Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27507 del 08/04/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 27507 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: DUBOLINO PIETRO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI BENEDETTO ANGELO N. IL 21/12/1937
avverso la sentenza n. 2030/2009 CORTE APPELLO di CATANIA, del
25/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIETRO DUBOLINO;

Data Udienza: 08/04/2013

CONSIDERATO IN DIRITTO:
– che il ricorso va dichiarato inammissibile anzitutto per la pregiudiziale ed
assorbente ragione costituita dal fatto che esso è privo di valida sottoscrizione, tale
non potendosi considerare il solo segno di croce, ancorchè munito di apparente
autentica da parte del difensore (in tal senso: Cass. IV, 22 novembre 1995 — l
febbraio 1996 n. 1108, Caccavale, RV 204086; Cass. VI, 18 marzo — 13 maggio 1998
n. 5573, De Domenico, RV 210651);
– che, peraltro, il ricorso sarebbe da ritenere inammissibile anche per il suo
contenuto, in quanto:
a) con riguardo al primo motivo, non si vede (né si spiega) per quale ragione, dal
solo fatto costituito dall’asserita cecità dell’imputato, dovesse desumersi la
impossibilità che egli potesse essersi reso responsabile della realizzazione
dell’allaccio abusivo alla condotta idrica mediante il quale l’acqua giungeva alla sua
abitazione, quasi che il detto allaccio non potesse essere stato materialmente
effettuato anche da soggetto diverso da esso imputato, su richiesta di quest’ultimo o,
comunque, d’intesa con lui;
b) con riguardo al secondo motivo, lo stesso non considera che per “violenza sulle
cose”, ai fini della legge penale, deve intendersi, ai sensi dell’art. 392. comma
secondo, c.p., non solo il “danneggiamento”, ma anche la “trasformazione” o il
“mutamento di destinazione” della cosa sulla quale si esercita la condotta dell’agente,
di tal che ben a ragione la manomissione della condotta idrica per inserirvi la

RILEVATO IN FATTO:
– che con l’impugnata sentenza, in conferma di quella di primo grado, DI
BENEDETTO Angelo fu ritenuto responsabile di furto aggravato di acqua potabile
realizzato mediante la realizzazione di un allaccio abusivo alla pubblica conduttura;
– che avverso detta sentenza è stato proposto ricorso per cassazione recante, come
sottoscrizione, dopo l’indicazione a stampa del nome dell’imputato, un segno di
croce, seguito dalle parole “vera la superiore firma” e dalla sottoscrizione ad opera
del difensore;
– che in detto atto si denuncia vizio di motivazione:
1) in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato, sulla sola base del fatto che
egli era titolare dell’abitazione alla quale metteva capo l’allaccio abusivo alla
pubblica conduttura, non essendosi considerato che lo stesso imputato era affetto da
cecità da altre trent’anni;
2) in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della violenza sulle cose,
essendosi la corte territoriale limitata a richiamarsi, al riguardo, a quanto affermato
dal giudice di prime cure, secondo cui la violenza era “insita nella manomissione
della condotta idrica per collegarvi il proprio flessibile”;
3) in ordine al diniego dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., siccome basato sul
riferimento a concetti del tutto inconferenti, quali il “disvalore penale dell’illecito
realizzato” ed il “marcato allarme” che fatti come quello in esame susciterebbero
nella collettività;
4) in ordine alla mancata applicazione dell’indulto di cui alla legge n. 241/2006;

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento nonché al versamento della somma di euro mille alla cassa
delle ammende.
Così decis
I 8 aprile 2013
Il Presidente

derivazione abusiva che portava l’acqua nell’abitazione dell’imputato è stata
considerata come integratrice, di per sé, dell’aggravante in questione, comportando
essa, se non un danneggiamento di detta condotta, quanto meno una sua
trasformazione o un mutamento di destinazione, dal momento che rendeva possibile,
mediante un intervento materiale di modificazione del suo stato originario, il prelievo
dell’acqua da parte di soggetto diverso da quelli ai quali l’acqua era destinata;
c) con riguardo al terzo motivo, vale osservare che le espressioni ivi richiamate,
delle quali si lamenta l’inconferenza rispetto al diniego dell’attenuante di cui all’art.
62 n. 4 c.p., risultano invece, dalla lettura dell’impugnata sentenza, funzionali
soltanto alla giustificazione della ritenuta adeguatezza, in generale, del trattamento
sanzionatorio, senza alcun riferimento alla suddetta attenuante, della quale, peraltro,
stando alla non contestata sintesi dei motivi d’appello contenuta nella medesima
sentenza, non risulta che fosse stata avanzata, in detti motivi, specifica richiesta;
d) con riguardo al quarto motivo, lo stesso (in linea con un noto e consolidato
orientamento giurisprudenziale) deve ritenersi non sostenuto da apprezzabile
interesse giuridico, dal momento che, non risultando che la corte di merito abbia
inteso negare espressamente l’applicabilità dell’indulto sulla pena inflitta, ma
essendosi limitata a non prenderla in considerazione, ha per ciò stesso lasciata aperta
la possibilità che il beneficio, ove l’imputato ne abbia effettivamente diritto, venga
applicato in sede esecutiva;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo
di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo
stimasi equo fissare in euro mille;
P. Q. M.

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