Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27666 del 15/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 27666 Anno 2016
Presidente: DE CRESCIENZO UGO
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CAUDULLO ROBERTO N. IL 15/12/1955
avverso la sentenza n. 908/2014 CORTE APPELLO di GENOVA, del
19/11/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 15/03/2016

RITENUTO IN FATTO
– che l’imputato ROBERTO CAUDULLO, in atti generalizzato, ricorre contro la sentenza
indicata in epigrafe (che ne ha confermato la condanna riportata in primo grado per il reato di
concorso in circonvenzione d’incapace alla pena ritenuta di giustizia dal primo giudice),
lamentando vizio di motivazione quanto all’affermazione di responsabilità;
– che, all’odierna udienza camerale, celebrata ex artt. 610, comma 1, e 611, comma 1,

da dispositivo in atti;
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di specificità in
tutte le sue articolazioni e del tutto assertivo, oltre che manifestamente infondato;
– che il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della
Corte di appello (che ripropone legittimamente le considerazioni del primo giudice, condivise
perché suffragate dagli elementi acquisiti, valorizzando l’evidenza delle condizioni di
incapacità della vittima della circonvenzione, peraltro dichiarate prima della costituzione
dell’impresa individuale <> e del precedente accesso presso uno studio
notarile per l’autenticazione della scrittura privata con la quale la predetta vittima aveva
acquistato l’azienda denominata «Mode>>, anche alla luce della testimonianza del tutore,
avv. SCALMANA: f. 1 ss.);
– che questa Corte, con orientamento (Sez. IV, sentenza n. 19710 del 3.2.2009, CED
Cass. n. 243636) che il collegio condivide e ribadisce, ha osservato che, in presenza di una
c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie,
riguardante l’affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere
rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica
deduzione) che l’argomento probatorio asseritannente travisato è stato per la prima volta
introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado
(«Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606
c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di
travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione
rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova
decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato
quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del
“devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, p

c.p.p., il collegio ha preso atto della regolarità degli avvisi di rito, ed all’esito ha deciso come

rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio
non esaminati dal primo giudice»);
– che, nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo
stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto
delle censure dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione in termini di sussistenza
della responsabilità dell’imputato;

di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite,
fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali
travisamenti delle prove valorizzate;
– che non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione
eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della totale
inammissibilità del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, più volte chiarito che
l’inammissibilità del ricorso per c

«non consente il formarsi di un valido rapporto di

impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non
punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.>> (Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32 del 22
novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l’inammissibilità del ricorso era dovuta
alla manifesta infondatezza dei motivi, e la presce de I reato era maturata
successivamente alla data della sentenza impugnata con il , conformi, Sez. un.,
sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n. 231164, e Sez. un., sentenza n. 19601
del 28 febbraio 2008, CED Cass. n. 239400);
– che la declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – apparendo
evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa
(Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186), e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione
pecuniaria;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale 15 marzo 2016
Il consigl

ore

Il Pr

– che, in concreto, il ricorrente si limita a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte

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