Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 274 del 05/12/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 274 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– DE SANTIS FABIO NICOLA, n. 8/04/1970 a Caserta

avverso la ordinanza del Tribunale del riesame di SANTA MARIA CAPUA VETERE in
data 15/05/2017;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. S. Perelli, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni del difensore, Avv. F. Pontieri, che ha chiesto
accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 05/12/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 15.05.2017, depositata in data 12.06.2017, il Tribunale del
riesame di Santa Maria Capua Vetere rigettava la richiesta di riesame presentata
dall’indagato De Santis avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il
25.03.2017 dal GIP/tribunale SMCV, avete ad oggetto i beni in proprietà del me-

all’ammontare delle imposte evase, complessivamente di C 1.120.575,00) e l’importo delle somme di denaro già reperite in sede esecutiva; giova precisare, per
migliore intelligibilità dell’impugnazione, che il De Santis risulta attualmente indagato, unitamente al germano Francesco ed al padre Giuseppe, del reato di omessa
dichiarazione ex art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000, in quanto n.q. di rappresentante di
fatto, unitamente al fratello, della s.r.l. Antiche Cascine Italiane, al fine di evadere
le imposte, non presentavano le dichiarazioni annuali relative alle II.DD. ed all’IVA
per l’anno di imposta 2012, così evadendo IRES per C 373.692,00 ed IVA per C
746.883,00.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il De Santis, a mezzo del difensore di fiducia,
iscritto all’Albo speciale ex art. 613 c.p.p., deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod.
proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) e c), c.p.p.,
sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione con riferimento al reato
contestato, in relazione alla insussistenza del fumus commissi delicti.
In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che nel corso dell’udienza camerale
15.05.2017 era stata depositata un’articolata memoria, con allegata documentazione, volta a confutare l’esistenza del fumus come ritenuto nel decreto di sequestro; si contestava il presupposto de3 sequestro per equivalente, osservandosi
come l’indagato non poteva essere considerato l’amministratore di fatto della società in ragione della capacità operativa, documentalmente dimostrata, dei coniugi
De Santis Giuseppe e D’Angelo Giuseppa (genitori dell’indagato e titolari della società) nell’anno 2012, oggetto di contestazione; il GIP, seguito dal tribunale del
riesame, aveva invece escluso tale capacità da parte dei genitori dell’indagato sulla
base di un’asserita grave malattia ed incapacità di condurre l’ordinaria amministrazione di un’impresa, rilevata dai militari operanti in occasione dell’accesso
presso il domicilio avvenuto a distanza di ben quattro anni dai fatti in contestazione
e finalizzato all’espletamento dell’attività delegata dal PM; a tal fine il ricorrente,
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desimo, per un valore pari alla differenza fra l’importo del profitto conseguito (pari

dopo aver illustrato la documentazione depositata (verbali di indagini difensive
relativi alle s.ii.tt. rese da due operai della società; relazione tecnica asseverata a
firma del progettista ing. De Santis Giuseppe allegata al p.d.c. n. 1/2013 rilasciato
dal comune di Ailano; determinazione area tecnica n. 9 dell’8.07.2013 del Comune
di Valle Agricola avente ad oggetto l’affidamento all’Ing. De Santis Giuseppe
dell’incarico tecnico relativo ai lavori di completamento rete fognante/collettore e

la piena capacità del padre dell’indagato, assolutamente in grado di gestire operativamente la società, ciò che troverebbe documentale conferma nella nomina del
medesimo, nel 2013, quale liquidatore della stessa società, nomina avvenuta a
mezzo di rogito notarile che attestava la capacità del genitore dell’indagato poiché,
diversamente, il notaio non avrebbe potuto procedere alla redazione dell’atto; si
censura, dunque, l’impugnata ordinanza per non aver preso in esame detta documentazione, con conseguente violazione di legge, essendo venuto meno il tribunale del riesame al proprio compito di controllo della legittimità della misura cautelare applicata, omettendo di esercitare quell’autonomo apprezzamento relativo
agli elementi forniti dalla difesa, appiattendosi alle considerazioni espresse dalla
PG, dal PM e dal GIP; non sarebbe idoneo a calmare tale deficit motivazionale, né
il richiamo all’esistenza di una delega ad operare su uno dei cc/cc intestati alla
società, peraltro condivisa con tutti i membri della sua famiglia, né, tantomeno, le
garanzie prestate in favore della società che risalivano a data successiva al periodo
in contestazione; in relazione a quanto sopra, osserva la difesa, si contestava il
quadro accusatorio dimostrando che le mansioni effettivamente svolte dal De Santis apparivano pienamente compatibili con il ruolo di unico impiegato amministrativo di secondo livello della società, in quanto tale abilitato all’effettuazione e ricezione di pagamenti anche attraverso le relative informazioni bancarie, laddove
ogni decisione strategica ed organizzativa era rimessa in via esclusiva ai genitori
dell’indagato, titolari della società; la motivazione, dunque, sarebbe inficiata dal
vizio di motivazione apparente.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) e c), c.p.p.,
sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione con riferimento agli artt.
321 e 324, c.p.p. e 322-ter, c.p.
In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che la difesa aveva depositato ai giudice
del riesame un parere tecnico-contabile, elaborato da un professionista, relativo
all’esatta determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa; il tecnico, in particolare, avrebbe esposto che il debito tributario contestato non era stato correttamente quantificato, in quanto nel calcolo dell’IVA dovuta non venivano presi in
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impianto di depurazione), sottolinea come dalla stessa emergesse indubbiamente

considerazione i dati reali emersi dagli accertamenti della PG delegata, alla luce
die quali l’ammontare complessivo dell’imposta evasa avrebbe dovuto essere rideterminato in C 433.563,00 mentre nel calcolo dell’IRES la somma eventualmente dovuta ed in astratto contestabile avrebbe dovuto essere quantificata in C
61.735,30, dunque un ammontare di imposta evasa pari ad C 495.298,30; il tribunale, sul punto, avrebbe omesso ogni valutazione rimettendo alla fase del me-

con la ratio ed i tempi del procedimento di riesame un simile approfondimento in
fase cautelare incidentale mediante incarico di c.t.; diversamente, sostiene il ricorrente, il tribunale avrebbe dovuto procedere ad analizzare in concreto i dati
segnalati dal c.t. della difesa come estrapolati dagli atti di indagine e, quindi, addivenire eventualmente ad una congrua riduzione dell’importo sequestrabile ai fini
della confisca per equivalente; l’aver rinviato tale approfondimento alla fase del
merito, ritenendo tale accertamento incompatibile con la fase incidentale, costituirebbe palese violazione dell’obbligo di verifica anche in sede cautelare delle deduzioni difensive.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.

4. Ed invero, ambedue i profili di doglianza risultano affrontati con argomentazioni
immuni da vizi da parte dei giudici del riesame, i quali argomentano in maniera
completa e del tutto immune dai vizi denunciati su ambedue le censure.
In particolare, nell’ordinanza, quanto al ruolo di gestione attiva dell’indagato nella
società, i giudici del riesame precisano che il potere di movimentare capitali attribuito al ricorrente risulti incompatibile con la qualifica meramente esecutiva di
ordine superiore del titolare di una ditta, presupponendo un’autonomia e un potere
decisionale indipendente; in particolare, si legge nell’ordinanza, la sussistenza di
un vincolo fiduciario appare rafforzare l’ascrivibilità all’indagato della qualifica di
legale rappresentante, denotando la scissione tra la titolarità formale e quella effettiva delle operazioni più rilevanti per la prosecuzione delle attività imprenditoriali; tra gli elementi valorizzati dall’ordinanza impugnata, in particolare, vi sono
in particolare le dichiarazioni rese alla GdF dai legali rappresentanti delle ditte che
intrattenevano all’epoca dei fatti relazioni commerciali con la Antiche Cascine s.r.I.,
oltre che la delega ad operare sul c/c bancario acceso presso il Banco di Napoli
intestato alla società, la garanzia personale intestata a favore della stessa, oltre

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rito il tema dell’esatta determinazione dell’imposta evasa, essendo incompatibile

che la condizioni di salute precarie dei genitori dell’indagato che li rendevano incapaci di porre in essere le ordinarie azioni di gestione societaria.

5. Orbene, osserva il Collegio, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze difensive, sotto l’apparente censura di vizi di violazione di legge, in realtà
tradiscono il malcelato tentativo di criticare la ricostruzione dei fatti e la valuta-

quindi all’evidenza un articolato “dissenso” rispetto agli approdi valutativi del tribunale del riesame, dissenso che non si traduce nemmeno (e non potrebbe del
resto esserlo in questa sede incidentale cautelare, attesi i ristretti limiti imposti
dall’art. 325 cod. proc. pen., che restringe i vizi deducibili nella sola violazione di
legge: per tutte, v. Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710) nella prospettazione di vizi motivazionali.
Ne discende, pertanto, che il motivo di ricorso si appalesa inammissibile in quanto
proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge.

6. I profili di doglianza prospettati in sede di primo motivo, si appalesano, in ogni
caso anche manifestamente infondati, soprattutto alla luce del sintetico ma sufficiente apparato argomentativo e tenuto conto dei ristretti limiti del sindacato esercitabile da questa Corte (e dal tribunale del riesame) in sede di incidente cautelare
reale. Questa Corte, ha, infatti, più volte affermato che in tema di misure cautelari
reali, sia nel giudizio di riesame sia in sede di sindacato di legittimità, non è dato
verificare la sussistenza del fatto reato ma solo accertare se la fattispecie astratta
di reato ipotizzata dall’accusa trovi conforto nella previsione penale, sulla base
della probabile commissione del fatto medesimo. Parimenti, per quel che attiene
in particolare alle condizioni di applicabilità del sequestro preventivo nella fase
delle indagini preliminari, devono configurarsi quelle ragioni di prevenzione e di
attinenza della cosa da sequestrare con il fatto reato, come sopra prospettato,
previste dai commi primo e secondo dell’art. 321 cod. proc. pen., da verificare
anch’esse in termini di sommarietà e provvisorietà (Sez. 6, n. 3590 del
26/11/1993 – dep. 07/02/1994, Pomicino ed altro, Rv. 196629).
E, sul punto di censura, la questione “gestoria” di fatto dell’indagato della Antiche
Cascine s.r.1, è altresì questione di fatto insindacabile in sede di legittimità. Deve,
infatti, essere ricordato che, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dal
art. 2639 cod. civ. postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri
tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria,
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zione degli elementi indiziari operata dal tribunale del riesame, prospettando

svolta in modo non episodico od occasionale. L’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica (v., tra le tante: Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005 – dep.
30/11/2005, Carboni, Rv. 232456).
Conclusivamente, è dunque evidente che il ricorrente, attraverso la prospettazione

stione di fatto, in sostanza chiede a questa Corte di sostituirsi alla valutazione
operata dai giudici del riesame così cercando di sottoporre un controllo sulla logicità della motivazione (operazione del tutto vietata non solo in questa sede incidentale cautelare reale ex art. 325 c.p.p., ma del tutto inibita in sede di legittimità,
tant’è che più volte si è affermato che il controllo di legittimità sulla correttezza
della motivazione non consente alla Corte di cassazione di sostituire la propria
valutazione a quella dei giudici di merito in ordine alla ricostruzione storica delle
vicenda ed all’attendibilità delle fonti di prova, e tanto meno di accedere agli atti,
non specificamente indicati nei motivi di ricorso secondo quanto previsto dall’art.
606, primo comma, lett. e) cod. proc. pen. come novellato dalla L. n. 46 del 2006,
al fine di verificare la carenza o la illogicità della motivazione: Sez. 1, n. 20038 del
09/05/2006 – dep. 13/06/2006, P.M. in proc. Matera, Rv. 233783).

7. Non miglior sorte merita il secondo motivo, relativo al quantum dell’imposta
evasa.
Sul punto, il tribunale del riesame motiva osservando come il metodo di accertamento induttivo delle imposte evase appare sufficiente, unitamente alle indagini
bancarie, ad integrare il fumus necessario per ritenere legittimamente adottato il
provvedimento cautelare, aggiungendo che la circostanza che il predetto accertamento si basi su criterio induttivo non mina né la legittimità dello stesso né la
sussistenza del fumus; a tal fine, non solo sottolinea che la determinazione dell’imposta evasa con il metodo dell’accertamento induttivo è legittima in quanto metodo previsto dalla legge, ma aggiunge anche che la contestazione relativa al pedissequo recepimento dei dati forniti dall’A.F. nel corpo della CNR non può essere
oggetto di valutazione nella sede incidentale cautelare, essendo la stessa volta a
corroborare la tesi del mancato superamento della soglia della punibilità e, quindi,
da delegare alla fase del merito; né il richiamo alle investigazioni difensive, aggiunge il tribunale, è idoneo a minare la fondatezza dell’accusa e quindi del fumus
del reato, limitandosi ad offrire uno spunto contrario acquisito senza il contraddittorio con il PM, essendo state le predette investigazioni difensive prodotte il giorno
dell’udienza; infine, conclude l’ordinanza impugnata, eventuali contestazioni sul
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degli elementi fattuali dianzi illustrati a sostegno della insussistenza di una ge-

volume delle imposte evase dovranno essere rimesse alla fase del merito, non
essendo possibile svolgere un approfondimento istruttoria in sede di riesame mediante incarico di c.t., incompatibile con il procedimento incidentale, né un atto di
parte in assenza di contraddittorio, un atto di parte può ritenersi sufficiente a scalfire il fumus fornito dalla prova documentale fornita dall’A.F.

difensive sono del tutto sprovviste di pregio.
Il richiamo al parere tecnico-contabile, elaborato da un professionista, relativo
all’esatta determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, è stato infatti correttamente ritenuto dal tribunale del riesame inidoneo ad inficiare le risultanze
dell’attività investigativa sulla cui base era stato disposto il relativo sequestro. Il
ricorrente, infatti, dimentica che, sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è
granitica nell’affermare che in sede di riesame o di appello avverso una misura
cautelare reale, il tribunale non è tenuto a dirimere le questioni tecniche e contabili
per la cui risoluzione è necessario il ricorso ad un accertamento peritale, costituendo questo un mezzo istruttorio incompatibile con l’incidente cautelare (Sez.
3, n. 19011 del 11/02/2015 – dep. 07/05/2015, Citarella e altro, Rv. 263554).
Corretto è dunque il diniego del tribunale di esaminare il tema della determinazione del quantum di imposta evasa alla luce della contrapposizione tra le risultanze della c.t. contabile svolta rispetto ai dati dell’A.F., demandando al merito la
questione, proprio per l’assenza di poteri istruttori in relazione ai fatti relativi
all’imputazione, dovendo limitarsi, ai fini della decisione, alla valutazione delle risultanze processuali già acquisite nel procedimento di merito, con esclusione dunque di indagini di natura tecnica (v., tra gli altri: Sez. 3, n. 21633 del 27/04/2011
– dep. 30/05/2011, P.M. in proc. Valentini, Rv. 250016).

9. Il ricorso dev’essere pertanto dichiarato inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento
a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma
che si stima equo fissare in euro 2000,00 (duemila/00).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
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8. Trattasi di motivazione del tutto immune da vizi, rispetto alla quale le censure

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 5 dicembre 2017

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