
in punto di determinazione della pena e diniego delle circostanze attenuanti generiche. Il
difensore del ricorrente CUBNDARI, infine, lamenta con unico motivo vizio di motivazione per
contraddittorietà in punto di quantificazione della pena relativamente al reato di cui al capo N).

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i ricorsi sono inammissibili in quanto generici e manifestamente infondati. Va
premesso che la Corte territoriale di Reggio Calabria era stata chiamata – in riferimento alla
posizione dei ricorrenti ABBATE, CANNAVO’ e TURIANO – ad una rivalutazione circa la
responsabilità dei predetti in ordine al reato associativo di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90 per il
quale era intervenuto l’annullamento con rinvio da parte della Corte Suprema di Cassazione,
hanno escluso il reato suddetto, procedendo quindi, ad una rideterminazione della pena in
ordine ai reati residui, sulla base anche degli esiti del ricorso di legittimità i riferimento ad altre
censure di carattere subordinato ed attinenti al trattamento sanzionatorio. Ora, per quanto
riguarda l’ABBATE (cui erano state riconosciute le circostanze attenuanti generiche), una volta
1

rispettivamente, contestati, in anni tre di reclusione ed C 20.000,00 di multa (quanto ad Paola

venuto meno il reato associativo la Corte di Appello ha, correttamente, individuato il reato più
grave in quello di cui al capo X), fissando la pena base di anni tre di reclusione ed operando poi
le relative riduzioni ed i relativi aumenti per la continuazione fino alla pena finale di anni tre di
reclusione ed € 20.000,00 di multa. Le censure sollevate dalla difesa sono assolutamente
generiche ed in ogni caso manifestamente infondate in quanto il criterio di individuazione del
reato più grave sul quale stabilire la pena-base e quello di concreta quantificazione della pena
sono stati seguiti nel pieno rispetto dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., avendo la Corte

all’ABBATE.
2. Non dissimili le conclusioni per il ricorrente CANNAVO’ per il quale la Corte territoriale,
nel rideterminare la pena in ordine al reato residuo (quello di cui al capo X) concernente il
reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, ha irrogato una pena corrispondente al minimo edittale,
aumentato della metà per effetto della recidiva qualificata per la quale era intervenuto il
giudicato per effetto della sentenza della Corte Suprema. Tanto consente di ritenere il ricorso
del CANNAVO’ non solo generico nei contenuti, ma soprattutto manifestamente infondato in
relazione agli argomenti addotti a sostegno a fronte della puntuale e corretta motivazione della
Corte di Appello.
3. Quanto al ricorso nell’interesse della TURIANO – nei cui confronti sono stati ritenuti i
residui reati di cui ai capi X) ed Y) afferenti a plurimi episodi di spaccio e/o illecita detenzione
di stupefacenti – la Corte di Reggio Calabria ha correttamente individuato quale reato più
grave quello di cui al capo X) (in considerazione del numero degli episodi delittuosi che lo
caratterizzano) anche in riferimento ai reati oggetto di una precedente sentenza della Corte di
Appello di Messina del 16 febbraio 2009 per i quali è stata ritenuta la continuazione. Nel calcolo
della pena la Corte di merito, oltre a tenere conto delle modalità del fatto e della intrinseca
gravità delle condotte ha, ovviamente, dovuto tenere conto della recidiva qualificata che ha
comportato un aumento della metà (recidiva per la quale si era già formato il giudicato all’esito
del ricorso per cassazione in conseguenza del rigetto delle altre censure sollevate dalla difesa:
Gli operati aumenti per la continuazione tra il reato di cui al capo X) e quello di cui al capo Y) e
tra questi reati (tra loro unificati) e quelli oggetto della precedente sentenza della Corte di
Appello di Messina, sono stati calcolati nel pieno rispetto dei parametri di cui all’art. 133 cod.
pen. Ne consegue che le censure in punto di ritenuta sussistenza della recidiva non hanno la
minima ragion d’essere per effetto del giudicato formatosi con la sentenza della Corte Suprema
di Cassazione del 19 aprile 2013 (vds. pag. 15 della sentenza della S.C.). Ed anche in
riferimento alle questioni prospettate dalla difesa con riferimento al criterio di quantificazione
della pena questa è stata fissata nel pieno rispetto dei parametri indicati dall’art. 133 cod. pen.
avendo la Corte di merito dato atto delle estrema gravità delle condotte e della pessima
personalità della TURIANO (già ritenuta immeritevole della fruizione delle circostanze
attenuanti generiche).

2

di merito dato atto della gravità delle condotte e della pluralità di episodi di spaccio addebitati

4. In ultimo, con riferimento al ricorrente CUNDARI, va precisato – quale premessa logica
– che l’odierno ricorrente aveva proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di
Messina del 2 aprile 2012 in punto di determinazione della pena (ritenuta del tutto
sproporzionata), nonché in punto di diniego della ipotesi attenuata di cui all’art. 73/5 D.P.R.
309/90 e delle circostanze attenuanti generiche. La Corte Suprema, nell’esaminare le
specifiche censure sollevate dal CUNDARI, ha accolto unicamente quella inerente alla
determinazione della pena, rigettando, invece, le subordinate doglianze in merito sia alla

quanto infondate (anche alla luce – per queste ultime – della contestata recidiva qualificata di
cui all’art. 99 comma 4 0 cod. pen.).
4.1 Ne consegue che lo spatium deliberandi della Corte territoriale era estremamente
limitato e circoscritto alla determinazione della pena, per la quale nessuna riduzione è risultata
possibile per le condivisibili ragioni esplicitate dalla Corte di Reggio Calabria (v. pag. 15 e 16
della sentenza impugnata): in altri termini al CUNDARI – relativamente all’unico episodio di cui
al capo N) – gli è stata irrogata la pena minima secondo la legge del tempo (prima, cioè, delle
modifiche seguite alla sentenza della Corte Costituzionale n. 32/14) e l’aumento (anch’esso
minimo) per la recidiva qualificata che – ricorda la Corte di Appello – sarebbe dovuto essere di
due terzi rispetto alla pena base ed invece era stato calcolato nella misura della metà non più
modificabile per effetto del giudicato. Ne consegue l’infondatezza della censura senza che
possa intravedersi una mancata conformazione della sentenza della Corte di Appello al dictum
della S.C.
5. Alla inammissibilità di tutti i ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali nonché al versamento della somma – ritenuta congrua – di C 1.000,00
ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi in colpa i ricorrenti nella
determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
ed alla somma di C 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa per le Ammende.
Così deciso in Roma 1’11 giugno 2015.

ipotesi attenuata di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, sia alle circostanze attenuanti generiche in

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