Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2774 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2774 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: AIELLI LUCIA

Data Udienza: 19/11/2015

Buglione Antonio nato il 11.11.1971;
avverso l’ ordinanza n. 3222/2015 del Tribunale della Libertà di Napoli del 30/6/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dot. ssa Lucia Aielli;
udito il Sostituto Procuratore generale dott. ssa Paola Filippi che ha concluso per il rigetto del
ricorso;

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RITENUTO IN FATTO

Con provvedimento del 30/6/2015 il Tribunale del Riesame di Napoli, rigettava l’appello
proposto da Antonio Buglione avverso l’ordinanza di rigetto del GIP del 1.6.2015, di
sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con quella del divieto di dimora con
prescrizioni, richiesta dal Buglione.
Avverso tale ordinanza propone ricorso l’imputato, per mezzo del suo difensore di fiducia, il
quale denuncia la illogicità della motivazione in punto di adeguatezza della misura cautelare

potevano essere soddisfatte con misura meno afflittiva, vista sporadicità dell’ episodio
estorsivo contestato al Buglione, la sua non appartenenza ad alcun clan camorristico, il suo
stato di incensuratezza e la previsione normativa secondo cui non vi è affatto presunzione di
maggiore pericolosità sociale nel caso di contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7

L.

203/91, dovendosi comunque accertare le concrete ed attuali esigenze cautelari, come
richiesto dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 57/2013.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 comma 1 cod. proc. perì., in quanto con
esso vengono proposte censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente
giustificata. A questo riguardo più volte questa Corte ha ribadito che, nel momento del
controllo della motivazione, non si deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore
ricostruzione dei fatti, né si deve condividerne la giustificazione, dovendosi, invece, limitarsi a
verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento: ciò in quanto l’art. 606, comma primo, lett. e) del cod.
proc. pen. non consente alla Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa
interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla
correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Sez. U n. 12 del 31/5/2000,
Jakani, Rv. 216260; Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074). Per contro, la
motivazione del provvedimento impugnato è esaustiva, immune da palesi vizi di logica,
coerente con i principi di diritto enunciati da questa Corte e, pertanto, supera il vaglio di
legittimità. Il Tribunale di Napoli, verificata l’insussistenza di mutamenti di fatto che potessero
indurre a ritenere affievolite le esigenze cautelari, ha confermato il giudizio prognostico,
emesso dal primo giudice, fondandolo sulle gravi modalità della condotta posta in essere e
sulla personalità dell’indagato. A tal fine, con motivazione in fatto congrua e priva di
contraddizioni logiche, ha considerato irrilevanti ai fini dell’attenuazione del quadro cautelare
le circostanze dedotte nel ricorso, relative alla intervenuta recisione dei legami con il clan
camorristico Di Domenico, lo stato di incensuratezza dell’indagato, la sua partecipazione ad un
solo episodio estorsivo, trattandosi di elementi non nuovi, già valutati in sede di applicazione

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applicata: arresti domiciliarí, evidenziando che le esigenze cauteri sottese alla misura ben


della misura cautelare, né la misura cautelare, minore, richiesta, è apparsa adeguata al caso
concreto atteso che il prevenuto, al di là del dichiarato, non risultava affatto avere reciso i
legami con il gruppo criminale di riferimento, ed allo stesso in virtù della contestazione
dell’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91, è stata applicata la misura cautelare degli arresti
domiciliari, proprio in considerazione della valutazione di specificità e concretezza del fatto
contestato, in conformità alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 57/2013.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000 alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 19.11.2015

p.q.m.

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