Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2765 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2765 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALANTI ALESSANDRO N. IL 05/08/1981
REGA SIMONE N. IL 24/01/1984
PERRACINO DAVIDE VITTORINO N. IL 12/10/1974
avverso l’ordinanza n. 1901/2015 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
10/07/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
1e/sentite le conclusioni del PG Dott. ./..L.A..;
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Uditti difensortAvv17

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Data Udienza: 10/11/2015

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza in data 20 luglio 2015 il tribunale del riesame di Roma confermava l’ordinanza
di misura cautelare emessa dal giudice delle indagini preliminari del tribunale di Roma nei
confronti di GALANTI Alessandro relativamente ai reati di partecipazione ad associazione
diretta dal narcotraffico (capo A) e tentativo di d’importazione di sostanze stupefacenti (capo
H), nei confronti di REGA Simone in ordine al reato di partecipazione all’associazione diretta 0.9,
narcotraffico (capo A) e tentativo di d’importazione di sostanze stupefacenti (capo D) e nei

Ricorrono per Cassazione gli indagati con distinti ricorsi
GALANTI Alessandro e REGA Simone presentano doglianze sovrapponibili in ordine al reato

«a,

di partecipazione all’associazione diretta narcotraffico. In particolare lamentano vizio di
motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Contestano che
il provvedimento impugnato si risolve in una prospettazione, meramente assertiva, degli
elementi costitutivi del delitto associativo, senza spiegare quali sarebbero gli elementi che
permetterebbero di affermare in capo ad ogni coimputato la consapevolezza di appartenere al
medesimo sodalizio e di finalizzare le condotte alla realizzazione dell’originario patto. Con
riguardo al GALANTI viene rilevato che l’ordinanza si è limitata ad affermare che l’ indagato
rappresenterebbe un punto di riferimento stabile per gli approvvigionamenti del gruppo facente
capo al TASSONE. Si contesta che tale assunto è assolutamente immotivato e del tutto
destituito di fondamento in quanto si fonda solo sulle affermazioni dello stesso tribunale.
Contesta lo stabile rapporto tra il GALANTI e il presunto sodalizio criminoso. Prova ne è che lo
stesso è accusato solo di un reato fine. Con riguardo al REGA viene rilevato che lo stesso non
può considerarsi associato perché non risulta avere avuto contatti con persone diverse dal
TASSONE.
REGA

rileva vizio della motivazione con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di

colpevolezza anche in ordine al tentativo di importazione di un ingente quantitativo di cocaina
di cui al capo D) della rubrica. Sostiene che la gravità indiziaria si basa su argomentazioni
apodittiche, congetturali e illogiche. Rileva che il tribunale ha superato le doglianze difensive
circa la configurazione del reato impossibile richiamando acriticamente il consolidato indirizzo
giurisprudenziale in tema di individuazione del momento consumativo dei reati concernenti la
cessione e la compravendita di sostanze stupefacenti, secondo il quale detti reati si
perfezionano con l’accordo indipendentemente dalla traditio.
Sostiene che nel caso di specie il consenso non ha investito tutti gli elementi fondamentali
della trattativa. Rileva che l’ordinanza ha motivato il proprio convincimento sulla base di un
palese travisamento delle risultanze delle intercettazioni dalle quali emerge solo il proposito di
una importazione. Sostiene che dalle intercettazione emerge anche che gli indagati sono stati
raggirati dai fornitori sudamericani.

confronti di PERRACCINO Davide Vittorino in ordine al reato di riciclaggio (capo F)

GALANTI

rileva vizio della motivazione con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi di

colpevolezza anche in ordine al tentativo di importazione di un ingente quantitativo di cocaina
di cui al capo H) della rubrica. Sostiene che il suo coinvolgimento nell’episodio in questione si
fonda esclusivamente sul contenuto delle comunicazioni telematiche intercettate che sono
state ricondotte a lui in modo congetturale sul presupposto che taluni interlocutori di dette
conversazioni utilizzavano codici identificativi rinvenuti nel corso della perquisizione disposta
nei suoi confronti. In ogni caso lamenta che il tribunale non ha dimostrato che tali
conversazioni si riferiscono al tentativo di importazione in argomento e non ha spiegato in

PERRACINO Davide Vittorino deduce mancanza di motivazione in relazione alla censura
avanzata in sede di riesame con riguardo alla mancanza di esigenze cautelari e comunque
illogicità e contraddittorietà in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.

Galanti presentava motivi aggiunti con i quali maggiormente illustrava i motivi principali. In
particolare disattendeva le argomentazioni poste dal tribunale a fondamento della sua
identificazione nell’utilizzatore delle utenze telematiche indicate con codice identificativo o con
nickname

CONSIDERATO IN DIRITTO

GALANTI Alessandro e REGA Simone contestano la sussistenza della gravità indiziaria con
riguardo ai reati loro contestati di partecipazione all’associazione diretta narcotraffico e di
tentativo di importazione.
Con riguardo alla gravità indiziaria deve rilevarsi che in tema di misure cautelari personali, la
valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di
legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza,
adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure,
che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una
diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente spettando alla corte di
legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto
delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere
«all’interno» del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o
diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate. In altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di
Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate,

modo esauriente il criterio che avrebbe utilizzato per decodificare i numeri rintracciati

ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile
del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al Tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di
verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle
ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti,

argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Questa Corte ha inoltre avuto modo di chiarire che la nozione di gravi indizi di colpevolezza
non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio
di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è sufficiente l’emersione di qualunque
elemento probatorio idoneo a fondare «un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato» in ordine ai reati addebitati. Pertanto, i detti indizi non devono essere valutati
secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc.
peri. (per questa ragione l’art. 273, comma ibis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4
dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla
gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi)( N. 118 del 2005 Rv. 232627, N.
37878 del 2007 Rv. 237475, N. 36079 del 2012 Rv. 253511, N. 7793 del 2013 Rv. 255053, N.
18589 del 2013 Rv. 255928; N 22345 del 2014 Rv. 261963)
Nel caso in esame il Tribunale del Riesame con motivazione logica e coerente ha dato conto
delle ragioni posta a fondamento delle scelte operate e del privilegio accordato agli elementi di
prova. In particolare i giudici di merito hanno dato atto della certa identificazione del GALANTI
nel DON NINO (successivamente mutato in DON PONGO e poi in DON PRONGO) utilizzatore del
PIN 2A1E14DE sulla scorta di certi e specifici elementi di fatto riportati a pag. 4 del
provvedimento impugnato. Così come certa è l’utilizzazione da parte del GALANTI del
nickname “uomo tigre, Tiger man, El Gran maestro e PIN 2°1545AE “come indicato a pag 5 del
provvedimento impugnato dove viene riferito uno specifico riscontro fattuale. Il Tribunale ha
altresì ritenuto certa l’identificazione del GALANTI nel “Tuta” facendo riferimento alla
comunicazione tra quest’ultimo e Virzì in occasione del rinvenimento da parte di quest’ultimo di
un apparato GPS all’interno della propria autovettura. E’ stata quindi sottolineata la sua
partecipazione al sodalizio criminoso come punto di riferimento stabile per gli
approvvigionamenti del gruppo in Sudannerica, dove il GALANTI abitualmente si recava,
richiamando specifiche comunicazioni telematiche – funzionali anche all’importazione di cui al
capo H) – che attestano la stabilità dei rapporti (pag.8 provvedimento impugnato). Così come
hanno dato atto che la comparsa del REGA nell’indagine non è limitata alla realizzazione
dell’operazione sub D) le cui modalità, peraltro, non sono indicativi di un contributo episodico,
destinato ad esaurirsi con la realizzazione di tale impresa criminosa ma, al contrario sono

risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle

sintomatiche dell’appartenenza associativa, come attestato dai rapporti consolidati con il
Tassone e gli altri soggetti partecipi del traffico e come si evince dalla comunicazione
intercettata del 16 maggio 2014 nel corso della quale il ricorrente nel ragionare dei motivi del
fallimento dell’operazione dava atto dell’esistenza di un rapporto fiduciario che poggiava su
una storia di collaborazione priva di ombre.
Con riguardo al capo D) deve inoltre rilevarsi che di scarso rilievo risulta la causa del mancato
reperimento della droga sulla nave,considerato che il Tribunale ha ricostruito con richiamo ad
atti specifici la trattativa per l’acquisto di un carico di 135 Kg di cocaina ( p.6 provvedimento

stupefacente, riconoscendo il compimento di atti idonei, diretti inequivocabilmente alla
consumazione della stessa condotta; in particolare, ha riconosciuto che queste azioni
rilevavano – di per sè – la precisa intenzione degli agenti di acquistare cocaina e, pertanto,
avevano la capacità, sulla base di una valutazione ex ante ed in relazione alle circostanze del
caso, di raggiungere il risultato prefisso, cui erano univocamente finalizzate. Ed in tal modo ha
concluso – con motivazione adeguata e coerente con queste risultanze investigative – che “gli
accordi presi per la fornitura di un grande quantitativo di stupefacente, la predisposizione delle
operazioni di invio costituivano atti idonei inequivocabilmente diretti alla perpetrazione del
reato contestato. Con riferimento al quale, quindi, di scarso rilievo risulta poi la causa del
mancato reperimento della droga sulla nave, considerato che, come affermato, tale evento
deve comunque ritenersi dovuto a cause indipendenti dalla volontà degli imputati che erano in
attesa del carico.
Sul punto non può non rilevarsi che il compendio probatorio riportato nel provvedimento
censurato evidenzia che,certamente, il pactum sceleris aveva trovato pieno compimento con
riguardo (quantomeno) alla quantità e qualità della sostanza trattata, si da integrare
compiutamente i requisiti di cui all’art. 56 c.p.. In forza di queste considerazioni, deve essere
poi esclusa anche l’ipotizzata figura del reato impossibile di cui all’art. 49 c.p., comma 2. Ed
invero, premesso che, per costante indirizzo di legittimità, l’inesistenza dell’oggetto da luogo a
reato impossibile solo quando sia originaria ed assoluta, ovvero l’oggetto stesso sia inesistente
in rerum natura, non anche quando sia mancante in via temporanea o per cause accidentali
(da ultimo Cass. n. 26505 del 2015 Rv. 264396); non può non rilevarsi che il Tribunale rispondendo alla medesima doglianza – ha precisato che “sicuramente esisteva un ingente
quantitativo di droga inviata dai fornitori sudamericani”, come emerso dal complesso delle
trattative, registrate dalle conversazioni intercettate, e dalla perdita del denaro inviato (conv.
30.6.2014), con ciò confermando la completezza dell’accordo con i fornitori intervenuto anche
sul prezzo
Può quindi affermarsi che a fronte di tutto quanto esposto dai giudici di merito GALANTI e
REGA contrappongono unicamente generiche contestazioni in fatto, con le quali, in realtà, si
propongono solo una non consentita – in questa sede di legittimità – diversa lettura degli
elementi valutati dai giudici di merito. Inoltre, le censure non tengono conto delle

impugnato) e ha concluso per la piena configurabilità del delitto di tentata importazione di

argomentazioni del Tribunale. In proposito questa Corte Suprema ha più volte affermato il
principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione
quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le
affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce,
ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez.
1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004-rv 230634)
Così come il Tribunale con riguardo alle censure avanzate dal PERRACINO in ordine alle

ordine alle esigenze cautelari deve osservarsi che gli atti o i comportamenti concretamente
sintomatici della pericolosità dell’indagato possono essere individuati nelle modalità e nella
gravità dei fatti. L’art. 274 c.p.p., lett. c), non impedisce infatti di trarre il pericolo concreto di
reiterazione dei reati della stessa specie cioè lesivi dell’interesse protetto e dello stesso valore
costituzionale anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella loro
obiettività, secondo l’indirizzo assolutamente prevalente e consolidato negli anni, tanto da
essere ormai costante (Cass. sez. 1, 21 febbraio 1996 n. 277 rv. 203726 cui adde Cass. sez. 3,
23 luglio 1996 n. 2631, rv. 205820; Cass. sez. 5, 4 agosto 1999 n. 1416 rv. 214230; Cass.
sez. 2, 21 febbraio 2000 n. 726 rv. 215403, Cass. sez. 3, 4 maggio 2000 n. 1384 rv. 216304 e
Cass. sez. 6, 21 dicembre 2001 n. 45542 rv. 220331 e di recente con riguardo a varie sezioni
Cass. sez. 3, 23 aprile 2004 n. 1995 rv. 228882, Cass. sez. 6, 4 aprile 2005 n. 12404 rv.
231323 e Cass. sez. 5, 19 dicembre 2005 n. 45950 rv. 233222).
Ed invero la valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi da criteri,
oggettivi e dettagliati stabiliti dall’art. 133 c.p., fra i quali sono comprese le modalità e la
gravità del fatto-reato, sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica
gravità, ma devono valutarsi situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad
elementi sintomatici della pericolosità del soggetto, come ha fatto l’impugnata ordinanza, con
una motivazione fondata sulla concretezza dei fatti (la dedizione in modo sistematico ad
attività di riciclaggio di importanti somme di denaro di origine delittuosa) e non su criteri
generici e/o automatici. Proprio la gravità del fatto, le articolate modalità esecutive, le rilevanti
risorse finanziarie, il respiro intercontinentale delle iniziative delittuose, la vasta rete di contatti
internazionali messi in luce dalle indagini, hanno portato il tribunale a ritenere che l’unica
misura idonea ad arginare l’elevato pericolo di recidivanza fosse quella di massimo rigore, non
potendosi fare affidamento alcuno sulla disponibilità e capacità dell’indagato di rispettare
misure gradate, come quella degli arresti domiciliari, ben potendo, dal proprio domicilio
intraprendere altre iniziative delittuose analoghe avendo mostrato nel settore di competenza
una non comune spregiudicatezza e determinazione criminosa.
I ricorsi sono pertanto inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di € 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

esigenze cautelari ha dato atto con motivazione coerente e logica dell’alto rischio di recidiva. In

P.Q.M.

Dichiara inamnnissibilcì i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
e ciascuno della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende. Si provveda a norma
dell’art. 94 co 1 ter Disp.att.c.p.p.

Così deliberato in Roma il 10.11.2015

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