Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27293 del 08/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27293 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SOLLAZZI ANTIMO N. IL 05/09/1969
avverso l’ordinanza n. 81/2014 CORTE APPELLO di CAMPOBASSO,
del 26/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 08/04/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 26.06.2014 la Corte d’appello di Campobasso ha
rigettato l’istanza con cui Sollazzi Antimo aveva chiesto la declaratoria di non
esecutività e la sospensione dell’esecuzione della sentenza di condanna
pronunciata nei suoi confronti il 6.02.2013 dal Tribunale di Isernia, e in via
subordinata la restituzione nel termine per impugnare la sentenza, formulata sul
presupposto che il decreto che disponeva il giudizio era stato notificato il
18.02.2011 all’imputato contumace nel domicilio inizialmente eletto presso il

Sollazzi all’epoca detenuto e non avendo avuto dal difensore notizia del processo
pendente a suo carico.
Il Tribunale riteneva che la qualità professionale del difensore, che aveva
ricevuto la notifica dell’atto destinato all’imputato, nonché l’assenza di riscontri
della mancata conoscenza del processo allegata dal Sollazzi, giustificavano il
rigetto delle istanze del condannato.
2.

Ricorrono per cassazione, con distinti atti di gravame, Sollazzi Antimo,

personalmente, e il suo difensore avv. Dario Mancino.
2.1. Il ricorso personale del Sollazzi, premessa la ricostruzione della complessiva
vicenda processuale che lo riguardava, deduce due motivi di doglianza, coi quali
lamenta:
– violazione di legge, in relazione agli artt. 156 e 175 comma 2 cod.proc.pen.,
rilevando che, essendo il ricorrente detenuto in carcere per altro titolo al
momento della notificazione del decreto che disponeva il giudizio, (poi) definito
con la sentenza di condanna pronunciata il 6.02.2013 dal Tribunale di Isernia, la
relativa notificazione avrebbe dovuto essere effettuata all’imputato, previe
ricerche sul suo status libertatis, nel luogo di detenzione e non nel domicilio
eletto presso il difensore d’ufficio;
– violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 157 comma 8
bis e 175 comma 2 cod.proc.pen., lamentando l’infondatezza della presunzione
di conoscenza da parte dell’imputato degli atti del processo a lui notificati presso
il difensore d’ufficio.
2.2. Il ricorso dell’avv. Mancino deduce, con unico motivo, violazione di legge e
vizio di motivazione, in relazione all’art. 175 (comma 2) del codice di rito, che
stabilisce una presunzione di non conoscenza del procedimento da parte
dell’imputato, la quale non poteva ricavarsi – nella specie – dall’originaria e
risalente elezione di domicilio effettuata presso il difensore d’ufficio nella fase
iniziale delle indagini, prima del trasferimento del procedimento dall’autorità
giudiziaria di Rovigo a quella di Isernia.
3. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto,
1

difensore d’ufficio (avv. Piergiorgio Chiotti di Badia Polesine), pur essendo il

l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
4. Sia il Sollazzi che il difensore hanno presentato memorie con cui ribadiscono la
sopravvenuta inefficacia dell’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio avv.
Piergiorgio Chiotti di Badia Polesine.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso personale è privo di fondamento, mentre è fondata
e merita accoglimento, nei termini di seguito esposti, la doglianza che è stata
formulata nel secondo motivo di censura del Sollazzi e nel ricorso proposto dal

2. La censura avente per oggetto la riproposizione della questione di nullità della
notificazione all’imputato del decreto di citazione a giudizio davanti al Tribunale
di Isernia, che si sarebbe prodotta perché effettuata – il 18.02.2011 – nel
domicilio eletto dal Sollazzi presso il difensore d’ufficio avv. Piergiorgio Chiotti di
Badia Polesine (allorché il procedimento pendeva dinanzi all’autorità giudiziaria di
Rovigo, prima del suo trasferimento per competenza a quella di Isernia, che
aveva successivamente nominato all’imputato un nuovo difensore d’ufficio),
anziché mediante consegna dell’atto a mani dell’imputato all’epoca detenuto (in
Italia) per altra causa, è infondata per l’assorbente ragione che ogni questione
concernente la validità della notificazione dell’atto propulsivo del giudizio è
sanata e coperta dal giudicato formatosi a seguito della mancata impugnazione
della sentenza, pronunciata il 6.02.2013 dal Tribunale di Isernia, che ha definito
il processo, il cui estratto contumaciale è stato ritualmente notificato al Sollazzi,
nel frattempo scarcerato il 19.04.2011 (pagina 4 del ricorso personale), nel
domicilio da lui eletto presso l’avv. Chiotti, che mantiene la propria efficacia,
nell’ambito del medesimo procedimento e per l’intero suo corso, a prescindere
dalla designazione di un nuovo difensore d’ufficio da parte dell’autorità
giudiziaria di Isernia (Sez. 6 n. 41720 del 7/11/2006, Rv. 235297, secondo cui
l’elezione di domicilio dell’imputato rimane valida finché non venga
espressamente revocata, con la conseguenza che qualora il domicilio sia stato
eletto presso il difensore, la revoca del mandato difensivo, la rinuncia ad esso o
la sostituzione del difensore non comportano la revoca dell’elezione originaria), e
senza che, ovviamente, possa assumere alcun rilievo l’elezione di un nuovo
domicilio da parte del Sollazzi all’atto della sua scarcerazione per altro titolo,
valevole esclusivamente nel diverso procedimento a cui la stessa si riferisce.
Le nullità eventualmente incorse nel giudizio di cognizione non possono essere
fatte valere in sede esecutiva, in quanto l’incidente di esecuzione ex art. 670
comma 1 cod.proc.pen. affida al giudice soltanto la verifica dell’esistenza e della
regolarità del titolo su cui si fonda l’esecuzione, costituito dalla sentenza la
notifica del cui estratto contumaciale risulta eseguita in modo regolare, mentre la

2

difensore avv. Mancino.

mancata conoscenza del titolo esecutivo che ne sarebbe – in ipotesi – derivata
può rilevare soltanto sotto il diverso profilo della richiesta di restituzione nel
termine per impugnare la sentenza, che l’interessato è legittimato a proporre, ex
art. 670 comma 3, anche in via subordinata rispetto alla questione sul titolo
esecutivo (Sez. 1 n. 8776 del 28/01/2008, Rv. 239509; Sez. 1 n. 29363 del
21/05/2009, Rv. 244307; Sez. 1 n. 5880 dell’11/12/2013, Rv. 258765): sul
punto, il provvedimento di rigetto della Corte territoriale va dunque esente da
censura.

l’ordinanza gravata ha rigettato l’istanza di restituzione nel termine per
impugnare la sentenza contumaciale di condanna, che è stata ritualmente
formulata dal ricorrente ai sensi dell’art. 175 del codice di rito nel testo vigente
prima della novella di cui alla legge n. 67 del 2014 (non essendo applicabile,
ratione temporis, alla fattispecie il nuovo rimedio della rescissione del giudicato
di cui all’art. 625-ter cod.proc.pen.: vedi art. 15-bis inserito nella novella dalla
legge n. 118 del 2014).
L’art. 175 comma 2 cod.proc.pen., nel testo risultante dalla modifica introdotta
dal D.L. n. 17 del 2005 convertito nella legge n. 60 del 2005, è stato interpretato
in modo costante da questa Corte di legittimità nel senso che la prova della
conoscenza effettiva del procedimento o della sentenza contumaciale, da parte
dell’imputato che abbia chiesto di essere restituito nel termine per
l’impugnazione, grava sull’autorità giudiziaria (Sez. 1 n. 26321 del 18/05/2011,
Rv. 250683; Sez. 5 n. 14889 del 29/01/2010, Rv. 246866; Sez. 1 n. 46176 del
17/11/2009, Rv. 245515; e Sez. 6 n. 2718 del 16/12/2008, Rv. 242430,
secondo cui la norma prevede una sorta di presunzione iuris tantum di non
conoscenza della pendenza del procedimento da parte dell’imputato, ponendo a
carico del giudice l’onere di reperire in atti l’eventuale prova contraria e, più in
generale, di effettuare tutte le verifiche occorrenti al fine di accertare se il
condannato abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento ed abbia
volontariamente rinunciato a comparire ovvero ad impugnare la sentenza).
In coerenza a tale premessa sistemica, questa Corte ha affermato il principio che
la notificazione degli atti processuali al difensore d’ufficio, presso il quale
l’imputato abbia eletto domicilio in fase preprocessuale, non è di per sé idonea a
dimostrare l’effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento da parte
dell’imputato, essendo invece necessaria la prova positiva che il difensore
designato d’ufficio sia riuscito a rintracciare l’assistito e abbia instaurato un
effettivo rapporto professionale con lui, o che comunque risulti aliunde la prova
della relativa – effettiva – conoscenza (Sez. 6 n. 19781 del 5/04/2013, Rv.
256229; Sez. 1 n. 3746 del 16/01/2009, Rv. 242535; Sez. 6 n. 36465 del
3

3. Non sono invece giuridicamente corrette le ragioni in forza delle quali

16/07/2008, Rv. 241259; Sez. 1 n. 40250 del 2/10/2007, Rv. 238048; e Sez. 1
n. 32678 del 12/07/2006, Rv. 235036).
A tali principi, ormai acquisiti nella giurisprudenza di questa Corte, l’ordinanza
impugnata (nonostante la generica affermazione di non ignorarne l’esistenza)
non si è concretamente attenuta, valorizzando, al fine di rigettare l’istanza di
restituzione in termine del ricorrente, il semplice dato di fatto dell’elezione di
domicilio per la notificazione degli atti del processo effettuata dal Sollazzi presso
il difensore d’ufficio, e la conseguente esecuzione delle relative notifiche a un

idoneo a valutare la portata e le conseguenze degli atti processuali a esso
recapitati e che ordinariamente ne rende partecipe la parte assistita”, nonché la
natura di “mera allegazione del richiedente”, priva di riscontri, della “mancanza
di comunicazioni fattegli dal legale domiciliatario circa gli atti processuali ricevuti
in tale veste”: così opinando, la Corte territoriale ha fatto applicazione proprio di
quel criterio presuntivo di conoscibilità – e non di effettiva conoscenza – degli atti
del processo da parte dell’imputato, che si risolve nell’addossare a quest’ultimo
la prova della mancata conoscenza del procedimento e della sentenza che lo ha
definito, e che si pone in palese contrasto con la voluntas legis e con la ratio
giustificativa della modifica normativa dell’art. 175 cod.proc.pen. a suo tempo
introdotta dal D.L. n. 17 del 2005.
Sotto tale profilo il provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato,
con rinvio alla Corte d’appello di Campobasso per nuovo esame dell’istanza di
restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di condanna
pronunciata il 6.02.2013 dal Tribunale di Isernia, da compiersi nel rispetto dei
principi di diritto sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla richiesta di restituzione nel
termine e rinvia per nuovo esame al riguardo alla Corte d’appello di
Campobasso; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso 1’8/04/2015

soggetto che la Corte d’appello ha (testualmente) ritenuto “professionalmente

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