Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2775 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2775 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: AIELLI LUCIA

Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Napoli;
nei confronti di:
Barbato Salvatore nato il 22/4/1966:
avverso l’ordinanza n.3203/2014 del Tribunale della Libertà di Napoli del 14/7/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dot. ssa Lucia Aielli;
udito il Sostituto Procuratore generale dott.ssa Paola Filippi che ha concluso per il rigetto del
ricorso ;

RITENUTO IN FATTO

Con provvedimento del 26.6.2015 il Tribunale del Riesame di Napoli in accoglimento
dell’appello proposto dall’imputato Salvatore Barbato, avverso l’ordinanza del GIP del Tribunale
di Napoli del 26.3.2015, dichiarava la perdita di efficacia della misura cautelare della custodia
in carcere nei confronti dell’imputato , argomentando circa la perdita di efficacia della misura

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Data Udienza: 19/11/2015

cautelare a causa della retrodatazione dell’ordinanza applicativa, al momento della emissione
della prima ordinanza cautelare .
Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione il Sostituto procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Napoli il quale lamenta la violazione di legge in quanto
l’ordinanza del Tribunale del Riesame non avrebbe tenuto in debita considerazione il fatto che i
due provvedimenti sono stati adottati in procedimenti diversi e che la scelta di tenere separati i
due procedimenti , era giustificata .
CONSIDERATO IN DIRITTO

Nel caso in esame si verte in tema di contestazione a catena, ovvero di durata della custodia
cautelare imposta nei confronti di un indagato, in forza di distinti titoli applicativi.
L’art. 297 c.p.p., comma 3 dispone che, se nei confronti di un imputato sono emesse più
ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente
circostanziato o qualificato, o per fatti diversi commessi anteriormente all’emissione della
prima ordinanza, connessi in via di concorso formale o di continuazione o legati da nesso
teleologico (c.d. connessione qualificata), i termini di custodia cautelare decorrono dal giorno
in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più
grave. L’effetto di retrodatazione non ha luogo relativamente alle ordinanze per fatti non
desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto che ha formato oggetto del
primo titolo custodiale. Pertanto, ove venga ravvisata un’ipotesi di “contestazione a catena”, i
termini custodiali cominciano a decorrere per tutte le misure cautelari concatenate, dalla data
di esecuzione della prima di esse e proseguono per tutta la durata della fase, cumulando
quanto già patito in forza del primo titolo custodiale all’eventuale residuo (Cass., Sez. 1,
12.7.99, n. 4895, CED Cass.n. 214011.) Ne deriva, ad esempio, che la sospensione dei termini
di custodia cautelare, disposta con riferimento alla misura adottata per prima, opera anche in
relazione ai termini relativi alla misura adottata con la seconda ordinanza e decorrenti dal
giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima (Cass., Sez. 3, 18-2-2009, n. 19047, CED
Cass.n. 243709). Il problema della contestazione a catena è dunque un problema di fissazione
del dies a quo relativamente alla decorrenza dei termini di custodia cautelare e la ratio
dell’istituto, come recentemente evidenziato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 204 del
2012), è quella di evitare che, rispetto ad una custodia cautelare in corso, intervenga un nuovo
titolo che, senza adeguata giustificazione, determini di fatto uno spostamento in avanti del
termine iniziale della misura. Questo il problema che si era posto all’attenzione della
giurisprudenza già sotto la vigenza del codice del 1930, il quale, nel testo originario, ignorava
la materia e manteneva fermo il principio dell’autonoma decorrenza dei termini relativi
all’esecuzione dì ogni titolo custodiale. Tuttavia la giurisprudenza aveva riconosciuto l’esistenza
di eccezioni a tale principio, sia nell’ipotesi di contestazione di medesimo fatto sia nell’ipotesi di
contestazione di fatti diversi, ove gli elementi su cui fondare il provvedimento restrittivo
fossero già in possesso dell’autorità giudiziaria al momento dell’adozione del primo mandato od
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Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

ordine di cattura. Al riguardo, la giurisprudenza aveva elaborato il criterio secondo il quale
occorreva valutare il momento in cui gli elementi probatori atti a legittimare l’emissione del
secondo titolo custodiale erano emersi e stabilire se essi fossero o meno già enucleabili dagli
atti al momento dell’emissione del primo provvedimento restrittivo. In tal caso avrebbe avuto
luogo l’effetto di retrodatazione dei termini di custodia cautelare al momento dell’esecuzione
del primo provvedimento (Cass., Sez. 1, 17-11-1976 n 1948, CEd Cass. 135305 ; Cass. Sez 2,
16- 3-1981 n 994, CED Cass. n. 148274). L’art. 271 c.p.p., comma 3, introdusse, per la prima
volta, nel sistema la figura della contestazione a catena, limitandola però al caso di

contestazione di un unico fatto o di concorso formale di reati. Di talché la giurisprudenza tenne
fermi, relativamente ad ogni altra ipotesi, i principi elaborati in precedenza. L’art. 297 c.p.p.,
comma 3, nuovo codice, nel testo originario, riprodusse sostanzialmente il testo dell’art. 271
c.p.p., comma 3, estendendo la disciplina della contestazione a catena all’aberratio delicti e
all’aberratio ictus plurilesive, che peraltro non sono, in sostanza, che forme qualificate di
concorso formale di reati, e disponendo, in queste ipotesi, la retrodatazione dei termini.
La L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 12, comma 1, ha introdotto il testo attuale dell’art. 297
c.p.p., comma 3. Naturalmente, l’art. 297 c.p.p., comma 3 è applicabile solo in riferimento alla
fase delle indagini preliminari, quando è necessario un controllo del giudice sull’attività del
pubblico ministero, anche in riferimento al termine di durata dello stato di privazione della
libertà dell’imputato. Nella fase dibattimentale, invece, o dopo che sia stata emessa la
sentenza di primo grado, non è prevista la possibilità di retrodatazione, in quanto il termine di
fase decorre dal decreto che dispone il giudizio, come espressamente previsto dall’ad 303
c.p.p.., (Sez 6, 15-5-2003, n. 32360, CED Cass n. 226284). È chiaro poi che la retrodatazione
del computo dei termini massimi di custodia cautelare a partire dal primo dei provvedimenti
emessi presuppone che l’ordinanza successiva sia stata notificata o eseguita poiché solo nel
caso in cui la misura sia divenuta operativa può parlarsi di perdita di efficacia, per estinzione
ex art. 306 c.p.p. (Sez. 6, 26-3-2003 n. 23785, CED Cass, n. 225912). Nella ipotesi in cui,
essendo l’imputato rimasto latitante durante l’intera fase delle indagini preliminari, la misura
cautelare venga eseguita dopo il rinvio a giudizio ed i termini vengano a scadere in tale fase,
non può però essere emesso altro provvedimento restrittivo per lo stesso fatto o per fatto
connesso, allo scopo di consentire il protrarsi della custodia cautelare mediante il recupero di
quella non eseguita nella fase delle indagini preliminari (Cass. Sez. 5, 5-4-2001 n 16879, CED
Cass. n. 219035). Per la configurabilità della contestazione a catena , dunque, sono necessari
seguenti presupposti; a) unicità dell’imputato; b) pluralità di ordinanze che dispongono la
medesima misura; c) anteriorità del fatto rispetto all’emissione della prima ordinanza; d)
unicità o diversità dei fatti per i quali sono emessi i titoli custodiali. A) unicità dell’imputato.
Occorre soltanto evidenziare che, a norma dell’art. 61 c.p.p., la disciplina si estende
all’indagato. B) Pluralità di ordinanze che dispongono la medesima misura. Al riguardo, si è
posto in giurisprudenza il problema se, in ordine alla custodia cautelare in carcere e agli arresti
domiciliari, possa o meno parlarsi di “medesima misura”: problema che non verrà trattato in

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questa sede, in quanto estraneo alla regiudicanda. C) Ai fini della retrodatazione dei termini di
decorrenza della custodia cautelare, ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, è indispensabile il
presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva rispetto
all’emissione della prima. Non è invece necessario che il soggetto si trovi ancora in stato di
detenzione, in forza di tale provvedimento (Sez 6, 24.4.2009, n. 24274, CED Cass. n.
245126). D) Unicità o diversità dei fatti per i quali sono emessi i titoli custodiali. Orbene l’art.
297 c.p.p., comma 3 contempla esclusivamente i reati avvinti da c.d. connessione qualificata
(concorso formale, continuazione o nesso teleologico). Potrebbe pertanto ritenersi, in

previsto i reati non avvinti da connessione qualificata, l’effetto di retrodatazione conseguente
alla contestazione a catena, in relazione a questi ultimi non possa aver luogo. Questa è stata
effettivamente l’opzione interpretativa accolta da una parte della giurisprudenza (Sez 1, 12
luglio 1999 n. 4894, CED Cass n. 214091), secondo la quale la disciplina stabilita dall’art. 297
c.p.p., comma 3 non trova applicazione, in base al tenore testuale della disposizione, allorché,
indipendentemente dal fatto che gli elementi posti a fondamento delle ordinanze successive
fossero o meno desumibili dagli atti all’epoca del primo titolo custodiale, tali elementi
attengano a fatti diversi in relazione ai quali non sussista alcuna delle ipotesi di connessione
cui la norma fa riferimento (Sez 6, 20-6-97 n. 4246, CED Cass. n. 208334; Cass, Sez 6, 21-397 n 1290, CED Cass. n 208891), pur essendovi colpevole inerzia o addirittura malizia del
Pubblico Ministero. Questo è il motivo per cui, già poco tempo dopo l’entrata in vigore della L.
n. 332 del 1995, si è formato un orientamento secondo il quale la disciplina di cui all’art. 297
c.p.p., comma 3 rimane applicabile anche alle contestazioni relative a fatti diversi non in
rapporto di connessione qualificata, sempre che in relazione ad essi si accerti che sussistevano,
a disposizione dell’autorità giudiziaria, già al momento del primo provvedimento restrittivo,
idonei indizi di colpevolezza (Sez 6, 29-4-96 n 1719, CED Cass n. 205891; Cass, Sez 6,21-397, n. 1290, CED Cass. n. 208891). E le Sezioni unite (Sez, Un. 22-3-2005, Rahulia) hanno
aderito a quest’orientamento, riconoscendo l’applicabilità dell’istituto della contestazione a
catena anche ai fatti non avvinti da connessione qualificata, ritenendo che la modificazione
dell’art. 297 c.p.p., comma 3 abbia rappresentato, nella evoluzione della disciplina della
contestazione a catena, non già una rottura rispetto alle consolidate acquisizioni
giurisprudenziali ma uno sviluppo coerente, contrassegnato da un aumento dei casi di
retrodatazione automatica, e che debba perciò concludersi che, al di fuori di tali casi,
circoscritti ai reati avvinti da connessione qualificata, il legislatore abbia lasciato immutata
l’impalcatura logica preesistente. Dunque, l’istituto della contestazione a catena, con il
conseguente effetto di retrodatazione dei termini di custodia cautelare relativi agli ulteriori titoli
custodiali, è applicabile anche qualora questi ultimi siano stati emessi per reati non avvinti da
connessione qualificata. A differenza però di quanto accade per i reati avvinti da connessione
qualificata, per i quali la retrodatazione opera automaticamente e cioè indipendentemente dalla
desumibilità dagli atti degli elementi giustificativi della misura cautelare all’atto della richiesta,
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applicazione del brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, che, non avendo la norma

da parte del pubblico ministero, del primo provvedimento cautelare, per quanto attiene ai reati
non avvinti da connessione qualificata, la retrodatazione avrà luogo a condizione che gli
elementi a fondamento dell’ulteriore o degli ulteriori titoli custodiali fossero desumibili dagli atti
al momento della formulazione, ad opera del requirente, della prima richiesta de libertate. A
queste condizioni, i termini delle misure disposte con le ordinanze successive decorrono dal
giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza. Questa opzione interpretativa è
stata fatta propria anche dalla Corte costituzionale, la quale, pronunciando su una questione di
legittimità costituzionale sollevata da un giudice di merito, vincolato, in qualità di giudice del

ritenuto, richiamando la pronuncia delle Sezioni unite poc’anzi citata, che il regime di garanzia
dovesse operare anche per i fatti diversi non connessi, poiché nessuno spazio può residuare in
capo agli organi titolari del potere cautelare di scegliere il momento a partire dal quale possono
essere fatti decorrere i termini custodiali in caso di pluralità di titoli e di fatti reato cui essi si
riferiscono. Il regime di garanzia dovrà operare pertanto in tutti i casi in cui, pur potendo i
diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi
causa l’autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l’adozione delle singole
ordinanze. La Corte ha conseguentemente dichiarato illegittimo l’art. 297 c.p.p., comma 3
nella parte in cui non si applica anche ai fatti diversi non connessi, allorché risulti che gli
elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della
emissione del precedente provvedimento coercitivo (C. cost. 25-5-2005 n. 408, CED Cass.n
29931). Sulla stessa linea, Sez. un. 19-12-2006, Librato (CED Cass. n. 235911) ha ribadito
che nel caso in cui le ordinanze cautelari riguardino fatti privi di connessione qualificata, la
retrodatazione opera solo se al momento dell’emissione del primo titolo custodiale, esistevano
elementi idonei a giustificare le misure applicate con quelli successivi.
Nel caso in disamina, il Tribunale del Riesame correttamente si è attenuto al principio di diritto
secondo cui in tema di ” contestazione a catena”, quando nei confronti di un imputato siano
emesse in procedimenti diversi più ordinanze cautelari relative a fatti tra i quali non sussiste
connessione qualificata, la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata delle misure
applicate con la seconda ordinanza, opera se gli elementi posti a base della stessa erano già
desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, sempre che i due procedimenti
siano in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione possa essere frutto
di una scelta del pubblico ministero ( Sez. 1, 13446/2008, rv.239656), ed ha sottolineato che
pur non ravvisandosi un intento del pubblico ministero di separare i due procedimenti per
procrastinare l’adozione della misura, cionondimeno la scelta di separare i due procedimenti, “è
una scelta non giustificata da ragioni processuali o esigenze di indagini talchè si risolve in una
indebita diluizione del tempo di carcerazione provvisoria”. Specifica infatti il Tribunale che dagli
atti in suo possesso emergeva che le fonti di prova di cui alla seconda ordinanza custodiale,
rappresentate essenzialmente dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, erano tutte
antecedenti all’emissione della prima ordinanza e dunque note all’ufficio del pubblico ministero
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rinvio, al principio di diritto di segno contrario, formulato da una decisione di questa Corte, ha

procedente tanto che la richiesta del secondo titolo cautelare è stata depositata il 13.3.2014
ovvero il giorno seguente al fermo di P.G. cui ha fatto seguito il 17.3.2014 , la prima ordinanza
cautelare , per cui è palese che il P.M., alla data di emissione della prima ordinanza cautelare,
già disponeva degli elementi per emettere il secondo provvedimento restrittivo.
In conseguenza di quanto sopra affermato il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso il ricorso del P.m..

Il consigliere estensore

Il presidente

Così deciso il 19 novembre 2015

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