Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27649 del 04/03/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 27649 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: ACETO ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MANNA ROSARIA N. IL 09/10/1994
avverso la sentenza n. 15363/2015 GIP TRIBUNALE di NAPOLI, del
25/09/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO ACETO;

Data Udienza: 04/03/2016

RGN 43373/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con la sentenza in epigrafe indicata, il G.i.p. del Tribunale di Napoli ha applicato, nei confronti della sig.ra Rosaria Manna, la pena concordata di un anno e
sei medi di reclusione e 300,00 euro di multa per il reato continuato di cui agli
artt. 349, cpv., 633, 639-bis, cod. pen., 44, lett. b), 71 e 72, d.P.R. n. 380 del
2001, commesso in Napoli fino al 18/04/2015, e ha concesso il beneficio della

luoghi.

2.Propone ricorso per cassazione l’imputata chiedendo l’annullamento della
sentenza per eccessività della pena inflitta e per la mancata indicazione di un
termine entro il quale operare la riduzione in pristino.

3.11 ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.

4.Ricorda la Suprema Corte che, secondo un ormai consolidato principio,
«facendo richiesta di applicazione della pena, l’imputato rinuncia ad avvalersi
della facoltà di contestare l’accusa, o, in altri termini, non nega la sua responsabilità ed esonera l’accusa dall’onere della prova; la sentenza che accoglie la detta
richiesta contiene, quindi, un accertamento ed un’affermazione impliciti della responsabilità dell’imputato, e pertanto l’accertamento della responsabilità non va
espressamente motivato, così come l’affermazione di responsabilità non va
espressamente dichiarata>> (Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, Di Benedetto). Di
conseguenza, «la motivazione della sentenza che applica la pena su richiesta
delle parti a norma dell’art. 444 comma secondo cod. proc. pen. si esaurisce in
un, delibazione ad un tempo positiva e negativa. Positiva a quanto all’accertamento: 1) della sussistenza dell’accordo delle parti sull’applicazione di una determinata pena; 2) della correttezza della qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione delle eventuali circostanze; 3) della
congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.; 4) della concedibilità della sospensione condizionale della pena, qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla concessione del beneficio.
Negativa quanto alla esclusione della sussistenza di cause di non punibilità o di
non procedibilità o di estinzione del reato. Le delibazioni positive debbono essere
necessariamente sorrette dalla concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di
diritto, mentre, per quanto riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna
delle ipotesi previste dall’art. 129 cod. proc. pen., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui

sospensione della pena condizionandola alla riduzione in pristino dello stato dei

dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla
non ricorrenza delle suindicate ipotesi. In caso contrario, è sufficiente la semplice
enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica
richiesta dalla legge e cioè che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen..» (Sez. U, Di Benedetto,
cit.).
4.1.Unico dovere indeclinabile del giudice resta perciò quello di «esaminare, prima della verifica dell’osservanza dei limiti di legittimità della proposta di

stenza di una qualsiasi causa di non punibilità, la cui operatività, giustificando il
proscioglimento dell’imputato e creando un impedimento assoluto all’applicazione della sanzione, è necessariamente sottratta ai poteri dispositivi delle parti.
Tale operazione preliminare consiste in una ricognizione allo stato degli atti, che
può condurre a una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc.
pen. soltanto se le risultanze disponibili rendano palese l’obiettiva esistenza di
una causa di non punibilità, indipendentemente dalla valutazione compiuta dalle
parti e senza la necessità di alcun approfondimento probatorio e di ulteriori acquisizioni» (Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, Messina).
4.2.La natura “negoziale” dell’accordo, una volta correttamente ratificato dal
giudice nei termini sopra indicati, inibisce alla parte di proporre ricorso per motivi
concernenti la misura della pena, a meno che si versi in ipotesi di pena illegale
(Sez. 3, n. 18735, del 27/03/2001, Ciliberti; m. 219852; Sez. 3, n. 10286 del
13/02/2013, Matteliano), circostanza esclusa nel caso in esame.

5.La mancata indicazione del termine entro il quale l’imputata deve procedere alla rimessione in pristino (rectius: alla demolizione delle opere abusivamente
realizzate) per poter fruire del beneficio della sospensione condizionale della
pena non determina la nullità della sentenza, costituendo insegnamento maggioritario e costante di questa Suprema Corte che in tal caso il termine per adempiere all’obbligo di demolizione del manufatto abusivo cui sia stato subordinato il
beneficio della sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il giudice abbia omesso di provvedere alla sua indicazione, è quello di giorni novanta dal passaggio in giudicato della sentenza, desumibile dai parametri della disciplina urbanistica prevista dall’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (così, da ultimo,
Sez. 3, n. 7046 del 04/12/2014, Baccari, Rv. 262419).

6.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammen-

pena concordata, gli atti del procedimento al fine di riscontrare l’eventuale esi-


de, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C
1500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 04/03/2016

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