Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27668 del 15/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 27668 Anno 2016
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TESFAMARIAN MISGUIN BRULE MEBRAT. TEMESGEN HAIL
N. IL 21/12/1965
avverso la sentenza n. 11014/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
19/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 15/03/2016

RITENUTO IN FATTO
– che l’imputato ricorre contro la sentenza indicata in epigrafe (che ne ha confermato la
condanna riportata in primo grado per il reato di truffa alla pena ritenuta di giustizia dal primo
giudice), lamentando violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’affermazione di
responsabilità;
– che, all’odierna udienza camerale, celebrata ex artt. 610, comma 1, e 611, comma 1,

da dispositivo in atti;
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di specificità in
tutte le sue articolazioni e del tutto assertivo, oltre che manifestamente infondato;
– che il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della
Corte di appello (che ripropone legittimamente le considerazioni del primo giudice, condivise
perché suffragate dagli elementi acquisiti, valorizzando l’accertata disponibilità del documento
di provenienza illecita di cui all’imputazione e di altre 86 fotografie formato tessera, una carta
di identità recante la foto dell’imputato con indicazione di generalità diverse, e diverse
fotocopie di permessi di soggiorno per stranieri, «elementi tutti sintomatici di falsificazione
di documenti di identità»;
– che questa Corte, con orientamento (Sez. IV, sentenza n. 19710 del 3.2.2009, CED
Cass. n. 243636) che il collegio condivide e ribadisce, ha osservato che, in presenza di una
c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie,
riguardante l’affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere
rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica
deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta
introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado
(<>);

c.p.p., il collegio ha preso atto della regolarità degli avvisi di rito, ed all’esito ha deciso come

- che, nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo
stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto
delle censure dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione in termini di sussistenza
della responsabilità dell’imputato;
– che, in concreto, il ricorrente si limita a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte
di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite,
fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali

– che questa Corte (Sez. VII, 16.2.2016, S.) ha già affermato che la ricettazione di bene
proveniente dal reato presupposto di cui all’art. 647 c.p. conserva rilevanza penale anche a
seguito dell’abrogazione dell’art. 647 c.p., disposta dall’art. 1, comma 1, d. Igs. 15 gennaio
2016, n. 7, in quanto, nell’ambito della fattispecie di ricettazione, la provenienza da delitto
dell’oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie
incriminatrice, e, pertanto, l’eventuale abrogazione di quest’ultima non assume rilievo ai sensi
dell’art. 2 c.p., dovendo la rilevanza penale del fatto essere valutata con esclusivo riferimento
al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione della cosa proveniente da
delitto;
– che l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di rilevare d’ufficio la prescrizione
del reato eventualmente maturata prima della sentenza di appello, ma non rilevata né
eccepita in quella sede o nei motivi di ricorso (Sezioni Unite, sentenza n. 12602 del 25 marzo
2016);
– che non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione
eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della totale
inammissibilità del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, più volte chiarito che
l’inammissibilità del ricorso per

«non consente il formarsi di un valido rapporto di

impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non
punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.>> (Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32 del 22
novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l’inammissibilità del ricorso era dovuta
alla manifesta infondatezza dei motivi, e la
successivamente alla data della sentenza impugnata con il

del reato era maturata
; conformi, Sez. un.,

sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n. 231164, e Sez. un., sentenza n. 19601
del 28 febbraio 2008, CED Cass. n. 239400);
– che la declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – apparendo
evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa
(Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186), e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa –

travisamenti delle prove valorizzate;

- della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione
pecuniaria;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso Roma, udienza camerale 15 marzo 2016
Il consiglier

sore

Il Pr

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