Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27534 del 19/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 27534 Anno 2016
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DANE DAVIDE LORENZO N. IL 08/07/1964
avverso la sentenza n. 3137/2013 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 24/09/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;

Data Udienza: 19/05/2016

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il provvedimento in epigrafe del 24 settembre 2014, in parziale riforma della
sentenza del 14 marzo 2013 del Giudice dell’udienza preliminare di Teramo, la Corte
d’appello di L’Aquila ha condannato Davide Lorenzo Dane al risarcimento del danno in favore
della parte civile Stefania

h

Febbo oltre alla rifusione delle spese del grado, confermando nel

resto la condanna inflitta per il reato di calunnia.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Avv. Mauro Cimbalo,
difensore di fiducia di Davide Lorenzo Dane ed ha eccepito: a) la violazione di legge

motivazione con riferimento all’accertamento della falsità del contratto di compravendita
dell’agenzia di intermediazione immobiliare nonché con riguardo alla corrispondenza fra il
prezzo della macchina fotografica acquistata presso il negozio della parte civile e l’importo
per il quale l’imputato ha sostenuto di avere compilato l’assegno; b) la violazione di legge
penale ed il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche
ed alla determinazione della pena.
3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
4. Oltre a riprodurre nella sostanza le medesime argomentazioni già esposte dinanzi ai
Giudici di merito, e dagli stessi correttamente disattese, i motivi sono volti a sollecitare una
rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali e dunque una valutazione
alternativa delle fonti di prova, piuttosto che a denunciare vizi riconducibili al disposto
dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., promuovendo uno scrutinio non espletabile
dalla Corte di legittimità, che si deve limitare a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal
giudice di merito per verificare la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu muti
percepibili, senza possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni
processuali (ex plurimis Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
5. Ad ogni modo, la Corte territoriale ha ben argomentato tanto l’autografia della firma
di traenza dell’assegno e l’attribuibilità al Dane delle scritture di riempimento, quanto la
mancata corrispondenza fra il prezzo della fotocamera acquistata dall’imputato e l’importo
indicato sull’assegno (v. pagina 3 della sentenza in rassegna), con considerazioni aderenti
alle emergenze processuali e sostenute da coerenza logica, pertanto insindacabili nella sede
di legittimità.
6. Incensurabile con il ricorso per cassazione è anche l’ultimo motivo, con il quale il
ricorrente si duole della valutazione espressa dai decidenti di merito in punto di applicazione
delle circostanze attenuanti generiche e di determinazione della pena.
Il Giudice d’appello ha invero dato atto delle ragioni per le quali ha stimato non
applicabili le circostanze attenuanti generiche, in ragione della gravità dei fatti e del danno
economico provocato alle persone offese nonché della pervicacia criminale dell’imputato e,
dunque, dell’assenza di elementi positivamente valutabili. Valutazioni che si pongono in linea
con il consolidato insegnamento di questo Giudice di legittimità, secondo il quale le
circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento

processuale in relazione alle norme in punto di valutazione della prova ed il vizio di

della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che
effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere
dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno
positivo (Cass. Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900).
7. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna della ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del
procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 2.000,00

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 19 maggio 2016
Il consigliere estensore

Il Presid

euro.

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